Storia di violenza fisica, verbale ed economica su una donna con disabilità

Elena è una giovane con epilessia e sindrome di Sjögren della quale i media si sono occupati principalmente perché è stata aggredita a calci e pugni dall’ex datore di lavoro, cui chiedeva la liquidazione dell’ultimo stipendio. Nella sua esperienza lavorativa, però, c’è stata anche violenza verbale ed economica. È un caso, per altro, in cui non è semplicissimo stabilire un nesso diretto con la disabilità: quell’uomo, infatti, si era già distinto per condotte violente con un altro dipendente. Sulla vicenda pubblichiamo anche un contributo dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia)

Realizzazione grafica dedicata alla violenza sui luoghi di lavoro

Una realizzazione grafica dedicata alla violenza sui luoghi di lavoro

La protagonista di questa storia si chiama Elena, ha 23 anni, ma lavora da quando di anni ne aveva 17, vive a Milano, e ha una disabilità dovuta al fatto di essere interessata da un’epilessia criptogenica focale e dalla sindrome di Sjögren primaria sistemica (una patologia autoimmune).
È accaduto che l’8 gennaio scorso Elena si sia presentata al suo ex datore di lavoro per chiedere che le venisse liquidato l’ultimo stipendio e abbia ricevuto in risposta un’aggressione a calci e pugni.
Dell’episodio si sono occupati diversi media, tra i quali «fanpage.it» (Ragazza invalida denuncia: “Non sono stata pagata, quando ho chiesto lo stipendio il mio capo mi ha aggredito” di Ilaria Quattrone, 11 gennaio), «Open online» («Volevo solo essere pagata»: 23enne invalida aggredita dall’ex datore di lavoro con calci e pugni, redazionale del 12 gennaio), la trasmissione Le iene (Picchiata dal capo per avere chiesto lo stipendio, servizio di Eleonora Numico e Roberta Rei, 16 gennaio).

Stando a quanto riferito dai media, nell’agosto 2023 Elena è stata contattata dalla New Home Solution Srl attraverso Linkedin perché, sulla base delle informazioni contenute nel suo curriculum, risultava idonea per un posto di segretaria amministrativa contabile. Il 25 agosto ha svolto un colloquio con quello che sarebbe diventato il suo datore di lavoro, facendo presente la sua disabilità e di rientrare nelle liste per il collocamento mirato previste dalla Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili). In questa occasione l’uomo ha ritenuto che Elena fosse idonea al lavoro e ha concordato con lei che il successivo 11 settembre avrebbe iniziato a lavorare nella sede di Milano con un regolare contratto. Ma questi termini stabiliti in fase di colloquio non verranno rispettati, infatti Elena inizierà a lavorare l’11 settembre, come pattuito, ma l’assunzione regolare sarebbe partita solo dal 2 ottobre, mentre per il periodo precedente (dall’11 settembre al 1° ottobre) si è ritrovata a lavorare in nero.
Assunta in prova per un periodo di due mesi, il 23 novembre ad Elena viene comunicato che non sarebbe stata assunta regolarmente e che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro.
All’inizio dell’attività lavorativa il datore di lavoro si complimentava con Elena per il suo impegno, ma in un secondo momento, quando lei ha richiesto qualche giorno di permesso – cinque in tutto – per motivi di salute legati alla sua disabilità, questi ha iniziato a lamentarsi del suo lavoro, ad insinuare che i suoi malesseri fossero inventati, ad insultarla con termini sminuenti e abilisti (le dava della “rincoglionita”, della “stupida”, della “deficiente”), sessisti (le dava della “zo****” e “tr**”) e razzisti (l’ha chiamata “araba di m****”). Dopo questo “trattamento”, il datore di lavoro ha proposto a Elena di continuare a lavorare per la società senza alcun contratto, venendo pagata in nero. Proposta che la donna ha rifiutato.

