Dopo la presentazione durante il tradizionale importante convegno organizzato nel novembre scorso da Erickson sulla Qualità dell’inclusione scolastica e la recente presentazione a Roma della sedicente “cattedra inclusiva”, si è aperto – come è giusto che sia – un ampio dibattito su questa ipotesi didattica [se ne legga già anche su queste pagine agli “Articoli correlati” qui a fianco, N.d.R.].
Invero il termine corretto da usare è “cattedra mista”, poiché si propone che tutti i docenti siano specializzati nel sostegno e che svolgano circa mezza cattedra nella disciplina in cui sono abilitati e l’atra metà in attività di sostegno. Col termine di “cattedra inclusiva” si vuole indicare che questo è l’unico modo di inclusione scolastica degli alunni con disabilità, mentre quello sino ad oggi usato non lo sarebbe.
Stimo molto i proponenti della novità dei quali sono pure amico e con i quali collaboro da decine d’anni. Però stavolta debbo pubblicamente dissentire da questa proposta, poiché, a mio sommesso avviso (e non solo), essa non è concretamente realizzabile per una serie di ragioni che qui di seguito provo ad elencare.
– A parte il fatto che essa sarebbe spontaneamente realizzabile, data l’autonomia didattica delle singole scuole, come consente l’articolo 14 del Decreto Legislativo 66/17, ma la nuova proposta la prevede come generalizzata e quindi obbligatoria per tutte le scuole di ogni ordine e grado.
– Tale proposta è lo sviluppo di un’idea originaria del professor Dario Ianes che proponeva di mandare tutti i docenti di sostegno a svolgere attività didattica nella disciplina in cui sono abilitati, divenendo una risorsa per le scuole che hanno alunni con disabilità; le scuole sarebbero state assistite da gruppi di docenti itineranti a livello di àmbito territoriale particolarmente specializzati. Questa idea, però, non ha avuto seguito e allora è stata sostituita da quella attuale.
– L’attuale proposta, che diverrà presto Proposta di Legge, richiede la specializzazione di tutti i docenti nell’arco di circa sei anni, con una massa annuale di centinaia di migliaia di docenti; le università sarebbero subissate da tale enorme massa, senza pensare al costo, ipotizzato, nella proposta, di circa 190 milioni di euro l’anno, il che in sei anni circa si avvicinerebbe ad un miliardo di euro, con in più le spese per le annuali sostituzioni per i pensionamenti. Attualmente, con il debito pubblico fuori regola e con molte delle varie riforme che si stanno discutendo in Parlamento, l’orientamento è che esse non debbano provocare «nuovi oneri per l’erario». Ma su ciò condivido pienamente l’esauriente intervento di Flavio Fogarolo su queste stesse pagine.
– Ma i problemi più complessi sono dovuti all’attuazione nelle scuole. Occorrerebbe fare combaciare gli orari di tanti docenti che, spesso, operano su più classi e talora su più scuole. Non tutti i docenti, infatti, operano nella stessa classe con la cattedra intera e quindi frantumerebbero lo spezzone di ore di sostegno; il singolo alunno con disabilità avrebbe così numerosi docenti di sostegno. Vero è che ciascuno svolgerebbe sostegno per la propria disciplina e tuttavia il disorientamento degli alunni con disabilità sarebbe notevole: basti pensare che attualmente la discontinuità didattica dei docenti di sostegno produce grave involuzione e ritardi nella crescita in autonomia degli stessi e talora anche gravi crisi psicologiche.
– La discontinuità didattica del sostegno si moltiplicherebbe enormemente, sommandosi a quella anch’essa grave delle singole discipline.
– Da sempre ho sostenuto, e in ciò concordo ancora con il citato intervento di Flavio Fogarolo, che il Ministero dell’Istruzione in tutti questi oltre quarant’anni di generalizzazione normativa dell’inclusione scolastica non è riuscito mai a specializzare tutti i docenti di sostegno; attualmente più o meno un terzo dei circa 210.000 docenti di sostegno non è specializzato; come riuscirà a specializzare i circa 800.000 docenti disciplinari? Mancherà infine in moltissimi docenti la vocazione professionale per questo insegnamento, che diverrebbe obbligatorio, come specializzazione.
– Altre proposte si potrebbero avanzare alternative a questa, rese possibili dall’attuale normativa e cioè una formazione obbligatoria sulla pedagogia e la didattica speciale di tutti i docenti futuri, con un anno abilitante, come previsto dalla Legge 79/22; solo però che in tale previsione il numero di Crediti Formativi è troppo scarso per dare ai docenti disciplinari un minimo di formazione che consenta loro di prendersi in carico insieme al collega di sostegno del progetto inclusivo. Occorrerebbe quindi aumentare il numero di tali crediti formativi.
– Occorre una maggiore specializzazione “polivalente” dei docenti di sostegno, attualmente ridotta ad un solo anno e quindi non in grado di rispondere agli specifici bisogni didattici, derivanti dalle differenti situazioni di disabilità. Quando queste specializzazioni riguardavano solo singole situazioni di disabilità duravano due anni, mentre ora, che abbracciano tutti i bisogni derivanti dai diversi tipi di disabilità, esse si sono contraddittoriamente ridotte ad un solo anno.
– Appare invece condivisibile la proposta, contenuta nello stesso documento della “cattedra inclusiva”, riferita al coordinamento pedagogico a livello di istituto e di reti di scuole. Invero essi avrebbero dovuto realizzarsi a seguito dell’istituzione dei GLI (Gruppi di Lavoro di Istituto) e dei GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale), introdotti dal Decreto Legislativo 66/17, che hanno rispettivamente sostituito i GLH (Gruppi di Lavoro sull’Handicap) e i GLIP (Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali), previsti dalla Legge 104/92. Sarebbe importante che questi coordinamenti pedagogici fossero attivi, specie a livello territoriale e operassero tramite i CTS (Centri Territoriali di Supporto all’inclusione scolastica), per i quali il precedente Governo aveva dato disponibilità ad un certo numero di semiesoneri dall’insegnamento per la loro gestione.
– E in conclusione la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), alle ultime tre proposte qui elencate, aggiunge quella rivolta ad eliminare la discontinuità didattica con l’istituzione di nuove cattedre di sostegno per ciascun grado di istruzione. Ma essendo anche questa a propria volta oggetto di dibattito, non è la sede per parlarne.