A proposito del recente Giorno della Memoria del 27 Gennaio, si dice: per non dimenticare…! Ed è bene non dimenticare, perché ricordare è come gettare l’ancora nel passato, per riflettere su cosa è successo, su come eravamo e decidere di quali cose vergognarci e di quali andare orgogliosi.
Ci sono molti modi per celebrare il passato: uno è sicuramente il modo rituale, quello fatto di cerimonie, di tagli di nastri, di corone di alloro, di minuti di silenzio vissuti più o meno superficialmente e, perché no, anche con sincero raccoglimento, pensando a quelle specifiche persone, a quei fatti, a quei luoghi, a quei tempi.
Un altro modo per celebrare la memoria è quello di riflettere su quanto quel passato si riproduca nel presente, quotidianamente, a volte intorno a noi, magari anche in questo preciso istante: diverse le persone coinvolte, diversi i luoghi, le circostanze, le date… identica la sopraffazione, identici i diritti violati, identiche le opportunità negate, identica l’indifferenza della maggioranza di noi, di oggi come di allora. Sta ad ognuno di noi scegliere qual è il modo più autentico di celebrare il passato… ognuno scelga il proprio.
Una considerazione a margine: avevo un biscugino più grande di me che mi ha fatto da fratello maggiore. Era un giovane e appassionato idealista che di mestiere faceva il maestro di scuola elementare. Con intento pedagogico mi portava con sé alle manifestazioni (a quel tempo ce n’erano davvero tante!), incluse le celebrazioni del 25 Aprile. Ne ricordo una nella quale, mentre l’oratore parlava, c’erano omaccioni grandi e grossi con gli occhi lucidi; si vedeva che trattenevano a stento le lacrime. Loro stavano ricordando nel senso etimologico della parola: “riportavano al cuore” e, nel farlo, rivivevano la loro esperienza di partigiani.
Io, poco più che adolescente, non potevo accedere al loro vissuto, perché quello è solo di chi lo vive. Eppure penso di poter affermare che, per empatia, qualcosa di quella tensione etica mi arrivò e ancora mi accompagna a distanza di oltre cinquant’anni.
Se quei partigiani non fossero stati presenti e avessi assistito ad una celebrazione davanti a un’anonima platea di compunti signori che ascoltavano, come sarei uscito da quella celebrazione? Probabilmente solo più informato, messo al corrente di alcune vicende storiche… ma la memoria non è un’informazione. Noi siamo un impasto di carne e sangue.
Informare e mettere al corrente, se pur necessario, è sufficiente per trasmettere il significato di un valore affinché altri lo facciano proprio? Se così fosse, da una parte basterebbe leggere la Costituzione e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, per uniformarci ad un vivere civile e rispettoso, dall’altra basterebbe informare, mettere al corrente sui danni procurati dal mangiare salato, dal fumo di sigaretta, dall’abuso di alcol, dall’inquinamento ecc, per uniformarci a sani stili di vita.
No, la sola informazione, che pure è importante e necessaria, non modifica il comportamento, perché prima di essere elaborata da specifiche aree del nostro cervello, passa dall’amigdala, che mette un “timbro emotivo” alla nostra vita… È anche con quel “timbro emotivo” che bisogna fare i conti tutte le volte che vogliamo cambiare il comportamento nostro e altrui.
Autore del libro “Oltre le barriere della mente. Capire, sentire, interagire”.
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