La stagione della ricostruzione, dopo la seconda Grande Guerra, ha coinciso con una vivace stagione di fermento, oltre che economico, anche culturale, che ha preso le mosse da due eventi significativi: il Concilio Vaticano II e il Sessantotto. Entrambi sono il punto di arrivo e di partenza di un movimento di comunità; entrambi sono all’origine di un cambiamento che coinvolge le relazioni comunitarie.
Negli Anni Sessanta e Settanta, tuttavia, inizia un processo di frammentazione delle relazioni comunitarie fino ad arrivare, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi del terzo millennio, alla cosiddetta “società liquida”, dei legami deboli. La stagione delle grandi associazioni popolari, dei partiti e dei sindacati, rinvigorita e rilanciata dopo la guerra, lentamente si affievolisce e tutte le forme associative e i legami strutturati perdono sempre più di significato, cedendo il passo a un crescente individualismo, che spesso diventa soggettivismo relativistico se non narcisismo.
I princìpi fondanti la Costituzione Italiana, che nel personalismo avevano trovato la fonte ispiratrice come sintesi del socialismo e del cattolicesimo democratico, nonché, anche in qualche modo, del liberalismo, sembrano indebolirsi, per cedere il passo a valori derivanti da una visione antropologica non più comunitaria bensì individualistica.
L’antropologia, la concezione dell’uomo, non è irrilevante anche nell’approccio alla disabilità. Gli Anni Settanta, Ottanta e Novanta sono gli anni della stagione del modello sociale. Le persone con disabilità vengono coinvolte nel movimento delle relazioni comunitarie, per cui si vive la grande stagione della deistituzionalizzazione e della diffusione di una cultura dell’inclusione, della domiciliarità, dell’esigibilità dei diritti anche per le persone con disabilità, anche in situazione di gravità elevata o di complessità.
In questi anni anche la Chiesa vive la stagione del modello sociale: gli orientamenti pastorali per questi tre decenni sono caratterizzati da una forte attenzione alla promozione umana, negli Anni Settanta, alla scelta preferenziale dei poveri, negli Anni Ottanta, e alla testimonianza della carità, negli Anni Novanta. Entrambi i percorsi, quello della società nei confronti delle persone con disabilità e quello della Chiesa nei confronti dell’uomo, sono stati ispirati dalla concezione di un uomo singolo e in relazione con la comunità, autonomo e reciproco, incompiuto e chiamato alla libertà, protagonista responsabile della storia e, tuttavia, segnato dalla finitudine, dalla fragilità.
Mentre la Chiesa ancora oggi, e soprattutto con il Magistero di papa Francesco, ripropone con forza il modello sociale, e non potrebbe essere diversamente, la comunità degli uomini si è fortemente avviata verso la costruzione di un modello caratterizzato dalla “separazione”, dalla parcellizzazione, da una sorta di “monadismo” dell’individuo o anche di gruppi sociali, non escluse le persone con disabilità. Il bene comune e i beni comuni sono sempre meno obiettivi delle nostre città e della nostra politica.
Quale uomo può essere protagonista di inclusività? Quale uomo sposa il modello sociale piuttosto che il modello medico-sanitario?
Le tecniche e i metodi dei servizi alle persone, bambini, anziani, persone con disabilità, ammalati, rispondono necessariamente a una concezione dell’uomo. Se l’uomo viene colto come persona in relazione, come singolo incluso nella comunità, i servizi alle persone tutte e, in particolare, alle persone in situazioni di fragilità, alle persone con disabilità, saranno servizi aperti e volti a modificare le relazioni comunitarie per migliorare la capacità di vita dei beneficiari; se, al contrario, l’uomo viene colto come individuo, come nucleo, come monade, i servizi alla persona si caratterizzeranno per la separazione, la “recinzione”, la protezione, volti a migliorare capacità e qualità di vita dell’individuo, con la convinzione che queste si caratterizzano solo come “indipendenza” e, perciò, senza legami che rendono la persona dipendente da altri.
In questa logica sono nate le grandi istituzioni per disabili e per anziani; in questa logica si è fatto strada il modello medico-sanitario, per cui la “terapia” è la soluzione per migliorare capacità e qualità di vita di una persona; in questa logica, negli ultimi anni, ha ripreso vigore nei servizi alle persone con disabilità il modello medico-sanitario.
Ciò vale per tutti e ancor più per le persone in situazione di fragilità o di svantaggio.