Da giovane mi insegnarono che esiste una sola verità inconfutabile, quella dei fatti. Oggi non è più così; di fronte all’evidenza, all’oggettività della realtà si può dire infatti che «non è vero». È sufficiente essere un personaggio, un politico, un influencer, un giornalista, per dire una verità opposta, negare l’evidenza dei fatti, confutare scoperte scientifiche o affermare la propria tesi. Tutto si trasforma in propaganda, in tifoseria. Del resto la tecnologia ha imposto all’uomo occidentale un tempo veloce che ha limitato i tempi di riflessione, di ripensamento, di pensiero autonomo. Le informazioni vengono inghiottite e mal digerite.
Eppure sulle verità e sulle certezze si è costruita da sempre l’esistenza dell’uomo. «La vita brillava tutta di ninnoli vezzosi come fosse sempre domenica», scriveva uno scrittore ungherese. La scienza a fine Ottocento aveva aperto le porte all’ottimismo sociale e alla fiducia nel futuro. Oggi diffidiamo della scienza, viviamo privi di certezze, immersi in uno stato d’ansia continua. La tecnologia, a differenza della scienza, ingenera disorientamento nelle persone. Invade ogni attimo della nostra esistenza, spinta non dall’esigenza di creare benessere, ma dal mercato, generatore unico della spasmodica innovazione. Crea relazioni malate e sta trasformando l’homo sapiens in un “uomo da allevamento”, modellato e nutrito dal mercato. La tecnologia invade la nostra vita, il nostro corpo, e la nostra mente, sempre più sostitutiva dell’uomo e delle sue capacità. Tuttavia la volontà di ricerca ci appartiene e non dev’essere interrotta; è però indispensabile solo se è al servizio dell’uomo e non del profitto. Quell’incontrollato ed esasperato desiderio di profitto che ha cambiato i rapporti familiari, scolastici, religiosi, lavorativi ecc., portandoci ad essere sempre più individualisti, sempre più monadi chiuse in se stesse alla ricerca di un’esistenza autarchica con relazioni solo strumentali e opportunistiche.
Pure il rapporto con il lavoro è cambiato, anche se per la maggior parte delle persone con disabilità non è cambiato, perché non l’hanno mai avuto. Infatti, il Collocamento Disabili, guidato da timonieri incapaci e attorniato da una pletora di soggetti profit alla ricerca di vantaggi economici, si è arenato da tempo. Non poteva essere diversamente, visto che da due decenni disponiamo di politici impreparati, disattenti, disinteressati, e non in grado di affrontare una contraddizione sociale così complessa. Pertanto i Ministri del Lavoro e gli Assessori Regionali che si sono susseguiti hanno fatto fallire l’intero sistema del collocamento e la Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili).
Ma se la classe politica nazionale è impreparata in materia di disabilità/lavoro, i politici regionali sono anche del tutto disinteressati, vivendo soddisfatti per il fatto che nessuno si lamenta e lasciano alle loro agenzie regionali, ai dirigenti e agli uffici provinciali, la gestione del tran-tran burocratico quotidiano. Si è così creato una sorta di “sistema arlecchino”, dove più delle leggi contano gli usi e costumi locali, e più dei risultati conta la propaganda sul loro operato. Eppure la classe politica e le istituzioni coinvolte sanno che il sistema non funziona, ma visto che tutto tace, è meglio non aprire un vaso di Pandora come quello del Collocamento Disabili e della riforma della Legge 68. Continueremo così ad avere uffici burocratico-amministrativi più o meno efficienti, privi di servizi per l’inserimento lavorativo che si interessano alle difficoltà di centinaia di migliaia di persone con disabilità e di imprenditori. La stessa Legge 68 è stata mal gestita e interpretata, inaridendola e riducendola ad un insieme di rigide procedure inefficaci. Oramai obsoleta, essa sopravvive a se stessa, in un mondo radicalmente cambiato, in attesa di una riforma rimandata di governo in governo. Del resto la politica non dispone di tecnici, di parti sociali preparate in materia. Infatti, chi dovrebbe rappresentare la disabilità/lavoro non conosce la realtà, il funzionamento del sistema, non ha alcuna esperienza sul campo, per poter spronare i governi che si susseguono con la data di scadenza a breve termine. Anche le poche misure legislative, varate dopo l’anno Duemila (il Decreto Legislativo 151/15, le Linee Guida in materia di collocamento mirato e altri provvedimenti ministeriali) sono state solamente in parte attuate dalle Regioni e dagli Uffici Provinciali competenti.
