«Qui è in gioco la vita delle persone. Per farmi ascoltare dal Comune di Roma ho invocato anche l’intervento di Papa Francesco e del Presidente Mattarella: non so più come e a chi dirlo»: lo dichiara Luigi Vittorio Berliri, presidente di Casa al Plurale, Associazione di coordinamento delle case famiglia di Roma e del Lazio, che in questi giorni in cui Roma Capitale sta predisponendo il proprio bilancio, chiede con forza «di stanziare quanto necessario: occorrono 11 milioni di euro e sono calcoli fatti dalla stessa Direzione Generale di Roma Capitale. Facciamo i conti assieme, in modo trasparente davanti alla città».
«Da parte nostra, infatti, i “conti” li abbiamo già resi pubblici da tempo – sottolineano da Casa al Plurale – e ogni mese provvediamo ad aggiornarli: sono disponibili a tutti e tutte nel nostro sito e nello specifico nel documento Quanto costa una casa famiglia?. Ciò che è evidente è che senza l’adeguamento delle tariffe, prima o poi queste case famiglia per persone con disabilità, minori e donne in difficoltà saranno costrette a chiudere e alcune già hanno deliberato di farlo, come accade alla struttura gestita dall’Associazione Nuova Scuola Serena, aderente al nostro coordinamento».
In tal senso, il presidente di Nuova Scuola Serena Claude Wotzkin ha inviato la seguente lettera a Luigi Vittorio Berliri: «Caro Luigi Vittorio, dopo tanti sacrifici, tante parole e tante energie spese sono arrivata alla terribile conclusione che ormai non siamo più in grado di sostenere le spese di una delle due case famiglia da noi gestite, ossia Casa Ferrazza. Lo dico col cuore in mano perché consideriamo gli ospiti come dei familiari, e non come degli “utenti”. Li abbiamo visti crescere, li abbiamo curati, e alcuni li stiamo vedendo invecchiare. L’impressione che si ha quando arrivi a una decisione del genere è quella di doverti separare da un figlio o da un fratello, perché a casa i soldi non bastano per sfamare tutte le bocche, alla stregua di quanto facevano i nostri nonni che mandavano i troppi figli in collegio, o in convitto. La metafora (e il sentimento che l’accompagna) è proprio quella. Senza altri fronzoli. Per non parlare del fatto che il primo brivido che ti assale è legato al pensiero: “E ora cosa penseranno i ragazzi di noi? Che li abbiamo abbandonati!”. E poi arrivano tutti gli altri pensieri, per primo quello per gli operatori. Già, siamo a questo punto. E non credo sia possibile ravvedersi da una decisione simile, meno che mai se non abbiamo speranza circa gli aumenti delle rette necessari e inderogabili. Sì, perché è proprio questa mancanza grave, dovuta per legge – non per cortesia o per concessione di qualcuno – che ci costringe a lasciare la casa famiglia. Doversi ritrovare dopo oltre vent’anni di lavoro costretti a mollare perché lo Stato (o un Ente Pubblico) è il primo a non rispettare le leggi è triste. È grottesco. È drammatico. È spaventoso. Claude».
«Torniamo quindi a chiedere un incontro pubblico con il Sindaco – conclude Berliri -, incontro al quale possano partecipare giornalisti, ospiti delle case famiglia e associazioni. E anche una domanda: chi abbandona chi? Non è forse la città ad abbandonare queste persone?». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa Casa al Plurale (Carmela Cioffi), carmelacioffi@gmail.com.