Tre abilità sociali potranno fare la differenza per i lavoratori con disabilità

di Giuseppe Di Grande*
“Problem solving”, ossia la capacità di affrontare e risolvere situazioni complesse, “empowerment”, ovvero il sapere assumere il controllo delle proprie vite e “lateral thinking”, che incoraggia a pensare in modo innovativo: «Sono “abilità sociali” da considerare - scrive Giuseppe Di Grande -, che potranno fare la differenza per le persone con disabilità e assumere una centralità significativa nella loro vita lavorativa, rappresentando una forma di “capitale sociale” le cui potenzialità potranno essere pienamente apprezzate, se riconosciute e valorizzate adeguatamente»

Lavoratrice con disabilità al computerNel corso dei prossimi anni, l’evoluzione del processo di parificazione per le persone con disabilità nel contesto lavorativo sarà intrinsecamente legata al nuovo paradigma emergente nel mondo del lavoro. L’attuale scenario, caratterizzato da una crescente automazione della produzione, da flessibilità delle competenze e da globalizzazione delle risorse, si presenta come un terreno complesso in cui si stanno ridefinendo le dinamiche occupazionali. Il processo di parificazione può essere considerato come un elemento cruciale all’interno di questa trasformazione. L’adozione di modelli lavorativi flessibili, che mettono in primo piano le competenze e valorizzano la diversità, potrebbe costituire un catalizzatore per un’inclusione più ampia delle persone con disabilità. Tuttavia, è importante considerare che l’automazione delle attività sta delineando nuovi scenari, richiedendo una riflessione approfondita su come garantire opportunità lavorative accessibili a tutti.

In questo contesto, le persone con disabilità potrebbero essere percepite come portatrici di specifiche forme di competenza e prospettiva, peculiarità che potrebbero arricchire l’ambiente lavorativo. Tuttavia, tutto ciò non è un biglietto da visita scontato, con il quale una persona con disabilità debba essere accolta esclusivamente sulla base della sua disabilità. La parificazione non dovrebbe essere vista come un processo lineare, ma come un’evoluzione complessa influenzata da molteplici fattori sociali, economici e culturali. L’adozione di politiche sociali e pratiche inclusive potrebbe essere ulteriormente di beneficio, ma la consapevolezza individuale di ogni persona con disabilità è fondamentale per realizzare una trasformazione positiva e sostenibile.

Oggi bisognerebbe chiedersi: in una società che parla sempre più di diversity, la situazione delle persone con disabilità è ancora sulla strada della parità o ha imboccato quella della marginalità?
In questo mondo forgiato dalla competizione lavorativa, anche le persone con disabilità si trovano immerse nelle logiche inesorabili della ricerca dell’occupazione. È evidente a ogni persona con disabilità che oggi si è ancora ben lontani dal mondo lavorativo pienamente inclusivo. Nel frattempo le politiche assistenziali cominciano a dare i primi scricchiolii di instabilità. Infatti, si parla sempre più spesso di valutazione funzionale della disabilità, nonostante il mondo del lavoro continui a spostare la propria attenzione verso altri attori portatori di diversità e creatività, allontanandosi ulteriormente dal mondo della disabilità, considerato povero di risorse, freno alla produttività e alla competitività.

Per i prossimi anni, si delinea una crescente attenzione da parte dei datori di lavoro nei confronti di specifiche competenze trasversali, quali il problem solving, l’empowerment e il lateral thinking. Queste soft skills, termini traducibili più o meno come “competenze trasversali”, apparentemente marginali in un contesto in cui si privilegiano competenze tecniche e specializzate, potrebbero emergere come autentiche risorse per le persone con disabilità. Tali abilità rappresentano una forma di “capitale sociale” le cui potenzialità possono essere pienamente apprezzate, se riconosciute e valorizzate adeguatamente.
L’attribuzione crescente di importanza a queste competenze relazionali e cognitive riflette le mutevoli dinamiche del campo occupazionale, dove la complessità delle sfide richiede abilità che trascendono i meri requisiti tecnici. Vi sarà dunque la possibilità per le persone con disabilità di sfruttare in modo strategico e consapevole le proprie abilità, contribuendo a sfidare l’idea convenzionale di deficit, evidenziando invece la ricchezza di prospettive e risorse che possono offrire al mondo del lavoro.

Il problem solving è la capacità di affrontare e risolvere situazioni complesse o problematiche incontrate nella vita quotidiana o nel contesto lavorativo. Comprende l’identificazione del problema, la ricerca di soluzioni possibili, la valutazione di queste soluzioni e l’implementazione della migliore opzione disponibile. Consente di acquisire e migliorare molteplici capacità, come l’adattamento alle situazioni, l’autonomia, l’indipendenza, la crescita professionale, la creatività, il pensiero innovativo, le interazioni sociali e relazionali ecc., cioè tutta una serie di abilità personali e sociali atte ad affrontare le sfide nei contesti quotidiani, oltre che essere abilità attentamente e positivamente valutate dai datori di lavoro.
L’empowerment è un concetto che si riferisce invece al processo di fornire alle persone le risorse, le competenze e la fiducia necessarie per assumere il controllo delle proprie vite, prendere decisioni informate e agire in modo autonomo. Per le persone con disabilità, l’empowerment è particolarmente importante per la propria autodeterminazione, per definire e perseguire i propri obiettivi personali e professionali, per facilitare la partecipazione attiva nella società e nel mondo del lavoro e per diventare sostenitori più efficaci dei propri diritti, al fine di promuovere un ambiente lavorativo più inclusivo e accessibile. E ancora, per aumentare la propria competitività nel mercato del lavoro e migliorare le prospettive di carriera, migliorando la fiducia in se stessi e la percezione di sé, al fine di favorire una partecipazione più attiva e efficace nel mondo lavorativo.
Il lateral thinking, infine, o “pensiero laterale”, è un concetto che ricerca soluzioni creative e fuori dagli schemi nella risoluzione di problemi. A differenza del “pensiero convergente”, che si concentra su una soluzione logica e lineare, il lateral thinking incoraggia a considerare prospettive diverse, a esplorare idee non convenzionali e a pensare in modo innovativo. Sviluppando il pensiero laterale, si possono trovare soluzioni creative,, ponendosi in prospettive diverse, contribuendo allo stesso tempo ad abbattere gli stereotipi. In più, stimola la generazione di nuove idee e approcci originali, offre strumenti per affrontare problemi insoliti, cercando soluzioni creative che potrebbero non emergere da un approccio tradizionale. Migliora la capacità di comunicare in modo originale ed efficace.

Problem solving, empowerment e lateral thinking, tre chiavi di lettura del prossimo futuro che sarebbe utile considerare, perché sono abilità sociali che potranno fare la differenza per le persone con disabilità e assumere una centralità significativa nella loro vita lavorativa. Infatti, oltre alle hard skills (titoli professionali che attestino formalmente o informalmente una competenza), competenze tecniche indispensabili per il settore lavorativo in cui si intende lavorare, i lavoratori con disabilità che avranno capacità relazionali saranno più richiesti di altri che ne sono privi. Pertanto, una persona con disabilità, oltre a investire il proprio tempo nel conseguimento delle necessarie hard skills, dovrebbe puntare le proprie risorse nel perseguimento di queste abilità, anche attraverso corsi mirati aperti a tutte le diversità.

Autore del word processor Braille Biblos, analista-programmatore, Braille specialist e blogger (https://www.digrande.it).

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