Ma la vicenda non si è conclusa, perché il 6 dicembre Elena ha scoperto che l’ultimo stipendio non le è stato accreditato, dunque ha contattato il consulente del lavoro della società, che però le ha detto di rivolgersi al titolare. Il titolare, contattato via WhatsApp, le manifesta che poiché il suo lavoro aveva creato un danno all’azienda, non è intenzionato a liquidare il dovuto, ed elude tutti i successivi tentativi di contatto da parte della donna. È così che nel pomeriggio dell’8 gennaio scorso, tra le 18.30 e le 190, Elena decide di recarsi personalmente ad incontrare il suo ex datore di lavoro nella sede della società.
Elena racconta che appena l’ex datore di lavoro si è accorto della sua presenza l’ha invitata ad andarsene, mostrandosi indisponibile ad ascoltarla. Ma poiché lei insisteva per avere spiegazioni circa i mancati pagamenti, l’uomo l’ha colpita con la mano destra alla sinistra del viso, facendola cadere a terra, quindi l’ha afferrata per i capelli nel tentativo di trascinarla fuori dalla porta.
L’aggressione fisica è avvenuta in presenza di tre ex colleghe di Elena che sono intervenute cercando di allontanare l’uomo, cosa che ha permesso ad Elena di scappare e di chiamare il 112. Intanto però l’uomo, sebbene tenuto a distanza, continuava a inveire contro di lei, minacciandola di morte (le ha detto che le avrebbe tagliato la gola), e proferendo insulti sessisti (la chiamava z***). Ultimata la telefonata al 112, c’è stata un’ulteriore aggressione fisica. Elena riferisce che l’uomo l’ha presa ancora una volta per i capelli e, trascinandola, le ha strappato dal collo le tre collane che indossava. Caduta a terra, l’uomo ha continuato a colpirla con calci e pugni sul volto, alla schiena e al ginocchio, tanto che una delle donne presenti ha ritenuto di chiamare il 118. Ma all’arrivo dei soccorsi, il titolare si era già allontanato.
Nella denuncia presentata alle autorità giudiziarie Elena, tra le altre cose, riferisce che una delle dipendenti le ha proposto che se non avesse sporto denuncia per l’aggressione subita, la società avrebbe subito provveduto a saldare il dovuto. Proposta che Elena ha rifiutato.
Portata all’Ospedale Policlinico di Milano, la donna ha ricevuto le prime cure ed è stata dimessa con una prognosi di dieci giorni. Nel referto che le è stato rilasciato il personale sanitario ha riscontrato che l’aggressione ha avuto i seguenti esiti: «Tumefazione ed ecchimosi peri orbitaria sinistra, lieve emorragia congiuntivale Os, tumefazione labbro superiore con escoriazioni, lieve tumefazione ginocchio sinistro con ecchimosi superficiale».

Intervistata da Roberta Rei delle Iene, a distanza di una settimana, Elena presentava ancora sul volto i segni dell’aggressione. Nel servizio Rei contatta anche un altro ex dipendente della società, che conferma come il datore di lavoro abbia riservato anche a lui minacce, insulti, calci e pugni. Anche il datore di lavoro viene contattato telefonicamente da Le iene per avere un riscontro sulla vicenda.
Nella sua versione dell’episodio egli lamenta che Elena avrebbe arrecato danni per diverse migliaia di euro alla società in ragione delle sue assenze, adducendo questa motivazione quale motivo del mancato pagamento dello stipendio dell’ultimo mese di lavoro. In merito al giorno dell’aggressione afferma di aver detto a Elena che l’avrebbe pagata dopo qualche giorno e di averla invitata ad andarsene, a quel punto Elena si sarebbe avvinghiata alla sua gamba e avrebbe iniziato ad urlare che la stava aggredendo. Dunque lui avrebbe reagito a questa simulazione difendendosi. Quindi sarebbero caduti entrambi per terra, lei lo avrebbe colpito allo sterno, e lui gli avrebbe dato una gomitata al volto. Ammette solo di avere dato una gomitata, e ritiene di aver sbagliato a reagire così, ma non sa dar conto delle altre lesioni riscontrate dal personale sanitario sul corpo di Elena. Dice di non avere aspettato il 118 perché si era spaventato. Davanti all’osservazione che anche un altro ex dipendente avesse lamentato di essere stato vittima di una condotta simile nei propri confronti, nega che quello sia il suo modus operandi, ma manifesta di volere andare da uno psicologo. Ammette piagnucolando di non aver ancora liquidato lo stipendio dovuto a Elena. Rei lo invita a saldare subito il conto e a chiedere scusa, lui dice che lo farà.

Verosimilmente la storia di Elena è riuscita ad avere l’attenzione dei media per il fatto di essere sfociata in una violenza fisica. La violenza economica (il pagamento in nero del primo periodo di lavoro, e la difficoltà nella riscossione dell’ultimo stipendio), così come quella verbale (gli insulti di varia natura), in genere vengono considerate come meno gravi, probabilmente perché i danni conseguenti, sebbene ci siano e creino importanti problemi, sono meno visibili e più difficili da dimostrare. E tuttavia nella vicenda in questione emerge anche come la reazione aggressiva sia in qualche modo legata alla disabilità di Elena, dal momento che le sue assenze per motivi di salute sono state interpretate come malesseri inventati e, dunque, come espressione di negligenza.
Vero è, però, che lo stesso datore di lavoro ha avuto condotte simili almeno con un’altra persona, pertanto si sarebbe indotti a pensare che forse la disabilità di Elena sia solo uno dei diversi pretesti utilizzati da quest’uomo per sfogare un malessere che non riesce a esprimere diversamente. Questo, ovviamente, non sminuisce la gravità di questa condotta, né le sanzioni che ne conseguiranno, soprattutto se si considera l’innegabile squilibrio di potere tra datore di lavoro e i/le lavoratori/trici subordinati/e, e anche che colpire una persona con disabilità può comportare danni molto maggiori rispetto a quelli che conseguirebbero le persone senza disabilità. L’osservazione serve semmai ad inquadrare questo episodio in un quadro di condotta violenta reiterata, e pertanto a individuare risposte che tengano conto anche di questo aspetto. (Simona Lancioni)

