L’inclusione è cosa seria e non è il personaggio in cerca d’autore… Dopo quasi oltre trent’anni di insegnamento nei percorsi di formazione universitaria per futuri docenti sul sostegno didattico, dopo avere sentito le teorie più “incredibili” e inseguito, per comprenderne le ragioni, fenomeni che invece di formare futuri docenti sul sostegno didattico per supportare i processi scolastici volti a includere, integrare alunni e studenti, hanno avuto il solo compito di garantire il posto sulla cattedra comune – certo non sempre e non per tutti, ma comunque è accaduto e accade ancora -, dopo le riflessioni “illuminanti” di Ernesto Galli Della Loggia, oggi a tenere banco c’è la “teoria” del paradosso della “cattedra inclusiva”. Paradosso sì, perché ci sono competenze didattiche, ma anche di tipo relazionale e di tipo emotivo. Quelle di tipo sociale, progettuale, organizzativo; ci sono competenze curriculari, docimologiche, ma anche tecniche. Competenze nella comunicazione, educative e formative, linguistiche. Competenze psico-pedagogiche, bio-psico-sociali. E infine, anche competenze legate ad una capacità di gestione degli spazi, di quelle afferenti agli apprendimenti e dunque cognitive, delle competenze medesime e dell’organizzazione.
Immagino colleghe e colleghi disciplinari impegnati nell’attività curriculare spostarsi ora qua, ora là, per svolgere attività di sostegno e – specifico – su studenti con disabilità differenti e criticità molteplici.
Vivo nella scuola da quasi trent’anni e mai ho sentito colleghi esprimersi in maniera sostanziale a favore di una formazione general-generalista sui temi del sostegno, tantomeno su una formazione obbligatoria per tutti, cosa quest’ultima su cui non mi ripeto, essendo già stata ampiamente discussa in articoli e scritti da colleghi quali l’amico Tillo Nocera, Flavio Fogarolo e da molti altri.
Ma chi sono gli attori dell’inclusione scolastica? Anzitutto gli allievi con disabilità per i quali credo si debba avere rispetto e non “interpretarli” quali persone prive di sentimenti e aspettative. Un allievo ha bisogno di sentirsi accolto e sicuro e ciò non può accadere se a occuparsi di lui oltre all’insegnante di sostegno, il già citato Consiglio di Classe, le figure educative e tecniche, già previste dalla legislazione vigente, ci sarà a turno “qualcuno” che sulla carta ha le competenze per affiancarlo, ma che nella realtà potrebbe essere completamente il contrario, e in più anche demotivato, perché costretto ad essersi formato “obbligatoriamente” su ciò di cui non ha alcun interesse.
Lo studente con disabilità, per esempio visiva, ha bisogno di un ambiente inclusivo, di persone che ne comprendano la condizione. Ma per fare sì che questo accada non c’è bisogno della “cattedra inclusiva”, ma di competenze specifiche, mirate e efficienti, che non possono essere garantite da tutti e da “chiunque”.
Immaginiamo che a seguire un allievo con disabilità visiva per ciò che concerne gli apprendimenti della segnografia Braille intervengano più di una persona, magari tre o cinque figure, ognuna delle quali porti – ammesso che le competenze siano realmente acquisite – non solo le stesse con modalità differenti, ma magari diversissime da l’una all’altra.
La “cattedra inclusiva” non tiene conto, a parere di chi scrive, della Persona con disabilità, che infatti non è un “personaggio” in cerca di autori, perché autore di se stesso è lui medesimo e nessun altro. Non è la “comparsa” di pirandelliana memoria, in cerca di qualcuno che lo renda personaggio.
L’allievo con disabilità ha bisogno di ambienti confortevoli, accoglienti, perché abitati da persone comprensive, attente e capaci di rendere quegli spazi, quei luoghi luminosi, illuminanti.
Ci sono allievi con disabilità per i quali sono utili percorsi strutturati didatticamente, altri per cui sono necessari interventi di tipo psico-sociale, altri ancora a cui servono interventi quasi “medico-riabilitativi” e/o di contenimento.
Giusto per ribadire un concetto di cui il sottoscritto è profondamente convinto e sostenitore: la Scuola è luogo di istruzione-formazione-educazione e non dovrebbe essere considerata succursale medico-sanitaria riabilitativa, pur con tutte le attenzioni e gli interventi didattico-educativi per i quali gli alunni tutti debbono essere messi nelle condizioni di poter stare a scuola al pari di tutti e di chiunque, senza alcuna distinzione di condizione personale, sociale, ambientale, economica e culturale.
Ci sarà sempre qualcosa per cui la “cattedra inclusiva” è mancante, quella competenza tecnica piuttosto che culturale, professionale che la renderà insufficiente, mancante a rischio e pericolo di diventare “cattedra escludente” e non inclusiva.
D’altro canto, oggi, ci sono casi in cui può accadere che vi sia l’insegnante sul sostegno didattico, che a causa di una formazione non adeguata possa determinare un insuccesso formativo per l’allievo con disabilità; figuriamoci quando tutti dovranno sapere tutto di tutti, avere cioè quelle competenze, ma che queste non potranno essere spalmate sulla “cattedra inclusiva”. Meglio sarebbe finanziare e istituire percorsi rivolti agli studenti e al personale tecnico-educativo perché le scuole siano equipaggiate con strumenti, materiali e tecnologie indispensabili per alunni e studenti con disabilità.
Tutto l’“ambiente scuola” deve essere direttamente e indirettamente coinvolto nel processo di integrazione-inclusione.