Alla schiera dei naviganti tentennanti, si affiancano maestri impreparati; quelli che insegnano a chi si occupa di inclusione e quelli che parlano e scrivono sul tema privi delle necessarie conoscenze e competenze, e senza avere alcuna esperienza di mercato del lavoro “debole”. Teorici che non sanno concretizzare i loro insegnamenti e che lasciano gli ascoltatori privi di utili apprendimenti, o che si rifanno a modelli sociali, economici e produttivi oramai superati.
Viviamo in un mondo del lavoro sempre più caratterizzato da precarietà, flessibilità e complessità, dove i lavoratori sono spesso sostituiti dall’automazione, dalla robotica ecc., mentre le relazioni sono all’insegna dell’individualismo e della competitività, orfani di qualsiasi forma di solidarietà. Un lavoro che fatica a cambiare la qualità di vita delle persone, che a molti non dà dignità e ruolo sociale e che spesso non favorisce lo sviluppo della comunità territorialmente coinvolta. Tutto questo ricade con maggior drammaticità sui soggetti più fragili e socialmente più vulnerabili.
Nel frattempo il tempo passa e nulla cambia: basti dire che in dodici mesi l’attuale Governo non ha ricevuto alcuna sollecitazione in merito alla riforma della Legge 68. Pertanto, come ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) stiamo conducendo un’azione in solitaria fra i palazzi romani, per cercare di riformare la legge, sollecitare le Regioni affinché pongano maggior attenzione al loro collocamento, e promuovendo servizi provinciali in franchising su tutto il territorio nazionale; servizi che dovrebbero dare il proprio contributo per colmare i vuoti lasciati da altri, operando con tutti i soggetti sociali interessati.
A tal proposito sollecitiamo i soggetti sociali non profit (Associazioni, Fondazioni, Cooperative Sociali ecc.) a contattarci. ANDEL è in grado di fornire tutto il necessario supporto organizzativo e formativo a chi vuole creare un servizio per l’inclusione lavorativa. Vogliamo costruire servizi territoriali in grado di gestire i percorsi di accompagnamento al lavoro soprattutto per i soggetti più fragili, e sostenere le aziende nello sviluppo del progetto personalizzato per l’assolvimento degli obblighi. Si tratta di servizi che non operano in competizione con alcuno, ma che anzi richiedono la collaborazione di tutti per costruire un sistema territoriale efficace. Essi, infatti, vengono attivati dopo avere incontrato e verificato la disponibilità collaborativa del Collocamento Disabili competente per territorio. Successivamente vengono programmati incontri con i soggetti sociali interessati: Comuni, Associazioni imprenditoriali, Associazioni di persone con disabilità, Cooperative Sociali, Servizi Socio-Sanitari, Università ecc.
ANDEL fornisce il supporto organizzativo per la gestione della quotidianità, forma il personale dedicato, e mantiene la supervisione e il monitoraggio del servizio fino al raggiungimento della piena autonomia. In questi inizi del 2024 saranno attivi i primi servizi nelle città di Verona, Ferrara, Arezzo e Perugia.
Questi servizi territoriali devono costituire un modello per affrontare l’inserimento lavorativo degli iscritti al Collocamento Disabili (circa l’80%) che necessitano di una mediazione e di un accompagnamento al lavoro personalizzato.
Dobbiamo trovare la forza di superare la sfiducia, di uscire dal ghettizzante silenzio che ci circonda, e trovare il piacere di essere protagonisti del nostro futuro.
Ogni interessato può contattare direttamente lo scrivente.