«Vivo a Roma, sono un medico psichiatra e psicoterapeuta in pensione, coniugato, ho un figlio. Sono una persona con tetraplegia dal 1979 a causa di un trauma midollare»: comincia così il racconto dfi Giuseppe alla testata «L’Altro» di quello che egli stesso ha definito come «una mattinata di un giorno da cani», ovvero di una grave violazione dei diritti umani nel cuore dell’Unione Europea.
Dopo avere alloggiato in un albergo di Tolone, in Francia, insieme ai suoi due assistenti (e amici) indiani, cittadini extracomunitari in Italia da moltissimi anni con permesso di soggiorno di lavoro, Giuseppe, grazie alla sua carrozzina elettronica, decide di recarsi da solo per una breve visita al porto della città. Saluta quindi i due assistenti, che si avviano a piedi verso l’albergo, per riporre in macchina i bagagli in vista dell’imminente ripartenza per Genova. A quel punto, vengono accerchiati dalla polizia di frontiera che intima loro di recarsi presso la sede della stessa. Qui vengono obbligati a togliersi le scarpe, la cintura, ad esibire i documenti – che il personale di polizia ritiene siano falsi – ne sequestrano i cellulari e impongono loro di mostrare le mail in essi contenuti.
«Hanno fatto loro domande – racconta Giuseppe a “L’Altro” – del tipo: “Chi è il presidente dell’India?”, “Chi è il primo ministro dell’India?”, “Dimmi alcuni nomi di città indiane” – – e poi, quando uno dei due cittadini indiani ha chiesto a un poliziotto quale fosse il motivo del fermo, gli ha risposto che glielo avrebbe notificato il giorno dopo il giudice e che quindi li avrebbero tenuti lì per almeno 24 ore fino a decisione del magistrato. Hanno anche intimato loro di non fare ulteriori domande altrimenti sarebbero stati chiusi lì per altri 20 giorni. E ancora, è stata chiesta una prova del giorno e dell’ora in cui erano entrati in territorio francese. Hanno pertanto fornito l’sms che normalmente arriva sui cellulari quando si varca il confine di un Paese straniero. Il poliziotto ha letto ridacchiando il messaggio sms e ha aggiunto subito dopo che il cellulare apparteneva ad un’altra persona. Sempre più disperati, i miei assistenti hanno detto ai poliziotti che dovevano assolutamente assistere una persona con disabilità che li stava aspettando nell’albergo a pochi passi da lì. Hanno risposto ridendo che questa persona disabile se la poteva cavare da solo. Poi sono stati messi in una cella semibuia per ore».
Ignaro dell’accaduto, Giuseppe torna in albergo, trova sia la stanza che l’auto vuote, chiama più volte gli assistenti al cellulare, senza ottenere risposta, accusa un malore che fortunatamente rientra, anche grazie al sostegno del personale dell’albergo, e solo pagando la prestazione di un infermiere, può utilizzare il catetere monouso per fare la pipì.
Nel frattempo uno dei suoi assistenti riesce a farsi vivo, dicendo di essere «al commissariato» e non alla polizia di frontiera. L’odissea di Giuseppe, quindi, continua ancora, quando si reca inutilmente al commissariato. «Poi – spiega – arriva finalmente una telefonata ad uno dei tre poliziotti presenti nell’albergo; mi dice che hanno trovato i due cittadini indiani presso la polizia di frontiera “per controlli”, e che non si poteva sapere quando sarebbero stati rilasciati. Anche il Consolato Italiano di Marsiglia, che ha seguito tutto e mi ha sostenuto minuto per minuto in questa assurda vicenda, mi ha chiamato per dirmi che i cittadini indiani erano ristretti nella locale polizia di frontiera».
«Solo dopo cinque ore di sofferenza e di tensione – prosegue -, i due cittadini indiani vengono liberati e arrivano facilmente in albergo. Prima di lasciare la cella, avevano chiesto agli agenti un rapporto scritto con il motivo del fermo; gli è stato negato, aggiungendo che avrebbero potuto fornire tutte le ragioni per imprigionarli per sei mesi (preciso che i miei due amici e assistenti indiani sono due veri esempi di umanità, discrezione, compostezza, educazione). Finalmente ci rilassiamo, per quanto possibile, mangiamo qualcosa, ma prima di entrare in macchina per partire per Genova, ho voluto farmi accompagnare alla sede della polizia di frontiera. Mi hanno ricevuto due persone con sguardo arcigno e atteggiamento di supponenza, chiedendomi subito il documento d’identità. Uno di loro mi dà un’arbitraria spiegazione dell’accaduto, dicendomi che i cittadini extracomunitari, anche se in possesso di documenti regolari per l’Italia, non avevano assolutamente diritto di entrare in Francia senza un permesso, e tantomeno di girare per la Francia guidando una macchina. All’arcigna poliziotta dico che non possono fermare così le persone, soprattutto se assistono una persona con disabilità lasciandola sola; mi risponde, con ancora più arroganza e boria, che non ero solo perché ero in compagnia del personale dell’albergo. Aggiungo che quando fermano qualcuno che dice di assistere una persona con disabilità, devono rilasciarlo almeno per il tempo utile per l’aiuto vitale; mi rispondono che non credono mai a ciò che le persone riferiscono. Non ancora soddisfatti delle loro spiegazioni, mi dicono anche che, prima di fermarli, avevano visto con le loro telecamere i miei due amici camminare da soli per i marciapiedi vicini alla loro sede; hanno aggiunto che questo non era regolare e che io avrei dovuto essere sempre presente vicino a loro».
Fin qui il racconto di quello che Giuseppe, come detto inizialmente, definisce «il mattino di un giorno da cani», concludendo così: «Se non ci fosse stato l’intervento del Consolato Italiano a Marsiglia, che ringrazio immensamente, che ha dialogato con il capo della polizia di frontiera di Tolone, i due malcapitati cittadini indiani sarebbero rimasti in cella almeno fino al giorno dopo. E a me cosa sarebbe accaduto?».
«Diffondere questo racconto il più possibile, per fare in modo che arrivi fino a Bruxelles!», chiedono dalla redazione de «L’Altro». Un invito cui si unisce anche «Superando.it», così come la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che esprime tutta la propria solidarietà e vicinanza al nostro concittadino e ai suoi due assistenti. «Un comportamento inqualificabile – commenta Vincenzo Falabella, presidente della Federazione – una vicenda che si fatica persino a commentare, a partire dall’atteggiamento discriminatorio verso gli assistenti di una persona con grave disabilità e successivamente anche nei confronti di quest’ultima. Da parte nostra, così come accade ogniqualvolta vi siano violazioni dei diritti umani di persone con disabilità – e questo ne è sicuramente un caso – siamo pronti a fornire sostegno alle persone coinvolte loro malgrado in questa triste vicenda». (S.B.)