A volte per conquistare maggiore indipendenza e fiducia in se stessi basta poco. Per Youssef Abu Amira, nato senza arti superiori e inferiori, è stato sufficiente rendere la doccia e il bagno di casa accessibili, in modo da non dover sempre ricorrere all’aiuto della madre per poterne fare uso.
Sabah Eid Swaid, poco più di vent’anni e cinque figli, ha perso una mano in seguito a uno dei bombardamenti israeliani che colpivano Gaza anche prima dell’attentato di Hamas dello scorso 7 ottobre. È stata a lungo depressa e incapace di chiedere aiuto, ma poi ha recuperato la possibilità di cucinare e di badare ai suoi bambini grazie a una serie di ausili che le facilitavano la vita nelle faccende quotidiane.
Di Youssef e Sabah, come della quasi totalità delle circa mille persone con disabilità passate per il Centro per la Vita Indipendente di Gaza City, si sono perse le tracce.
Il Centro, creato nel 2018 dall’organizzazione non governativa riminese EducAid insieme alla RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo)*, ha rappresentato per cinque anni un punto di riferimento per le persone con disabilità della Striscia. Secondo le statistiche dell’Ufficio di Censimento Palestinese circa 48.000 persone a Gaza, il 2,4% della popolazione, hanno una disabilità e, tra esse, più di un quinto sono bambini/bambine.
“Il Centro – spiega Yousef Hamdouna, direttore dell’Area Gaza di EducAid – aiutava le persone ad acquisire maggiore autonomia e indipendenza grazie anche a un approccio innovativo che nella disabilità vedeva una competenza e non uno stigma. A lavorarci era un team multidisciplinare formato da due operatrici sociali, due terapisti occupazionali e diciotto peer counselor, ovvero consulenti alla pari, anche loro persone con disabilità. Negli ultimi tempi l’officina per la manutenzione degli ausili si era trasformata in una fablab, dove venivano creati ausili su misura grazie alle stampanti 3D e altre tecnologie. Purtroppo, dopo il 7 ottobre non sappiamo più nulla degli utenti, solo di due di essi abbiamo notizia certa che sono morti, mentre di altri sospettiamo che abbiano perso la vita sotto le macerie insieme alle loro famiglie, ma non ne possiamo avere la certezza. Anche sul Centro per la Vita Indipendente non ci sono informazioni precise, ma, considerando le aree che sono state bombardate, abbiamo buone ragioni di credere che non sia più in piedi».
Yousef Hamdouna è nato a Gaza e tra il 2007 e il 2010 ha vissuto in Italia, dove è venuta alla luce la prima delle sue due figlie. Prima di essere un cooperante è stato un beneficiario di EducAid e considera il proprio un caso riuscito di empowerment [“crescita dell’autoconsapevolezza”, N.d.R.].
Dal momento che la figlia maggiore ha una disabilità intellettiva e la necessità di una serie di cure che non poteva ricevere a Gaza, oggi le due bambine vivono in Italia con la madre. Il padre, invece, in questi anni ha fatto la spola tra l’Italia e Gaza, dove ha contribuito a creare appunto il Centro per la Vita Indipendente.
Il 7 ottobre, quando gli uomini di Hamas hanno sferrato il drammatico attacco a Israele, Yousef era casualmente in Italia, dove è rimasto a lungo senza notizie della sua famiglia che vive nella Striscia. Anche ottenere informazioni sui colleghi del Centro è stato difficile e il più delle volte le informazioni stesse arrivano in maniera intermittente. «Sappiamo che Somud, la nostra terapista occupazionale, è stata costretta a cambiare posto otto volte da quando ha lasciato Gaza City insieme ai suoi figli – prosegue l’operatore –. Le condizioni di vita all’interno dei centri di accoglienza erano davvero impossibili e ora ha dovuto spostarsi di nuovo, perché nell’ultima struttura dove avevano trovato riparo si stavano diffondendo molte malattie. I figli di Somud non stanno bene, pensate cosa possa voler dire per dei ragazzi vedere pezzi di cadaveri sotto i propri occhi! Durante la fuga da Gaza City sono finiti sotto un bombardamento che ha provocato 70 morti e 150 feriti. Speriamo che riusciranno a cavarsela».
Anche in questa guerra, come sempre, le persone più vulnerabili, come quelle che hanno una disabilità, pagano il prezzo più alto. Ci sono i morti accertati come Attiya, utente ventitreenne del Centro per la Vita Indipendente, reso tetraplegico da un colpo di mitra arrivato dall’esercito israeliano quando aveva solo 14 anni. E ci sono quelli che sono rimasti intrappolati tra le mura delle proprie abitazioni, come Khaled Abdelkareem, operatore con disabilità del Centro per la Vita Indipendente, che ha scelto di restare solo a casa e allontanare i propri bambini, per dare loro maggiori possibilità di sopravvivere. «E poi – conclude Hamdouna – ci sono gli altri colleghi del Centro, che stanno tutti in condizioni di grandissima difficoltà. Alcuni si trovano nei centri di accoglienza, che non sono accessibili e non riescono a rispondere ai loro bisogni specifici. Altri, oltre a non trovare cibo, non trovano le medicine indispensabili per la loro sopravvivenza. E tanti hanno perso le case e le loro famiglie. È triste pensare alle tante persone che, grazie al Centro per la Vita indipendente hanno ritrovato speranza e buone condizioni di vita. È veramente triste pensare che oggi, forse, quelle persone non ci sono più».
*La RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), presieduta da Giampiero Griffo, è un’alleanza strategica avviata nel 2011 da due organizzazioni non governative, l’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) ed EducAid, insieme a due organizzazioni di persone con disabilità, quali DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), alle quali si è aggiunto successivamente l’OVCI-La Nostra Famiglia (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale). Il compito di essa è promuovere il protagonismo delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni nei progetti di cooperazione internazionale, come afferma la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.