L’inclusione non riguarda soltanto i bambini e ragazzi con disabilità, ma anche quelli con background migratorio o con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA): non si tratta di fare spazio a nessuno in particolare, né tanto meno a scapito di qualcun altro. L’inclusione, per definizione, riguarda tutti. Una scuola è inclusiva se è di tutti e di ognuno; se e quando riesce a offrire a ogni studente le attenzioni, gli stimoli e gli apprendimenti di cui ha bisogno e diritto.
L’esperienza dei quasi cinquant’anni che abbiamo alle spalle dimostra che si tratta di un obiettivo raggiungibile e che la scuola inclusiva è la migliore delle scuole possibili, per tutti. Al contrario, ogni tentativo di separazione, porta sempre risultati negativi: sia per chi viene escluso, sia per chi rimane in classe, che viene privato di importanti occasioni di relazione e di apprendimento che solo il lavoro insieme a compagni (anche molto differenti tra loro), può offrire.
E invece persiste l’idea che la separazione sia “meglio”. Che gli alunni e le alunne con disabilità -magari non tutti, di sicuro quelli “gravi”- starebbero “meglio” se potessero stare per conto proprio, seguiti da insegnanti specializzati.
Ad alimentare questa idea sono certamente i molti ostacoli che ancora rendono complessa l’inclusione scolastica e che come LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) conosciamo perfettamente, denunciamo e contrastiamo attivamente attraverso l’azione del nostro Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi.
A causa di questi problemi i ragazzi con disabilità, così come quelli con altre difficoltà, purtroppo, rischiano ancora oggi molto più degli altri di abbandonare precocemente gli studi e di essere vittima di diverse forme discriminazioni dentro e fuori la scuola.
I problemi della scuola italiana non hanno a che fare con l’inclusione, ma con la carenza di risorse economiche, con lo scarso impegno sulla formazione degli insegnanti, con la mancanza di materiale e la deplorevole condizione di molti edifici scolastici, con un eccesso di burocratizzazione del mestiere di dirigente e di insegnante a scapito della dimensione educativa.
Tra i meriti che invece la scuola italiana può vantare – anche rispetto ad alcuni Paesi che spesso prendiamo ad esempio – c’è proprio quello, pur tra mille difficoltà, di garantire uno spazio e un’esperienza di incontro e di lavoro insieme a ragazzi con differenti caratteristiche, fisiche, intellettive, mentali e sociali.
Garantire alla scuola italiana le risorse e le competenze necessarie per offrire a tutti i bambini e i ragazzi – in relazione alle loro caratteristiche – uno spazio di educazione, socializzazione e apprendimento adeguato dove poter crescere insieme non è un atto di carità, ma una scelta di civiltà di cui tutti traiamo vantaggio.