Continuiamo a dare spazio ai commenti su quanto recentemente scritto da Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera», in tema di inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità, ciò di cui abbiamo già avuto modo di occuparci in altre parti del nostro giornale (si vedano a fianco gli Articoli correlati).
Questa volta riceviamo e ben volentieri pubblichiamo l’opinione di Giovanni Marino, presidente dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo).
Ecco il punto: non si tratta di tornare all’esclusione, ma di applicare bene una legge avanzata. Infatti non mancano i problemi; vincoli sindacali e le graduatorie sommate alla facoltà delle scuole di nomina dei posti in deroga alimentano il clientelismo a scapito della formazione degli insegnanti di sostegno, provocando ingenti impegni di spesa, quasi tutti privi di un minimo di efficaci. Dunque è vero che tutta questa popolazione convive nelle classi priva di un progetto educativo, ma la soluzione non è tronare alle classi differenziali, quanto, appunto, applicare la legge con scienza e coscienza.
Un po’ di anni prima della Legge 104 era stata emanata la “Legge Basaglia” (Legge 180/78) che chiudeva i manicomi, ove venivano internate e tenute separate dalla società tutte le persone con autismo insieme ad altre disabilità intellettive. Così si sono affermate le Neuroscienze. Riapriamo dunque anche i manicomi? Le neuroscienze in questi anni hanno fatto enormi progressi, dimostrando che anche da una persona con residue capacità si possono trarre delle potenzialità spendibili come contributo alla vita sociale.
Lo ha ricordato anche il nostro Presidente Sergio Mattarella, quando in occasione dei saluti per il nuovo anno ci ha parlato dell’iniziativa di PizzAut dove circa 500 ragazzi con autismo sperimentano occasioni lavorative certamente di autostima, ma sicuramente di valore produttivo in termini di impegno sociale.
Le Neuroscienze dimostrano che si possono trasformare persone che presentano alti bisogni di supporto in soggetti utili nella società produttiva. Non tanto per il principio di solidarietà sociale, ma perché in questi casi la persona con disabilità che viene formata presenta un costo economico nullo o nettamente inferiore di quello dell’assistenza.
Le tecniche riabilitative di tipo cognitivo comportamentale hanno bisogno dei contesti di vita per esprimere la loro efficacia, con vantaggi per tutta la classe, così come dimostra anche il desiderio delle famiglie di iscrivere i propri figli nelle classi dove è presente un alunno con disabilità. Le classi speciali sono frutto di un’altra cultura, quella dell’esclusione, dell’apartheid, del diverso.
Tutte le rivoluzioni date dalla “Legge Basaglia”, dalla Legge 104 e dall’affermazione delle Neuroscienze hanno faticato decenni per essere pienamente applicate e il percorso non è ancora concluso. Quello della piena integrazione scolastica e dell’inclusione è fermo per responsabilità dei Governi, incapaci di offrire insegnanti di sostegno adeguatamente formati, mentre invece preferiscono spendere per incrementarne il numero. Un esercito privo di qualsiasi formazione costa molto di più di insegnanti qualificati che garantiscono maggiore efficacia in un rapporto insegnanti-alunni meno esclusivo. Le Associazioni che tutelano gli alunni con disabilità dovranno essere più capaci di indirizzare le Istituzioni a superare ostacoli burocratici e culturali. E mescolare disabilità e immigrazione, come fanno nei loro interventi alcuni grandi intellettuali un po’ avulsi dalla realtà, è tanto irrispettoso quanto inquietante.