Il presente contributo, così come l’immagine utilizzata, è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Sulla medesima vicenda, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo il seguente contributo dell’AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia). Un episodio che ci impone di riflettere in modo articolato, su più fronti.
La nostra Associazione ha immediatamente offerto ad Elena di sostenerla nel percorso giudiziario attivato con sua puntuale e precisa denuncia di tale gravissimo atto: contro una lavoratrice, una persona con disabilità, una donna.
La gravità del fatto è incisa sul suo volto, ma ancor più nella sua dignità, per il suo essere donna e persona con disabilità, esprimendo quella plurima discriminazione da sempre denunciata dal mondo delle Associazioni delle persone con disabilità. Gravità permanente, sottostimata e da combattere su tutti i tre fronti in cui s’è manifestata:
° Sudditanza e ricatto per quanti sottoposti a periodo di prova per accedere al lavoro.
° Strumentalità nel voler assumere persone con disabilità, ma che questa non debba/possa incidere sulla persona stessa e sul lavoro.
° Pretesa di assoluto irrispettoso e violento dominio su una donna.
Certo, ponendo in quest’ultimo punto la massima gravità, decuplicata dall’essere donna e con disabilità, non dobbiamo perdere la devastante portata del secondo punto, come pure del primo.

L’epilessia, in una delle tante forme in cui questa patologia si manifesta, è la condizione di disabilità vissuta da Elena, riconosciuta al 100% e che le dà la possibilità di essere iscritta alle liste per l’avvio al collocamento mirato al lavoro, prevista dalla Legge 68/99.
Le aziende sono tenute da questa legge, una volta superato un determinato numero di dipendenti, ad assumere quota percentuale di lavoratori con disabilità. La violenza del secondo punto, come i segni sul volto di Elena, è inferta ed evidente nell’altissimo numero delle persone con disabilità che permangono disoccupate, pur essendo iscritte nelle liste di collocamento e a fronte di gravissima inadempienza (circa 150.000 posti di lavoro) delle aziende, quelle pubbliche come le private, ad assumerli.
Se molte aziende sono impegnate nell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, molte altre vogliono, assieme alle agevolazioni previste dalla Legge, solo persone con disabilità che non incidano sulla normalità ciclo lavorativo, senza impegnarsi a trovare, come previsto dalla Legge stesse, un giusto accomodamento. Devastante è la condizione soprattutto per quanti con disabilità del neurosviluppo.
La disabilità di Elena non appare, lei si presenta con invidiabili competenze… ottima occasione che… al minimo manifestarsi della disabilità, cancella la disponibilità/dovere inclusivo.

Ad Elena è stata riconosciuta una percentuale d’invalidità che, grazie anche alle sue competenze, l’ha resa “utile” agli occhi dell’azienda. Per molti altri suoi coetanei con epilessia la situazione è ancor meno rosea. Privi di tutela normativa perché la loro forma e manifestazione di epilessia, pur prevedendo gravi limitazioni, non prevede il minimo riconoscimento della disabilità per poter accedere alle “normali” agevolazioni previste per altre forme di disabilità. Con una crisi con perdita di contatto con l’ambiente, perdi la patente e spesso il lavoro, ma con la stessa crisi non hai accesso alle misure inclusive.
Sul secondo punto sopra evidenziato ci stiamo adoperando in Parlamento per conseguire la revisione dei criteri di riconoscimento della disabilità connessa alle diverse condizioni in cui versano le persone con epilessia e promuovere misure antidiscriminatorie, sia per i medicinali che controllino le crisi, sia per quanti le manifestino nonostante l’adeguata assunzione dei medicinali prescritti. Se adeguatamente certificata, da un medico competente per le epilessie, una mansione dovrebbe, se negata, essere parimenti supportata da certificazione motivata di altro neurologo o neuropsichiatra infantile.
Il terzo punto da noi sottolineato è delicato per tutti e necessiterebbe di un’equilibrata tutela tra l’azienda e il lavoratore in prova. In specie se con disabilità riconosciuta. Le motivazioni della mancata assunzione dovrebbero essere formalizzate in modo puntuale. Molte aziende a fine periodo di prova non certo si comportano come accaduto ad Elena. Terminano la prova con un laconico «le sapremo dire». Nulla di motivato su cui riflettere od opporsi. Purtroppo, molte persone con epilessia a cui, non come per Elena, non è riconosciuto il grado di disabilità, negano le crisi o la stessa assunzione di terapie perché il solo comunicarle porta attualmente ad essere discriminati, due volte per chi ha crisi e per il quale non è riconosciuto alcun grado di disabilità.
La violenza di genere si coniuga nel caso di Elena con quella sulle persone con disabilità e su quella sul lavoro. Un altro caso, questo, che fa emergere quanto sia estremamente diffusa quella violenza segnata nel volto di Elena e nella condizione delle persone e famiglie con disabilità.

Per e con Elena l’AICE è impegnata a denunciare la violenza di genere, per e con Elena l’AICE è impegnata a combattere la discriminazione delle persone con disabilità, per e con Elena l’AICE è impegnata perché l’Italia sia realmente una Repubblica fondata sul Lavoro!
AICE (Associazione Italiana Contro l’Epilessia), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo