La disabilità logora… chi ce l’ha!

«E se oltre che per l’inclusione, provassimo anche a lottare per l’equivalenza disabilità=lavoro usurante?»: si basa tutta su questo la nuova incursione di Gianni Minasso nella sua rubrica “A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia)”, fatta di pungente ironia, di grottesco e talora della comicità più o meno involontaria che, come ogni altra faccenda umana, può riguardare anche il mondo della disabilità

Realizzazione grafica di Gianni Minasso

Realizzazione grafica di Gianni Minasso

Alle volte succede: s’incomincia a scrivere un articolo “serio” e poi, strada facendo, ci si accorge dei numerosi risvolti, potenzialmente comici, racchiusi in esso. Allora, come mi è capitato con il pezzo odierno, basta premere un briciolino di più l’acceleratore della satira e presto ci si trova tra le mani l’ennesimo sberleffo al peso della disabilità, alle difficoltà in essa contenute, a chi fa orecchie da mercante, a chi se ne approfitta eccetera.
Quanto seguirà è già stato pubblicato sulla rivista «Vincere Insieme» (n. 2/2023) della UILDM di Torino (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Per gentile concessione ne pubblichiamo in questa sede una versione leggermente modificata e dai denti più… aguzzi!

Da tempo e da più parti si levano continue voci di protesta sull’esiguità delle risorse statali messe a disposizione degli àmbiti relativi alle varie disabilità. Senza andar a toccare l’altro tema assai delicato concernente i criteri tecnico-burocratici di distribuzione di questi stanziamenti [“a muzzo”, commenterebbero i più raffinati, N.d.A.], si potrebbe tentar di escogitare nuove soluzioni per stanare qualche quattrino in più, magari dopo aver sensibilizzato meglio certi politici (a sberle?) e l’opinione pubblica (a botte di inclusione). Io, modestamente, un’idea ce l’avrei e la butto lì, come si dice “Un po’ per celia, un po’ per non morire” (Puccini, Madama Butterfly, Secondo atto, Aria Un bel dì, vedremo). Questo machiavello consisterebbe semplicemente nell’equiparare gli stati di disabilità media e grave con i cosiddetti (e classificati) “lavori usuranti”.

Bum! A tutti i miei 21 lettori di Superando [più modestamente, non i 23 di Guareschi e nemmeno i 25 di Manzoni, N.d.A.] che ancora non fossero svenuti dopo questa spiazzante affermazione, cercherò di offrire ulteriori chiarimenti.
Tramite il Decreto Legislativo 374/93 il legislatore ha definito come lavori usuranti quelli per i quali «è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee». La Corte di Cassazione ha poi precisato che il lavoro usurante è quello che: «1) Induce uno sfruttamento anormale, eccessivo, sproporzionato e doloroso delle energie residue. 2) Provoca l’instaurarsi di uno stato patologico o l’aggravarsi di uno stato patologico preesistente. 3) Determina un grave pregiudizio della residua efficienza fisica. 4) Logora l’organismo».
A questo punto sfido qualsiasi “normodotato” a contestare i fin troppo evidenti parallelismi con la disabilità e quindi con «l’impegno psicofisico particolarmente intenso» di chi ha un handicap, e perciò è costretto a «sfruttare in modo anormale, eccessivo, sproporzionato e doloroso le proprie energie residue», patisce «l’aggravarsi della patologia», vede diminuire «la residua efficienza fisica» e «logorare l’organismo».

Le professioni usuranti possono implicare l’esposizione a sostanze pericolose (come l’handicap e i suoi agenti patogeni, pranzi di beneficienza inclusi) o a variazioni climatico-ambientali (alte o basse temperature, avvertite più intensamente da chi è disabile e magari è pure obbligato a frequentare ambienti dannosi; e non pensate soltanto ai centri diurni, ce ne sono anche altri…), costringere in spazi ristretti e confinati (carrozzine, letti ortopedici, mezzi di trasporto inidonei, luoghi scarsamente o parzialmente accessibili eccetera), svolgersi durante la notte e alterare il bioritmo fisiologico (numerose insonnie e lacune nel riposo per cause dirette o indirette, prodotte dai fattori invalidanti e dalle assenze dei badanti), oppure con ritmi e tempi predefiniti e non controllabili né modificabili dal lavoratore (pieghe dei vestiti, cambi di posizione difficoltosi o impossibili, anchilosi, decubiti e via di questo passo). Inoltre, la faticosità del lavoro (e della disabilità) produce nel tempo un’usura anticipata o più severa (assioma sacrosanto) rispetto a quella fisiologicamente legata al normale processo di invecchiamento dell’individuo (cioè a quello del fortunato “normodotato”), causando negli anni un peggioramento della qualità di vita (contro cui le persone con disabilità lottano quotidianamente, spesso invano) e talvolta anche una riduzione degli anni vissuti (purtroppo verissimo).
Quindi, con questa parificazione, il disabile grave si troverebbe perlomeno “incluso” (e finalmente si potrebbe adoperare a ragion veduta questo participio passato) nel nutrito elenco ufficiale dei “lavoratori usurati”, accanto a palombari, infermieri, ostetriche, minatori, braccianti, soffiatori di vetro, facchini, metronotte, operatori ecologici, maestre d’asilo, pescatori, macchinisti di treno, gruisti eccetera (piccola nota a margine: se i salariati di questa lista fossero tutti qui, a parte qualche sorriso, non ci sarebbe altro da commentare, tuttavia la nostra gastrite nasce dal fatto che sono presenti pure gli «addetti all’assistenza di persone non autosufficienti [loro, proprio loro, i famigerati badanti!, N.d.A.]» e quindi, considerando imperizie, trascuratezze, sbagli, distrazioni, ritardi, eloqui approssimativi, settimane di mutua, pretese salariali e grane sindacali, credo che ci siano gli estremi per un’immediata denuncia al Tribunale dell’Aia).

Comunque, trovato un posticino in questa variopinta categoria di “lavoratori logori”, il portatore di handicap sarebbe dunque in grado di aspirare a entrare nella normativa che elargisce consistenti benefici previdenziali.
A questo punto qualche bagonghi invidioso potrebbe obiettare che in qualche modo la faccenda è già contemplata, tuttavia si potrebbe obiettare all’obiezione (e mi si scusi l’allitterazione) affermando che però così sarebbero (forse) garantiti alle persone con disabilità non tanto orari agevolati o permessi speciali (inutili, perché l’handicap è frequentato da stakanovisti no-stop 24/24), bensì maggiori entità retributive, ulteriori compensazioni, più visibilità e di conseguenza più considerazione.
Che ne dite, oltre che per l’inclusione, proviamo anche a lottare per l’equivalenza disabilità=lavoro usurante?
Stan Komorto

Nella colonnina qui a fianco a destra (Articoli correlati), riportiamo l’elenco dei vari contributi di Gianni Minasso pubblicati da «Superando.it», per la rubrica intitolata A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia).

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