Vorrei scrivere di situazioni e dati a me molto vicini, per evidenziare le criticità e alcune buone pratiche (poche per la verità) in una Regione come la Puglia, per quello che concerne la Sanità per le persone con disabilità.
Prima di mostrare alcuni dati, credo sia doveroso da parte mia far entrare il lettore in un mondo per alcuni poco conosciuto e che per me è la quotidianità, essendo io stessa una persona con disabilità.
Siamo 222.000 in questa Regione, il 5,6% della popolazione con gravità e il 2,4% da 0 a 44 anni (dati ISTAT). Spesso si sente parlare di integrazione, ma questa bella parola molto spesso rimane tale o cerca di venir fuori attraverso progetti che prendono il via e poi si ridimensionano o non vengono rifinanziati.
La spesa pro capite per la disabilità evidenzia che nelle 15 città più popolose d’Italia Bari è all’ultimo posto con il 3,36% contro Catania, che non è tra i primi posti, con il 15,77% (dati Openpolis). Un po’ di respiro ora lo darà il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), con i fondi a favore delle persone con disabilità che in Puglia saranno di circa 31,30 milioni di euro, anche se non ci sono dati sull’avanzamento dei progetti finanziati (45 progetti spalmati nei vari territori) (dati Openpolis).
La paura dell’autonomia differenziata soprattutto per le Regioni del Sud Italia e in particolare per il comparto Sanità è molto forte, dove i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) sono ancora poco rispettati e dove, per esempio, nella città di Bari non c’è una piscina terapeutica pubblica per la riabilitazione di bambine e bambini, come per adulti con disabilità e dove si è costretti a proprie spese a viaggi settimanali a spese della persona con disabilita o famiglie.
In questo àmbito e per quest’anno è stato approvato il “Patto di Cura” che prevede un contributo di 20 mensilità da 1.200 euro ciascuna da riconoscere in caso di assunzione di un assistente o di un educatore… e poi?
Come scrivevo sopra, i progetti partono, ma poi non si sa se vengono rifinanziati e confermati e le persone con disabilità e loro famiglie vivono tra cura, informazioni non sempre semplici da reperire e spesso non rientrando nei parametri di questo o quel progetto o iniziativa.
Tutto questo ricade spesso anche sul caregiver (molto spesso la donna) che rinuncia al lavoro con ricadute economiche pesanti. Fino a qui si è intesa la disabilità come un progetto assistenziale e non si intende ancora nella nostra società come soggetto attivo e integrata/o a livello lavorativo come vita autonoma.
I portali SINTESI delle sei Province pugliesi (acronimo che sta per Sistema INTEgrato dei Servizi per l’Impiego dell’Agenzia Regionale Politiche Attive del Lavoro) evidenzia, con i dati riportati, che la Puglia è una Regione che fatica ancora molto nel garantire il rispetto della normativa e a promuovere l’inserimento e l’integrazione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro attraverso il cosiddetto “collocamento mirato” (Legge 68/99). A distanza di 25 anni da tale norma parliamo ancora dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità come se fosse un’eccezione e non la normalità e le aziende preferiscono ancora oggi pagare la sanzione, anziché assumere le persone in base alla quote previste dagli obblighi normativi. Si trascura l’apporto lavorativo di noi con disabilità a livello produttivo e socioculturale.
Tra i progetti finanziabili c’è il Sostegno familiare, che non prevede l’assunzione della figura professionale, ma che eroga un contributo mensile (massimo 700 euro in base all’ISEE) per il caregiver, ma il problema fondamentale sono i tempi lunghissimi e a volte i fondi terminano anche per le domande finanziabili ma non erogabili.
Situazione ancora più annosa è data dalle liste di attesa anche per le persone con disabilità per visite specialistiche e analisi strumentali che spesso percorrono le stesse tempistiche di chi non ha una disabilità: il punto è che le prime hanno la necessità di recarsi in maniera continuativa nelle strutture sanitarie e non al bisogno o per una forma di prevenzione, e spesso ci si sposta in altre Regioni per ricevere cure adeguate, aggravando ulteriormente la situazione. Una recente ricerca dell’Osservatorio Cittadini e Disabilità, realizzata in collaborazione con SWG [se ne legga già ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.] evidenzia inoltre una significativa mancanza di percorsi sanitari specifici per le persone disabilità.
Per rendere la Sanità pugliese più inclusiva e rispondente alle necessità delle persone con disabilità, è essenziale intervenire su vari fronti: l’introduzione di procedure personalizzate, percorsi terapeutici adattati e modalità di comunicazione accessibili, riduzione delle liste d’attesa, abbattimento delle barriere architettoniche negli ambienti sanitari, perché la rimozione di questi ostacoli è importante per garantire l’accessibilità e l’autonomia delle persone con disabilità fisiche. E ancora, potenziamento delle cure domiciliari, formazione degli operatori sanitari e soprattutto sarebbe auspicabile lo sviluppo di una piattaforma per raccogliere dati epidemiologici e clinici sui problemi di salute delle persone con disabilità; infatti, personalmente, ho avuto non poche difficoltà nel raccogliere dati riconducibili alle persone con disabilità in àmbito sanitario, sia a livello nazionale che regionale con dati frammentati, e questo fa intuire che siamo una categoria di cittadini ancora poco attenzionata.