Tutti conosciamo e apprezziamo le competenze di Dario Ianes, così come quelle dei colleghi Massimo Nutini, Fernanda Fazio, Evelina Chiocca, Nicola Striano, ma la loro proposta di “cattedra inclusiva” per un ipotetico Disegno di Legge proprio non riesco a comprenderla né a immaginarla calata nella realtà scolastica italiana.
Sono sempre stato contrario alla figura del “tuttologo” in e per ogni campo, sempre. Affermare che non si debba tenere in conto dei costi che questo “paradosso” della cattedra inclusiva comporta dal punto di vista dell’impegno economico e strutturale, a mio personale giudizio denota cecità e scarsità politica; l’economia, infatti, interessa moltissime aree del Paese, non solo la Scuola, che pure sta soffrendo e meriterebbe assai molto di più. Tuttavia, è vero anche che lo Stato non dovrebbe fare risparmio su quelli che sono i diritti sociali, faticosamente conquistati negli anni precedenti.
Credo in conclusione che questa idea contribuisca a destabilizzare la precarietà, discontinuità dei processi inclusivi, la formazione pensata per la realizzazione della “cattedra inclusiva”, il tutto sotto la scure dell’obbligatorietà formativa, al fine di diventare “tuttologi”, ciò che a mio modesto giudizio rischia di svilire tanto le figure di riferimento per la persona con disabilità, quanto di determinare smarrimento per noi insegnanti, già sottoposti a ritmi sin troppo impegnativi.
La normativa vigente in materia di integrazione e inclusione scolastica c’è, sono anni che la si discute, corregge, perfeziona, integra. Ricordo quando, in un fresco pomeriggio romano, nello studio dell’allora ministra Valeria Fedeli, con gli amici Tillo Nocera e Vincenzo Falabella, fummo convocati dalla stessa, proprio per esprimere una nostra riflessione su quello che sarebbe stato poi diramato quale documento sull’inclusione scolastica, in riferimento ai Decreti Attuativi della Legge 107/15 [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.].
Certo, eravamo lì in rappresentanza delle due Federazioni Nazionali FISH e FAND, dunque rappresentammo in quell’occasione l’orientamento di un’ampia fascia di Associazioni, orientamento ampiamente discusso pochi minuti dopo in una riunione fiume dell’Osservatorio per l’Inclusione degli Alunni e Studenti con Disabilità del Ministero, allora MIUR. Le Associazioni maggiormente rappresentative di quel consesso approvarono le ipotesi di disegno normativo, con lunghi dibattiti e correttivi. Oggi, quella normativa, integrata con il Decreto Legislativo 96/19, è un valido supporto all’inclusione scolastica.
Certo, è necessario diminuire gli alunni-studenti per classe, applicare la norma sull’inclusione scolastica, diffondere la cultura del successo formativo, sociale e umano per tutti gli allievi, nessuno escluso, con il supporto di personale educativo scolastico debitamente formato, garantire umanità e professionalità in e per ogni processo di istruzione-formazione, perché tutto questo deve ed è tra le priorità di questa nostra Scuola.
Dunque, non sarà la “cattedra inclusiva” a rappresentare la panacea di tutte le criticità, ancor di più per come viene presentata (“mission”: sostenere gli allievi più fragili), poiché a parere di chi scrive, gli allievi con disabilità sono prima di tutto persone che al pari dei compagni hanno diritto di accedere al percorso di istruzione, punto.
La cattedra “mista”, ora “inclusiva”, rischia di essere il percorso ad ostacoli per alunni, studenti e insegnanti. Una “utopia” che soffre di miopia grave per la quale non vi sono cure se non una sana prevenzione di coscienza sociale e culturale, per cui la Scuola, tutti gli “attori” della stessa, per primi gli allievi, stanno maturando con grande impegno umano, sociale, progetti di istruzione, di vita, quotidianamente.
Vero, la Scuola è “anche” luogo di sperimentazione, ma, prima di tutto, deve, a mio modesto parere, rappresentare la risposta a bisogni educativi, sociali e ambientali e a tal fine dev’essere nelle condizioni di dare sicurezza, in qualche modo “certezze”, su quelle che sono e restano le principali competenze (didattico-educative) specifiche in risposta a bisogni sociali, cognitivi, sia per gli allievi con disabilità, ma anche per chi la condizione di disabilità ha l’occasione di incontrarla e comprenderla, quale esperienza da cui apprendere bellezza e però anche criticità.
Noi persone con disabilità ci sentiamo parte del mondo e non un mondo a parte, parte della Scuola e non qualcosa per cui basta progettare una cattedra inclusiva credendo di risolvere tutte le criticità sociali, di istruzione, integrazione, col rischio di essere poi sempre più discriminati, isolati.
Non potrà certo un’ipotesi così “platonico-contemplativa” risolvere alcun problema oggi serio e urgente tra cui quello della continuità didattico-educativa, l’impreparazione del personale educativo e per l’istruzione, l’assenza degli insegnanti per il sostegno.
Non si apprende per “obbligo” ma per “amore di sapienza”.
Docente di storia e filosofia nei licei classico-scientifico e docente incaricato sui corsi per il sostegno da oltre trent’anni. Esperto di inclusione scolastica, coordinatore delle attività dell’Ufficio Scuola-Formazione Nazionale per la Presidenza Nazionale dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), nella quale fa parte del Direttivo Nazionale. Autore del Manuale di tiflologia “Imparare a non vedere per comprendere quel che c’è e cogliere quel che non c’è” (Volturnia Edizioni).
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