«Del Centro per la Vita Indipendente di Gaza City non sappiamo assolutamente nulla, neanche se è stato colpito. Manca l’acqua, che già in situazioni normali a Gaza per il 97% dei casi è inquinata, non c’è la benzina per far funzionare gli apparecchi elettromedicali negli ospedali, non abbiamo notizie concrete sui problemi che hanno cooperanti e beneficiari, anche a livello di alimenti, visto che gli aiuti umanitari non riescono ad accedere»: lo sottolinea con grande preoccupazione, in un servizio curato da Antonella Patete per l’Agenzia «Redattore Sociale», Giampiero Griffo, presidente della RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), riferendosi nello specifico a quel Centro inaugurato alla fine del 2018 a Gaza City, in Palestina, e realizzato dall’organizzazione non governativa riminese EducAid, nell’àmbito progetto I-CAN (“Io posso”), che a suo tempo, sulle nostre pagine, avevamo definito come «un intervento fortemente innovativo, soprattutto alla luce della realtà in cui andrà ad operare, che vede il co-finanziamento della sede di Gerusalemme dell’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) e la partnership della RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo) e della FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap), oltre al coinvolgimento di altre importanti realtà locali, italiane e internazionali».
La RIDS, lo ricordiamo, è un’alleanza strategica avviata nel 2011 da due organizzazioni non governative, l’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) ed EducAid, insieme a due organizzazioni di persone con disabilità, quali DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), alle quali si è aggiunto successivamente l’OVCI-La Nostra Famiglia (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale). Il compito di essa è quello di promuovere il protagonismo delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni nei progetti di cooperazione internazionale, come afferma la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
La stessa FISH, ricordiamo ancora, subito dopo lo scoppio della situazione di conflitto in Israele e nei territori palestinesi, aveva voluto «ribadire il proprio impegno per la promozione della pace e della solidarietà tra tutte le comunità coinvolte», chiedendo con forza, su queste stesse pagine, «l’istituzione di corridoi umanitari per consentire l’accesso sicuro e ininterrotto alle cure e ai servizi necessari alle persone con disabilità che vivono in quei territori martoriati da violenza e devastazione. Corridoi, questi, essenziali per garantire che esse possano avere accesso alle risorse vitali, come cure mediche, assistenza sanitaria e supporto sociale».
Detto che secondo il Palestinian Central Bureau of Statistics, le persone con disabilità rappresentano il 6,9% della popolazione di Gaza, la situazione attuale, ha dichiarato ancora Griffo a «Redattore Sociale», significa per loro «non solo il blocco totale delle cure, ma anche una maggiore esposizione ai bombardamenti. Immaginatevi cosa possa voler dire per una persona in sedia a ruote dover lasciare la propria casa in pochi minuti per non finire sotto le bombe».
«Oggi – ha concluso – si parla di 6.500 morti e di 17.500 feriti palestinesi, con questi ultimi che rischiano di diventare altre persone con disabilità, specie in mancanza di accesso alle cure».
Come riferito inizialmente, quindi, al momento attuale i rappresentanti italiani del RIDS non riescono ad avere informazioni da Gaza, neppure rispetto ai cooperanti palestinesi, alcuni dei quali con disabilità, che hanno contribuito alla gestione del citato Centro per la Vita Indipendente. (S.B.)
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