Su quanto recentemente scritto da Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera», in tema di inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità, ciò di cui abbiamo già avuto modo di occuparci in varie altre parti del nostro giornale (si vedano a fianco gli Articoli correlati), riceviamo oggi e ben volentieri pubblichiamo l’opinione di Silvia Cutrera, coordinatrice del Gruppo Donne della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Parole scritte è la rubrica del «Corriere della Sera» in cui Ernesto Galli della Loggia, il 13 gennaio scorso, recensendo il libro di Giorgio Ragazzini Una scuola esigente, definisce, utilizzando esclusivamente il linguaggio plurale maschile, «l’inclusione come mito» e la scuola italiana come «il regno della menzogna».
Sotto accusa la convivenza tra «allievi cosiddetti normali, ragazzi disabili, ragazzi con i Bes e ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola in italiano», responsabile, insieme a insegnanti di sostegno ritenuti impreparati e famiglie ritenute opportuniste per la richiesta di piani educativi personalizzati, di ostacolare l’apprendimento e la formazione di tutti gli altri studenti.
Queste parole hanno suscitato molte critiche sia per l’arrogante superficialità nel trattare tali questioni che per la deriva a cui possono portare modelli discriminatori di separazione ed esclusione auspicati, come sembra, da Galli della Loggia.
Si trasmettono in tal modo devianti messaggi sulla superiorità e inferiorità, normalità e anormalità, accettazione e esclusione, vite che meritano o meno rispetto.
Nelle Parole scritte da Galli della Loggia, si denota una mentalità abilista riferita all’idea che le persone con disabilità siano viste come inferiori rispetto alle persone senza disabilità, e che quindi meritino un trattamento diverso o addirittura negativo, ma, attribuendo alle persone con disabilità caratteristiche negative, si aggiungono pregiudizi a gruppi già marginalizzati.
In tal modo, infatti, le idee relative al dis-valore delle persone con disabilità continuano a circolare e alimentare i discorsi d’odio contro individui e gruppi, generando offese e aggressioni sul web, minacce e molestie, insulti attraverso l’utilizzo di parole inerenti la disabilità come forma di oltraggio.
Le parole di odio spesso non vengono riconosciute come tali, mentre gli effetti di questa forma di abilismo psicologico ed emotivo colpiscono l’immagine di sé e la sicurezza delle persone con disabilità, creando cicatrici a livello individuale e collettivo, sostenendo modelli culturali sempre più ampi di intolleranza.
Il paradigma discriminatorio di chi considera la disabilità una caratteristica umana di inferiorità, si basa sulla convinzione errata che le persone con disabilità non siano in grado di partecipare pienamente alla società, mentre è bene ricordare che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità definisce la condizione di disabilità quale risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la piena partecipazione alla società sulla base di uguaglianza con gli altri.