Non è difficile, è proprio impossibile rendere realizzabile l’intero progetto della cosiddetta “cattedra inclusiva”, presentato nei giorni scorsi [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.].
Che sia difficile penso sia evidente: se in quarant’anni di inclusione scolastica non si è riusciti nemmeno a specializzare tutti gli insegnanti di sostegno che lavorano nelle nostre scuole, non può essere certo semplice farlo in pochi anni con tutti i docenti curricolari d’Italia.
Ma è anche del tutto “impossibile”: prima di tutto perché avrebbe un costo enorme, assurdo e improponibile. Il Progetto di Legge recentemente presentato, infatti, parla di 900 milioni di euro in 6 anni, ossia 150 milioni all’anno, ma senza indicare nessuna reale copertura finanziaria.
Nella proposta (articolo 7, comma 1), si dice che si provvederà mediante stanziamento delle risorse necessarie aggiuntive, aumentando la spesa per la formazione degli insegnanti prevista all’articolo 1, comma 125 delle Legge 107/15, ma senza spiegare come. Vorrei proprio vedere la faccia dei contabili della Ragioneria dello Stato che, se mai la proposta arriverà nelle loro mani, vedranno una copertura finanziaria del genere.
La spesa di 900 milioni dovrebbe rappresentare il costo dei corsi di specializzazione che adesso, come è noto, sono sostenuti direttamente dai corsisti, ma che, se si rendono obbligatori per tutti gli insegnanti, devono essere ovviamente a carico dello Stato.
Ma una formazione obbligatoria non ha solo questi costi. In base al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della scuola, al personale che frequenta corsi di formazione organizzati dall’amministrazione scolastica devono essere rimborsate le spese di viaggio (articolo 36, comma 5) e adesso, con il contratto firmato da pochi giorni, se si superano le 40 ore annue, il personale in formazione deve anche essere retribuito (articolo 36, comma 7). Quanto non mi è chiaro, ma, da quel che si legge, dovrebbe essere tra i 20 e i 40 euro l’ora e considerando che il corso per la specializzazione sul sostegno prevede 60 CFU (Crediti Formativi Universitari), ossia a spanne almeno 1.000 ore, si arriverebbe a qualche decina di migliaia di euro a testa, il tutto per 500.000 insegnanti. Come dire, sempre molto a spanne, che la spesa di 900 milioni aumenta di oltre 10 volte e arriviamo a circa 10 miliardi. Non come il ponte sullo stretto di Messina, ma quasi!
Dovrebbe bastare questo per capire che è un progetto del tutto irrealizzabile, ma aggiungo un altro elemento di riflessione: chi organizzerà questi corsi? Quante università sono disposte a gestirli con un numero elevatissimo di partecipanti?
Attualmente in Italia ci sono una cinquantina di Atenei, pubblici e privati, che organizzano corsi TFA [Tirocini Formazione Attiva, N.d.R.] per 29.000 futuri insegnanti di sostegno e accolgono di media circa 500 corsisti ciascuno. Sono una decina, tutti al Centro-Sud, quelli che hanno 1.000 o più iscritti, mentre nessuna delle Università delle Regioni del Nord ha più di 500 corsisti. Nonostante sia proprio al Nord che si registra la maggiore carenza di insegnanti di sostegno specializzati, esse si sono sempre compattamente rifiutate di aumentare i posti disponibili,, perché ritengono che sarebbe impossibile, con numeri troppo elevati, garantire una qualità accettabile della formazione.
In base alla proposta della “cattedra inclusiva”, ammesso che si trovino i soldi per farlo, le Università dovrebbero accogliere 80.000 corsisti (quasi tre volte in più di adesso) che, essendo il corso biennale, diventerebbero 160.000 dal secondo anno. Si pensa davvero che le Università del Nord cambieranno idea e accoglieranno tutti? O vedremo quelle private affittare qualche palazzetto dello sport per tenere i corsi?
E, in tutto questo, che fine farebbe la qualità della nostra inclusione scolastica?