Tutte le sere, dovete sapere, ho la consuetudine (bella o brutta che sia…) di farmi accompagnare dolcemente nel mondo dei sogni da film, serie tv, news dal mondo, e quant’altro.
Ma proprio qualche sera fa, mi è accaduto un fatto curioso: guardavo la trasmissione televisiva O anche no – condotta dalla nota giornalista e produttrice televisiva Paola Severini Melograni – ma di lasciarmi andare tra le braccia di Morfeo, non avevo proprio voglia!
Questo perché aveva catturato la mia attenzione una delle “mini-rubriche” del programma, A scuola con Anna, in cui Guido Marangoni – ingegnere informatico, insegnante all’Università di Padova, scrittore, e papà di Anna, bimba con sindrome di Down – ha fatto una particolare correlazione tra scatole e fragilità.
Guido, infatti, racconta di proporre spesso e volentieri nelle scuole un gioco insieme a sua figlia, dove mostra due scatole: una con la scritta “fragile” e una in cui non è scritto nulla. Dopo invita i bambini o i ragazzi a maneggiarle, e infine fa un’osservazione: in genere, abbiamo la tendenza di maneggiare con molta più cura la scatola con la scritta “fragile”, perché l’altra sembra più robusta e solida.
Poi Marangoni aggiunge: «Quando sentiamo le belle frasi della “potenza della fragilità”, “quando sono fragile, allora sono forte”, mi sono sempre detto che […] non hanno alcuna aderenza con la realtà. Però, le scatole mi hanno suggerito che non è così. Perché? Perché la fragilità della scatola diventa una potenzialità nel momento in cui la racconta a noi con quel suo bel nastro bianco e rosso. E allora, ho pensato che il suo raccontare la fragilità si sintonizza con la mia cura, con […] la cura di ognuno di noi. E allora se ce la fanno le scatole, ce la facciamo anche noi, raccontando con fantasia e creatività le nostre fragilità e quelle che stanno intorno, per scatenare la cura che è in ognuno di noi».
A queste parole, non ho potuto fare a meno di “sussultare” nel mio letto! In due minuti, infatti, ho scoperto di avere tante cose in comune con Guido: innanzitutto, entrambi siamo formatori, facciamo incontri nelle scuole per trasmettere e portare avanti con determinazione e creatività idee che siano in grado di rivoluzionare la cultura della diversità e dell’inclusione; abbiamo uno stile comunicativo davvero simile: adoriamo “personificare” e “far parlare gli oggetti”; e dulcis in fundo, il connubio “scatole-fragilità” ci affascina molto.
Un po’ di tempo fa, infatti, questa correlazione è stata oggetto di riflessioni importanti in un articolo che ho scritto per la rivista mensile «Il Messaggero di Sant’Antonio», dal titolo La fragilità è un pacco?.
Qui, inoltre, scrivevo che, oltre a “fragile”, vi è spesso un’altra dicitura abbinata a questo tipo di pacchi: “tenere verso l’alto” con tanto di freccia rivolta all’insù.
La domanda sorgeva spontanea: «Che fare allora? Guardare in basso o guardare in alto? Scegliere a volte non è del tutto immediato. Se guardo in basso, infatti, avvertirò solo il peso della fragilità, ma se guardo troppo in alto, rischio di maneggiare il suddetto pacco con eccessiva delicatezza […]. Quando ci approcciamo alla fragilità, insomma, tendiamo a complicarci la vita. Ci dimentichiamo che esiste un equilibrio tra lo sguardo che sta in basso e quello che sta in alto e che è proprio lì in mezzo che la maggior parte delle nostre forze e possibilità si concentra».
Dunque il trucco sta proprio in questo, ascoltare cosa ci dicono le scatole – come suggerisce Guido – per poi scoprire che la verità sulla fragilità sta proprio nel mezzo, in una prospettiva che accoglie tutte le fragilità, sia che guardiamo verso l’alto, sia che guardiamo verso il basso.
E quindi, secondo voi la fragilità è un “pacco”, o anche no? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.
Pensiero Imprudente
Ormai dalla fine del 2022 Claudio Imprudente è divenuto una “firma” costante del nostro giornale, con questa sua rubrica che abbiamo concordato assieme di chiamare Pensiero Imprudente, grazie alla quale sta impreziosendo le nostre pagine, condividendo con Lettori e Lettrici il proprio sguardo sull’attualità.
Persona già assai nota a chi si occupa di disabilità e di tutto quanto ruota attorno a tale tema, Claudio Imprudente è giornalista, scrittore ed educatore, presidente onorario del CDH di Bologna (Centro Documentazione Handicap) e tra i fondatori della Comunità di Famiglie per l’Accoglienza Maranà-tha. All’interno del CDH ha ideato, insieme a un’équipe di educatori e formatori specializzati, il Progetto Calamaio, che da tantissimi anni propone percorsi formativi sulla diversità e l’handicap al mondo della scuola e del lavoro. Attraverso di esso ha realizzato, dal 1986 a oggi, più di diecimila incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole italiane. In qualità di formatore, poi, è stato invitato a numerosi convegni e ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche.
Già direttore di una testata “storica” come «Hp-Accaparlante», ha pubblicato libri per adulti e ragazzi, dalle fiabe ai saggi, tra cui Una vita imprudente. Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia e il più recente Da geranio a educatore. Frammenti di un percorso possibile, entrambi editi da Erickson. Ha collaborato e collabora con varie riviste e testate, come il «Messaggero di Sant’Antonio», per cui cura da anni la rubrica “DiversaMente”. Il 18 Maggio 2011 è stato insignito della laurea ad honorem dall’Università di Bologna, in Formazione e Cooperazione.
Nella colonnina qui a fianco (Articoli correlati), i contributi che abbiamo finora pubblicato, nell’àmbito di Pensiero Imprudente.