Nelle scorse settimane ho letto con attenzione l’articolo di Salvatore Nocera pubblicato su queste stesse pagine, dal titolo Servono quanto prima gli atti applicativi del Decreto sull’inclusione. Personalmente condivido il rammarico dell’amico Nocera circa la mancata emanazione da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito dei Decreti Applicativi del Decreto Legislativo 66/17. Infatti, nonostante la nuova ridenominazione, a tutt’oggi il Ministero ha purtroppo solo il “demerito” di non avere ancora completato l’iter di attuazione della delega della “Buona Scuola” sull’inclusione scolastica, con gravi ripercussioni per il successo formativo degli alunni e delle alunne con disabilità del nostro Paese.
Proprio per tale motivo, mi sento di affermare, senza timore di essere smentito che, così com’è attualmente, il Decreto 66/17, pur essendo una buona norma sulla carta, ispirata al modello ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], e ai princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, rischia tuttavia nel concreto di rappresentare un’occasione mancata per un proficuo processo di inclusione degli studenti con disabilità italiani del Terzo Millennio e che, quindi, quest’anno si può e si deve fare di più.
Innanzitutto, a parere di chi scrive, una delle novità più significative del Decreto di cui si parla e che è una norma delegata della Legge 107/15, quella appunto della cosiddetta “Buona Scuola”, è il fatto che, all’articolo 4, la valutazione dell’inclusione scolastica sia parte integrante della valutazione della scuola, tramite indicatori dell’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione). Ma a distanza di sei anni e mezzo dal Decreto 66/17,, di quegli Indicatori di Qualità e dell’INVALSI gli allievi con disabilità delle scuole di ogni ordine e grado hanno perso le tracce e li stanno ancora aspettando.
Alla definizione dei predetti Indicatori di qualità dell’inclusione scolastica dovrebbe poi partecipare anche l’Osservatorio Permanente per l’Inclusione Scolastica istituito presso il Ministero, come stabilito dall’articolo 15 del Decreto, il cui funzionamento richiede comunque un’ulteriore regolamentazione.
L’articolo 5, poi, parla di un «profilo di funzionamento secondo i criteri del succitato modello bio-psico-sociale dell’ICF, ai fini della formulazione del progetto individuale (di cui all’articolo 14 della legge 8 Novembre 2000 n. 328), nonché per la definizione del Piano Educativo Individualizzato (PEI)». In verità, anche su questo versante, c’è un po’ di confusione, perché l’iter normativo di definizione del Profilo di Funzionamento non è stato ancora completato dal Ministero.
D’altra parte, la possibilità stabilita dall’articolo 14 del Decreto, di garantire la continuità didattica dei docenti di sostegno, attraverso la possibilità di confermare per più volte nel corso dell’anno scolastico successivo lo stesso docente con contratto determinato, come rivendicato con forza dalle famiglie dei ragazzi con disabilità, è rimasta lettera morta e non ha mai trovato attuazione da parte del Ministero.
Un discorso più approfondito richiede la “delicata “questione relativa alle nuove modalità di formazione iniziale dei docenti curricolari e per il sostegno della scuola dell’infanzia, di quella primaria e di quella secondaria di primo e secondo grado e alle nuove procedure del loro reclutamento.
Al riguardo, dovrebbe già attuarsi il recente Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) applicativo della Legge 79/22 (conversione del Decreto Legge 36/22 su Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza). Il predetto DPCM, però, relativamente alla formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, “rilancia” ben poco l’inclusione, prevedendo solo 10 Crediti Formativi su 60 sulla pedagogia e la didattica, con il rischio, quindi, che quelli sulla pedagogia e la didattica speciale si riducano a un numero insignificante.
Effettivamente, sarebbe opportuno che la pedagogia speciale e la didattica dell’inclusione trovassero finalmente giusto spazio e dignitosa collocazione nei percorsi formativi accademici dei futuri docenti curricolari. Tuttavia, per assicurare il pieno successo scolastico degli alunni/studenti con disabilità, reputo che tutto ciò non basti. A mio avviso, infatti, occorrerebbe invece promuovere finalmente un’idonea e specifica azione formativa di massa di tutto il personale scolastico e non solo dei docenti curricolari e specializzati aspiranti o già in servizio. Continuare ad insistere solo sulla formazione degli insegnanti di sostegno non farebbe altro che reiterare colpevolmente la distorsione verso la delega ai soli docenti specializzati del processo d’inclusione scolastica, dimenticando l’autentico spirito della Legge 517/77, che è quello del “sostegno del contesto”.
Per un’efficace inclusione degli studenti con disabilità nella scuola di e per tutti, dunque, è indispensabile non solo la presenza del docente per il sostegno, ma soprattutto realizzare contesti “flessibili”, dotati di ambienti, strumenti e materiali resi accessibili anche grazie alla presenza costante di figure educative di riferimento.
In proposito, un’altra inspiegabile “incompiuta” del Decreto 66/17 è, come previsto dall’articolo 3, la mancanza del riconoscimento del profilo giuridico dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione e, per gli alunni con disabilità visiva, dell’auspicabile istituzione da parte del Ministero della figura dell’“esperto in scienze tiflologiche” o, quanto meno, di una figura che possegga competenze di base in tiflopedagogia e tiflodidattica (la tiflologia è la scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva, al fine di indicare soluzioni per attuare la loro piena integrazione sociale e culturale).
Anche la formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulle singole disabilità, stabilita dall’articolo 13 del Decreto 66/17, mi pare un po’ lacunosa, in quanto non prevede alcun obbligo di osservarla.
Infine, il GIT (Gruppo per l’Inclusione Territoriale), che è senz’altro l’elemento di maggiore novità dell’intero Decreto 66/17, istituito ai sensi dell’articolo 9, con il compito di sostituire l’operato del GLIP (Gruppo di Lavoro Interistituzionale Provinciale), non ha ancora visto la “luce” e tuttora langue nei meandri dei cassetti ministeriali.
Senza trascurare, tra l’altro, la grave e frequente disapplicazione da parte del Ministero sui diritti delle famiglie degli studenti con disabilità rispetto alla loro effettiva partecipazione ai GLO (Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione) e su un loro reale coinvolgimento nella formulazione e predisposizione del Piano Educativo Individualizzato (PEI).
E per concludere, nutro pure alcune perplessità relativamente al comma 4 dell’articolo 3, che istituisce l’assistenza igienico-personale degli allievi con disabilità a “carico” dei collaboratori scolastici. Esso, infatti, non essendo stato esplicitato da chiarimenti nemmeno dall’attuale Governo, a mio avviso fa certamente discutere, proprio per ragioni di mancata chiarezza.
In definitiva, per quanto finora esposto, senza l’applicazione di tali indifferibili principi “inclusivi”, veri e propri discriminanti e spartiacque pedagogici, difficilmente il Decreto 66/17 farà transitare la scuola italiana dalla vecchia dimensione integrativa alla nuova cultura dell’inclusione per tutti. Spero tanto di sbagliarmi e che la “luce” di questo nuovo anno porti agli alunni e alle alunne con disabilità del nostro Paese il “regalo” di una scuola diversa e veramente inclusiva.