Con il presente contributo inauguriamo una nuova rubrica di «Superando.it», denominata Sicurezza per tutti, anche in emergenza, voluta per affrontare i temi della sicurezza e della gestione dell’emergenza dal punto di vista dell’inclusione e curata da Stefano Zanut, “firma” già ben nota ai nostri Lettori e Lettrici.
L’obiettivo non è solo quello di proporre un’informazione generale su questi temi, ma anche di far conoscere e condividere esperienze condotte in questo campo per rilanciarle, affinché possano diffondersi e affermare una cultura su questi temi che sappia diventare patrimonio comune.
Stefano Zanut è architetto e direttore vicedirigente dei Vigili del Fuoco del Comando di Pordenone, nonché membro dell’Osservatorio sulla Sicurezza e il Soccorso delle Persone con Esigenze Speciali attivato proprio dai Vigili del Fuoco. Ha al proprio attivo una lunga esperienza in questo campo, che ha condiviso curando numerose pubblicazioni e partecipando a iniziative di vario tipo, tra cui l’attività nell’àmbito di CERPA Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità) e del CTS del CRIBA Friuli Venezia Giulia (Centro Regionale di Informazione sulle Barriere Architettoniche) del Friuli Venezia Giulia.
Siamo certi che saprà stimolare l’attenzione su questi argomenti e augurandogli quindi buon lavoro, invitiamo tutti e tutte a dare il proprio contributo in merito, anche scrivendo alla nostra redazione (info@superando.it), per costruire assieme una società più sicura nel senso inclusivo del termine.
Penso di non essere troppo di parte quando affermo che la parola sicurezza non può rimanere una delle tante del nostro patrimonio lessicale, ovviamente con il doveroso rispetto per tutte le altre, perché descrive una condizione da cui la vita di ognuno non può prescindere. D’altra parte se andiamo a scavare sul suo significato, possiamo scoprire che ha origine dal latino sine cura, che significa “senza preoccupazione”, e chi di noi sarebbe disposto a rinunciare a una condizione del genere? Pensate che bello sarebbe vivere senza preoccupazioni, ma onestamente siamo un po’ tutti consapevoli che un tale traguardo è difficile da raggiungere; da questo punto di vista, però, potremmo impegnarci un pochino di più a migliorare la nostra vita, sottraendola alle minacce di un mondo di cui talvolta rischiamo di essere anche fautori.
Dal mio punto di osservazione ho potuto scoprire che solitamente chi lavora sui temi dell’accessibilità, e più in generale dell’inclusione, sta fornendo in qualche modo il proprio contributo per migliorare la vita di tutti e in un tale percorso non è poi così difficile incontrare anche i temi della sicurezza, non fosse altro per la definizione stessa che ne dà la normativa: «Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia» (Decreto Ministeriale 236/89, articolo 2 G).
Sicurezza e autonomia sono concetti fondamentali in tale contesto e forse non ne siamo abbastanza consapevoli o, sempre forse, non disponiamo di strumenti adeguati per affrontare una problematica del genere, che talvolta ci viene proposta come patrimonio di pochi esperti a cui ci affidiamo. Eppure l’importanza di questi temi la possiamo riscontrare a nostre spese quando ci troviamo di fronte a un’emergenza che ci permette di scoprire l’importanza di vivere in contesto sicuro.
Insomma, la sicurezza deve diventare patrimonio di tutti, anche in emergenza, a prescindere dai ruoli o dalle condizioni che spesso ci fanno scoprire vulnerabili. Un’utopia? Beh, se lo pensassi non starei qui a scrivere e per cominciare questo percorso assieme, vorrei raccontare l’esperienza di Loris, Manuel, Roberta e Sandra che vivono in una delle residenze del progetto Casa al Sole a Pordenone.
Si tratta di un’iniziativa attivata nel 2001 dalla Fondazione Down Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con l’Azienda Sanitaria Friuli Occidentale, per dare una risposta all’esigenza delle famiglie di accompagnare i figli con disabilità intellettiva che diventano adulti verso una loro possibile autonomia, per giungere così a una vita indipendente.
Qui l’autonomia rappresenta un traguardo importante e per conseguirla è necessario soddisfare gradualmente molte necessità, tra cui quella di vivere in sicurezza, avendo anche strumenti per rispondere a situazioni emergenziali. Non sfugge da questa logica il rischio sismico, una condizione presente su quel territorio, colpito nel 1976 da un terremoto tanto devastante da lasciare un segno indelebile nel vissuto delle persone e nella cultura locale.
I terremoti, si sa, non sono prevedibili e come tutela è importante conoscere e sapere attuare alcuni semplici comportamenti che possono essere spiegati a tutti. Così è stato anche per le persone interessate dal progetto Casa al Sole, coinvolte in un percorso chiamato Sicurezza e autonomia in situazioni di evento sismico, con la collaborazione dei Vigili del Fuoco e dei volontari di Protezione Civile.
Cosa può succedere in caso di terremoto? Cosa possiamo fare prima che accada? Come proteggerci?
A queste ed altre domande hanno cercato di rispondere gli operatori del progetto a partire da cosa succede quando si attiva una scossa ai conseguenti comportamenti (mettersi sotto il tavolo, allontanarsi da vasi o suppellettili che potrebbero cadere ecc.), fino alle modalità per uscire dalla propria abitazione, per raggiungere, seguendo un percorso sicuro, il punto di raccolta stabilito dal Piano di Protezione Civile comunale. Azioni che ognuno, non solo le persone con disabilità intellettive, dovrebbe conoscere e saper mettere in atto.
Tale percorso si è poi arricchito di altre competenze come, ad esempio, la capacità di bonificare i propri spazi di vita, per ridurre le conseguenze di una scossa e renderli più sicuri; inoltre, per ognuno dei residenti nelle abitazioni del progetto è stato predisposto uno zainetto contenente un casco munito di lampada, una coperta termica, un gilet ad alta visibilità e una bottiglietta d’acqua. Infine, sono state condotte esercitazioni pratiche, perché sappiamo bene cosa c’è tra il dire e il fare, e per questo è stato necessario trasformare concetti teorici in strumenti pratici e operativi. Così in ogni abitazione sono state organizzate simulazioni, una diurna e una notturna, in cui i protagonisti hanno messo in atto prima le misure di autoprotezione e, dopo avere indossato i dispositivi di protezione contenuti nello zainetto, sono stati evacuati dagli edifici seguendo le modalità che erano state loro insegnate fino a raggiungere il punto di raccolta.
Ma come se non bastasse, le persone coinvolte sono a loro volta diventate inconsapevoli ma efficaci educatori, perché mentre i gruppi si muovevano per la città, mettendo in atto comportamenti sicuri, c’erano molti cittadini a osservarli, incuriositi non tanto per la loro condizione, quanto perché si chiedevano se anche loro sarebbero stati capaci, in caso di necessità, a compiere le giuste azioni.
L’esperienza ha infine sortito un altro risultato: la relazione tra le persone con disabilità intellettive e i possibili soccorritori ha implementato le competenze operative e relazionali di questi ultimi, migliorando così l’efficacia nel compiere il proprio lavoro al servizio di tutta la comunità.
Alla fine abbiamo scoperto assieme che la sicurezza è una condizione invisibile di cui ci rendiamo conto solo quando ne abbiamo bisogno e in quel momento, forse, potrebbe essere troppo tardi. Perché non pensarci prima?
stefano.zanut@gmail.com.
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