La seguente lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella da Paola Tricomi, ricercatrice dell’Università per Stranieri di Siena e donna con disabilità motoria, in occasione della recente Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità del 3 dicembre, si è trasformata successivamente in una petizione (disponibile a questo link), cui tutti e tutte possono aderire.
Diamo quindi spazio al testo della lettera.
Egregio Signor Presidente della Repubblica, sono una ricercatrice dell’Università per Stranieri di Siena, mi occupo di letteratura italiana, ma anche di lotta per le pari opportunità. Sono una persona con disabilità motoria grave, causata da una malattia neuromuscolare chiamata SMA (atrofia muscolare spinale). Mi servo di una carrozzina elettronica per camminare e di un ventilatore polmonare per respirare. Tutto questo però non mi definisce, anzi descrive molto poco di tutto ciò che sono.
Ho deciso di scriverle in occasione della Giornata Mondiale della Disabilità per manifestarle un problema sociale reale e un disagio incredibile vissuto dalle persone con disabilità, di cui ho modo ogni giorno di rendermi conto. Solo per farle un esempio: le persone con disabilità motoria grave stanno vivendo un tempo inedito rispetto alla storia della progressione clinica. Gli ausili sempre più tecnologicamente sofisticati di cui disponiamo, le conoscenze avanzate e l’approccio sanitario multidisciplinare permettono una cura che migliora enormemente la qualità delle vite. Le aspettative di vita si sono allungate in molti casi e gli obiettivi raggiungibili si sono incredibilmente moltiplicati, ma tutto ciò non è stato accompagnato da un supporto socio sanitario valido che sorreggesse le fatiche assistenziali delle famiglie e le aspettative di vita autonoma degli adulti con disabilità.
La presenza dei familiari, ad oggi, è un elemento chiave nella vita delle persone con disabilità perché sono le famiglie a farsi carico delle fatiche di spostamento per questioni sanitarie, oltre che di ogni altra necessità che il soggetto esprime (studiare, lavorare, fare sport ecc.). Le famiglie, tuttavia, con l’accrescersi dell’età, faticano e nella maggior parte dei casi arrancano nella gestione delle necessità del soggetto con disabilità. La mancanza di reali e accessibili percorsi all’autonomia ha determinato per molte persone con disabilità la mancata possibilità di esprimere se stessi. Per queste ragioni, la maggior parte delle persone con disabilità hanno paura del futuro o semplicemente non riescono a vedere la loro realizzazione come individui adulti nella società italiana.
Questo contesto sociale getta la persona con disabilità nella totale dipendenza verso chi resta ad assisterla e conduce in moltissimi casi a situazioni di violenza psicologica o anche fisica, per lo più non nota. Al polo opposto vi sono casi di totale abbandono che conduce alla morte. La maggioranza di queste persone non ha nemmeno la possibilità di poter denunciare i propri disagi e combattere per i propri diritti. Ma tutto ciò che non vien detto o reclamato rimane alla non conoscenza collettiva. Le persone con disabilità, invece, se correttamente sostenute dalle Istituzioni, sono un’incredibile risorsa per la società, come ogni essere umano. Noi tutto ciò lo stiamo perdendo con lentezza e senza accorgercene.
Mi rendo conto che alla nostra società serve una vera rivoluzione, ma essa non sarà mai possibile se non si parte dalle leggi. Bisogna purtroppo riconoscere che le leggi italiane non rispondono alle esigenze di autodeterminazione e autonomia delle persone con disabilità di oggi, in quanto non rendono possibile una realizzazione piena dell’individuo adulto con disabilità. Eppure soltanto quattro elementi chiave di ragionevole fattibilità aprirebbero ad un reale cambiamento:
1. Una legge unica a valenza nazionale che superasse la discrezionalità regionale e riconoscesse il diritto all’assistenza connesso alla realizzazione di modelli di Vita indipendente;
2. Una chiara linearità nei criteri di assegnazione del supporto economico, legata esclusivamente alla gravità della condizione clinica della persona e alla sua necessità di assistenza;
3. Un protocollo nazionale che imponesse ad ogni Distretto Socio-Sanitario lo sviluppo di percorsi assistenziali individualizzati, tesi al raggiungimento del più alto grado di autonomia possibile fin dalla maggiore età del soggetto con disabilità, indipendentemente dalla presenza dei familiari e\o di un’attività lavorativa della persona con disabilità;
4. Il riconoscimento legale della figura professionale di assistente alla persona, con un contratto specifico per questa professione.
Ritengo questo cambiamento necessario per l’avanzamento civile italiano perché è l’unico strumento capace di rendere le persone con disabilità in grado di prendere in mano la propria vita.
Ritengo, tuttavia, che questo cambiamento sarebbe anche per la società una spinta decisiva a considerare la persona con disabilità unica e comune, come lo siamo tutti, in quanto libera di poter scegliere e poter donare alla società il meglio di sé.
Più volte è stato detto: abbattere le barriere che limitano la vita delle persone con disabilità vuol dire costruire un mondo più civile e democratico per tutti. Io, che ho avuto sempre molta fiducia nelle Istituzioni, auspico che questo non resti soltanto uno slogan.
Ricercatrice dell’Università per Stranieri di Siena, persona con disabilità motoria grave.
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