Come tutte e tutti coloro che hanno vissuto la propria gioventù nei fantomatici Anni Novanta, anche io ho degli idoli appartenenti al mondo dei cartoni animati. Ne è la prova lampante il portachiavi che ho attaccato al mio borsellino: un piccolo “Raffaello”! Non il pittore rinascimentale, bensì una delle “Tartarughe Ninja”. Avete presente quella con la mascherina rossa e i pugnali sai? Esatto, proprio quella lì!
Perché racconto questo? Proprio di recente sono andato al cinema a vedere Tartarughe Ninja – Caos Mutante, l’ultimo lavoro di animazione del regista Jeff Rowe in cui ho trovato innumerevoli spunti interessanti che voglio condividere con voi. E per farlo, parto da una riflessione nata scrivendo un vecchio articolo, dal titolo La Marcia delle Tartarughe Ninja, pubblicato dalla testata giornalistica «Il Messaggero di Sant’Antonio» nell’ottobre del 2012.
Qui vi parlo di un bambino in pizzeria che racconta ai suoi genitori delle incredibili imprese dei quattro “supereroi”.
Intanto, come sapete bene, le nostre protagoniste vivono nelle fogne, cioè ai margini della società.
Il riferimento alle persone con disabilità è immediato: spesso in passato venivano tenute nascoste dalle proprie famiglie perché facevano paura, per questo hanno dovuto intraprendere tantissime lotte grazie alle quali si sono arrogate il diritto di “uscire in superficie, per mescolarsi nella società che non poteva più fingere di non vedere”.
Come nell’ultimo film, le tartarughe sentono il bisogno di compiere un atto eroico per sentirsi parte della società: «Sconfiggiamo Superfly e tutti ci accetteranno!».
Tra i due mondi, quello fantastico delle tartarughe e quello reale delle persone con disabilità, è forte il bisogno di accettazione, entrambi, infatti, vogliono abbattere i pregiudizi per cambiare il punto di vista degli altri, la loro prospettiva.
Altro aspetto condiviso, è la voglia delle tartarughe di conoscere il mondo, di fare le stesse esperienze dei loro coetanei: «Se non fossimo mostri della società e potessimo fare quello che vogliamo, voi che fareste? Andrei al liceo, avrei una fidanzatina…», ovvero una vita quotidiana, non una straordinaria, un’esistenza fatta di “normalità”.
Spesso l’immagine della persona con disabilità oscilla in un continuum ai cui poli c’è da un lato l’idea dello “sfigato”, dall’altro quella della persona straordinaria, eroe/eroina.
Questo non ha nulla a che vedere né con il desiderio delle tartarughe, né con quello delle persone con disabilità: poter vivere una vita ordinaria, fatta di cose semplici.
Inoltre, nella famiglia “non tradizionale” delle tartarughe, il padre adottivo è rappresentato da un ratto: il “Maestro Splinter”, il quale si comporta proprio come un vero padre, cercando di proteggere i suoi figli adottivi dalla sofferenza che potrebbe derivare dalla loro voglia di conoscere il mondo e sperimentarsi in nuove situazioni.
Tuttavia, Splinter alla fine cambia idea e lascia ai suoi “figli” l’opportunità di fare esperienze di autonomia e di relazioni con gli altri. Questo approccio non è distruttivo, ma permette ai quattro personaggi di intraprendere un percorso di crescita personale.
Quest’ultimo è un bel messaggio per tutti i genitori che rischiano di essere “iperprotettivi”, di costruire “campane di vetro”, per evitare ai loro figli delle sofferenze, e a loro stessi la fatica di doverle gestire.
Questo cammino, lo sappiamo, è lungo e complesso: ci vuole una bella iniezione di fiducia e di consapevolezza.
Che dire… Il Maestro Splinter è stato proprio bravo!
Ho avuto la fortuna di conoscere diversi Splinter nella mia vita, che hanno combattuto per far vivere una vita ordinaria alle persone con disabilità, e credo che la collettività abbia sempre più bisogno di maestri così.
E voi, avete dei Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello in casa vostra, oppure vi sentite un po’ Tartarughe Ninja?
Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.
Pensiero Imprudente
Dal mese di dicembre dello scorso anno Claudio Imprudente è divenuto una “firma” costante del nostro giornale, con questa sua rubrica che abbiamo concordato assieme di chiamare Pensiero Imprudente, grazie alla quale ha già incominciato a impreziosire le nostre pagine, condividendo con Lettori e Lettrici il proprio sguardo sull’attualità.
Persona già assai nota a chi si occupa di disabilità e di tutto quanto ruota attorno a tale tema, Claudio Imprudente è giornalista, scrittore ed educatore, presidente onorario del CDH di Bologna (Centro Documentazione Handicap) e tra i fondatori della Comunità di Famiglie per l’Accoglienza Maranà-tha. All’interno del CDH ha ideato, insieme a un’équipe di educatori e formatori specializzati, il Progetto Calamaio, che da tantissimi anni propone percorsi formativi sulla diversità e l’handicap al mondo della scuola e del lavoro. Attraverso di esso ha realizzato, dal 1986 a oggi, più di diecimila incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole italiane. In qualità di formatore, poi, è stato invitato a numerosi convegni e ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche.
Già direttore di una testata “storica” come «Hp-Accaparlante», ha pubblicato libri per adulti e ragazzi, dalle fiabe ai saggi, tra cui Una vita imprudente. Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia e il più recente Da geranio a educatore. Frammenti di un percorso possibile, entrambi editi da Erickson. Ha collaborato e collabora con varie riviste e testate, come il «Messaggero di Sant’Antonio», per cui cura da anni la rubrica “DiversaMente”. Il 18 Maggio 2011 è stato insignito della laurea ad honorem dall’Università di Bologna, in Formazione e Cooperazione.
Nella colonnina qui a fianco (Articoli correlati), i contributi che abbiamo finora pubblicato, nell’àmbito di Pensiero Imprudente.
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