Alla ricerca di una cura per la sindrome di Ondine

Il 23 settembre prossimo sarà la nona Giornata Mondiale per la Sindrome di Ondine, nome con cui è meglio nota la sindrome da ipoventilazione centrale congenita, patologia genetica cronica e rara, oggi diagnosticabile grazie al test genetico, ma tuttora senza cura, che colpisce i centri della respirazione a livello del sistema nervoso centrale, facendo sì che le persone affette non siano in grado di respirare autonomamente durante il sonno. Possono inoltre essere presenti anche disordini a livello multisistemico. Sulla sindrome di Ondine è attiva In Italia dal 2003 l’Associazione AISICC
La ninfa Ondine in un'illustrazione di Benjamin Lacombe
Un disegno dell’illustratore francese Benjamin Lacombe, raffigurante la ninfa Ondine, protagonista di un’antica leggenda germanica dalla quale prende il nome la sindrome da ipoventiolazione centrale congenita, detta appunto anche “sindrome di Ondine” o “maledizione di Ondine”

Il 23 settembre prossimo sarà la nona Giornata Mondiale per la Sindrome di Ondine, nome con cui è meglio nota la sindrome da ipoventilazione centrale congenita (SICC, e in acronimo inglese CCHS). L’evento è stato indetto nel 2015 dalla statunitense CCHS Foundation – come avevamo riferito a suo tempo anche sulle nostre pagine – per ricordare alcuni giovani ragazzi affetti da tale sindrome, prematuramente scomparsi.

La sindrome da ipoventilazione centrale congenita è una patologia genetica cronica molto rara, oggi diagnosticabile grazie al test genetico, ma tuttora senza cura, che colpisce i centri della respirazione a livello del sistema nervoso centrale.
Diagnosticata per la prima volta negli Anni Settanta, colpisce bambini e ragazzi e, come detto, è meglio nota come sindrome di Ondine, prendendo il nome da un’antica leggenda germanica, secondo la quale la ninfa Ondine si innamorò di un mortale, che quando la tradì venne punito dal Re delle Ninfe con una maledizione che gli fece “dimenticare” di respirare una volta addormentato. Analogamente, infatti, le persone affette non sono in grado di respirare autonomamente durante il sonno, ma, per sopravvivere, hanno bisogno di ricorrere a dispositivi di ventilazione meccanica. I problemi, per altro, esistono anche in veglia e in caso di infezioni, anche qui con la necessità di apparecchiature che garantiscano un’adeguata attività respiratoria. Si tratta infatti di un disordine a livello multisistemico, perché oltre che al controllo del respiro, può comportare problemi a livello cardiocircolatorio, anomalie oculari, morbo di Hirschprung (una malattia congenita dell’intestino) e, nelle forme più gravi, tumori alla cresta neurale.

Attualmente nel mondo si conoscono circa 2.000 casi vi sono Associazioni sparse ovunque, molte delle quali cooperano fra loro e finanziano la ricerca scientifica, perché la speranza comune è segnatamente quella di arrivare a una cura.
Nel nostro Paese opera l’AISICC (Associazione Italiana per la Sindrome da Ipoventilazione Centrale Congenita), nata nel 2003 a Firenze per cura di un gruppo di familiari di piccoli pazienti, allo scopo di creare e sviluppare una rete di solidarietà e sostegno tra le famiglie colpite e di sensibilizzare il personale delle istituzioni sanitarie, al fine di migliorare l’assistenza, diffondendo le informazioni sulla malattia e i migliori modelli di presa in carico, oltreché stimolando e sostenendo progetti di ricerca scientifica. Essa è tra le Associazioni in Rete di Telethon e Amiche dell’Ospedale Meyer di Firenze. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Arianna Citron (ariannacitron@yahoo.it).

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