Nell’àmbito del lavoro di denuncia degli abusi commessi nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno, nel luglio dello scorso anno abbiamo ospitato su queste stesse pagine la storia di Alice, una vicenda drammatica e complessa (a questo link è disponibile il testo che pubblicammo a suo tempo).
Alice è una giovane donna di 29 anni con un lieve ritardo cognitivo e una forma di epilessia che le impedisce di gestire in modo autonomo i suoi interessi, ma che è perfettamente in grado di esprimere la propria volontà e i propri desideri in merito alle scelte fondamentali della propria vita: dove, come e con chi vivere.
Finalmente la Corte d’Appello di Firenze (Prima Sezione Civile), con un proprio Decreto del 24 settembre scorso, ha accolto la sua richiesta di sostituire l’amministratore di sostegno esterno alla famiglia, che le era stato imposto, e di nominare al suo posto il padre Antonio Di Vita, con il quale la donna convive dal settembre 2021, che si prende amorevolmente cura di lei, e che la stessa Alice vuole al suo fianco.
Si tratta di un lieto fine atteso e sperato. Un esito che va assaporato, e tuttavia è importante soffermaci a riflettere su alcuni aspetti di questa storia, perché la conclusione positiva della vicenda, conseguita grazie anche all’impegno dell’Associazione Diritti alla Follia, che ha affiancato padre e figlia in questa battaglia contro le distorsioni nell’applicazione degli istituti di tutela giuridica, non deve far dimenticare che l’attuale disciplina dell’amministrazione di sostegno, introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge 6/04, consente la sistematica violazione dei diritti umani delle persone che in teoria dovrebbe supportare/sostenere.
Proviamo a riassumere a grandi linee la storia di Alice, cercando di comprendere cosa non ha funzionato in quei passaggi nodali che le hanno causato tanta sofferenza.
All’età di 12 anni Alice è stata affidata ai Servizi Sociali dal Tribunale dei Minori, presso i quali è rimasta sino all’età di 18 anni a causa dei conflitti, allora esistenti, tra i genitori. Per alcuni anni, divenuta maggiorenne, ha rifiutato di assumere con regolarità farmaci per l’epilessia e ha fatto uso di sostanze stupefacenti a partire dal 2014. In seguito ad un eccesivo uso di droghe, nel 2017 ha riportato un presunto arresto cardiorespiratorio che ha determinato un coma post-anossico, cui sono residuati diversi esiti, tra cui un’insufficienza respiratoria trattata con tracheostomia.
Da tale situazione è conseguito il ricovero presso il Reparto di Rianimazione dell’Ospedale Careggi a Firenze, quindi il suo trasferimento dapprima all’Istituto Don Gnocchi, poi in altre strutture. L’esperienza dell’istituzionalizzazione è stata molto traumatica per Alice, che ancora oggi la ricorda come un incubo che la terrorizza. Si è vista sradicata dal proprio ambiente, è stata segregata (non poteva frequentare amici e parenti, e in alcuni periodi sono le state negate anche le visite del padre), sottoposta a contenzione fisica e farmacologica (veniva legata al letto o alla sedia e imbottita di psicofarmaci), erano trascurati gli aspetti igienico-sanitari (non sono stata fatte le visite mediche e i doverosi controlli al fine di migliorarne la condizione: presentava infatti infezioni e piaghe conseguenti alle cattive condizioni igieniche).
Segregazione, contenzione ed incuria: nella nostra società tutto ciò viene ancora presentato come intervento terapeutico.
Mentre Alice era istituzionalizzata, il fratellastro ha proposto che le venisse affiancato un amministratore di sostegno. Da allora ne sono stati nominati diversi senza mai chiedere il parere di Alice e del padre. Di fatto lei non ha mai gradito questi amministratori esterni perché nessuno di essi si è mai preoccupato di parlarle e di aiutarla ad autodeterminarsi. Sia i Giudici Tutelari che i diversi amministratori di sostegno che si sono succeduti nel tempo si sono arrogati l’arbitrio di decidere per lei senza di lei.
Non deve sorprendere che Alice vivesse tutto ciò come una violenza, ed effettivamente lo è. Sostituirsi a una persona con disabilità anziché aiutarla a prendere le decisioni che riguardano la sua vita è infatti espressamente vietato dall’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e costituisce una violazione dei suoi diritti umani. Ma con l’attuale disciplina dell’amministrazione di sostegno tutto ciò è ancora possibile. È pertanto fondamentale e urgente che questa disciplina venga modificata.
Nel gennaio 2021 l’avvocata Rosella Malune riuscì ad ottenere che Alice fosse trasferita dapprima presso l’abitazione della madre a Montevarchi (Arezzo), con la quale però Alice non ha un buon rapporto, e in seguito (settembre 2021) presso l’abitazione del padre, nello stesso Comune. Ma nonostante la richiesta di Alice di avere il padre come amministratore di sostegno, e nonostante la piena disponibilità del padre stesso ad assumere tale incarico, per due anni ancora le è stato imposto un amministratore di sostegno a lei sgradito. Giustamente il Decreto con il quale Giudice Tutelare di Arezzo ha confermato quale amministratore di sostegno un avvocato esterno alla famiglia è stato impugnato davanti alla Corte d’Appello di Firenze.
Come detto, dunque, nell’udienza del 22 settembre scorso, i/le Giudici della Corte d’Appello di Firenze per la prima volta hanno ascoltato ciò che Alice vuole per se stessa. Ed è stato come se la restituissero alla vita. Comprensibilmente l’avvocato Michele Capano, presidente dell’Associazione Diritti alla Follia, e la già citata avvocata Malune, che congiuntamente hanno rappresentato le istanze di Alice e del padre in questa fase processuale, hanno sottolineato l’importanza di questo aspetto.
La Corte non ha potuto fare altro che constatare che negli ultimi due anni nei quali Alice ha vissuto col padre le sue condizioni generali di salute sono sensibilmente migliorate. Che Antonio Di Vita è una figura idonea a ricoprire il ruolo di amministratore di sostegno. Che la forte conflittualità di figlia e padre nei confronti dell’amministratore di sostegno esterno non solo non giova, ma anzi impedisce che il mandato sia espletato in modo corretto e interferisce con la possibilità che il padre possa prendersi cura della figlia in modo adeguato. Con queste motivazioni il ricorso è stato accolto ed è stato disposto che Antonio Di Vita venga nominato amministratore di sostegno di sua figlia Alice.
Il lieto fine, purtroppo, non incide sul funzionamento del sistema, e l’Italia è piena di persone che si trovano intrappolate nella “ragnatela degli istituti di tutela”. Dunque, mentre auguriamo ad Alice e a suo padre tutta la felicità che meritano, non abbassiamo la guardia: la Legge 6/2004 va cambiata!