Antonio, il cielo in una stanza

di Alessandro Cannavo*
Superando ha condiviso molto, in questi anni, con il blog “InVisibili” del «Corriere della Sera.it». Franco Bomprezzi, nostro direttore responsabile per dieci anni, ne era stato uno dei promotori, Antonio Giuseppe Malafarina, nostro direttore responsabile nell’ultimo anno, scomparso nei giorni scorsi, ne è stato uno dei principali animatori. Ben volentieri, dunque, proponiamo ai Lettori e alle Lettrici il ricordo di Antonio, pubblicato da “InVisibili” con il titolo “Antonio, il cielo in una stanza”, a firma di Alessandro Cannavò, direttore del blog

Superando ha condiviso molto, in questi anni, con il blog InVisibili del «Corriere della Sera.it». Franco Bomprezzi, nostro direttore responsabile sin dagli inizi e fino alla sua scomparsa nel 2014, di quel blog è stato uno dei promotori, Antonio Giuseppe Malafarina, nostro direttore responsabile nell’ultimo anno, scomparso nei giorni scorsi, ne è stato uno dei principali animatori.
Ben volentieri, dunque, proponiamo oggi ai Lettori e alle Lettrici il ricordo di Antonio, pubblicato da InVisibili con il titolo Antonio, il cielo in una stanza, a firma di Alessandro Cannavò, direttore del blog.

Pasquale Fedele e Antonio Giuseppe Malafarina
Guidato dall’ingegner Pasquale Fedele, Antonio Giuseppe Malafarina, mentre provava il sistema di controllo del computer con il pensiero

Trentasei anni. Questo è il tempo che Antonio Giuseppe Malafarina ha vissuto in orizzontale, paralizzato in tutto il corpo dopo un fatale tuffo nello splendido mare della sua Calabria. Una vita scandita dagli scatti del respiratore polmonare, in una cameretta luminosa di un ampio appartamento, assistito notte e giorno dai suoi genitori, Bruno e Pina, che dal momento di quel dramma sono entrati con lui nel mondo della disabilità grave. Potrebbe sembrare una storia triste, straziante; e invece pur costretto in questa “gabbia”, Antonio è riuscito a vedere e capire il mondo come pochi. E a regalare a questo mondo un sorriso quotidiano.

Lo andavo a trovare regolarmente una volta l’anno, preferibilmente d’estate, quando con le finestre aperte entrava più facilmente il battito della città. Con lui spesso sdraiato su un lato per guardarmi in faccia, si parlava di tutto. Di attualità, di viaggi, di design, di amore, di desiderio, di sesso.
Conservo, tra le mie carte, che comprendono anche biglietti di gioia e conforto per le mie vicende personali, una sua poesia intitolata Vilipendio del bacio: «Nessuna donna bacia così. Ghiacciata la mia penna / dopo il tuo bacio / Io che sulla pagina ho affrontato di tutto / che fra le righe ho celato / gli atti più audaci / Io che ho scritto baci / dei soldati prima di andare alla guerra / di quelli dei bimbi / e dei moribondi / Io che ho decantato tramonti / ho sezionato i chiari di luna / e colto al volo e descritto / con rapido tocco / gli abissi più umani / Io che la gente chiama poeta / ora non ho le giuste parole / Gli aggettivi più eletti / la descrizione più veritiera / l’accenno più rimarchevole / tutto è vilipendio / Nessuna donna / bacia così».

Antonio con serenità faceva i conti ogni giorno con i suoi limiti, ma non rinunciava a volare alto. E il mondo delle parole, della scrittura, era il suo cielo. Un cielo che raggiungeva scrivendo sul computer con una pallina joystick che usava con la lingua. Il cielo in una stanza.
La sua forzata staticità era invece un manifesto a favore della tecnologia che non sostituisce il calore dei rapporti umani, ma aiuta a smorzare l’isolamento delle persone con disabilità. Aveva promosso l’utilizzo dell’Avatar per fare un salto di geolocalizzazione e vivere l’esperienza di visitare un luogo. Era riuscito con il Museo Ferrari di Maranello, confessava il sogno pop di finire in una delle trasmissioni di Maria De Filippi. Con le parole ricamava anche i suoi aforismi e ce l’aveva fatta a raggiungere un traguardo importante: una collaborazione con Alessi. Le sue frasi sono state incise al laser in alcuni pezzi iconici della serie Girotondo. Ad esempio: «Il vassoio è democratico: porta tutto sullo stesso piano». Per questa nuova attività, che univa cultura a business, Malafarina aveva fondato una società, Diwergo, con la direzione del designer Giulio Ceppi. Più che un traguardo, doveva essere una partenza carica di promesse.

Parlava sempre di inclusione, Antonio, e lo faceva con lo stile e la leggerezza che aveva nell’indossare l’immancabile foulard, quando, trasportato su una sedia elettronica, compariva nelle occasioni importanti. Come al Festival delle Abilità che aveva ideato insieme a Simone Fanti, o alla presentazione della sua collaborazione con Alessi in un prestigioso hotel del centro dove rievocava gli esempi di Oscar Wilde e Trilussa accanto agli slogan pubblicitari.
Parlava di inclusione nei suoi arguti, mai banali, post su InVisibili che rivelavano uno stile personalissimo; uno stile tra la cronaca e il commento, con punte di ironia. E l’importanza che le parole avevano per Antonio la si potrà vedere anche nel libro Comunicare la disabilità. Prima la persona, la guida creata con Claudio Arrigoni e Lorenzo Sani, adottata dall’Ordine dei Giornalisti che verrà presentata il prossimo 28 aprile.

Ma non si può parlare di Antonio, senza ricordare i due genitori Bruno e Pina che gli sono sempre stati accanto. Dormendo con lui ogni notte di questi trentasei anni, pronti a intervenire nel caso di qualsiasi emergenza. La forza, la determinazione, l’amore di una vita quotidiana silenziosa nella sua dolorosa dignità, in totale simbiosi. I genitori hanno dato tutto ad Antonio che nelle sue condizioni estreme ha potuto vivere a lungo grazie alla loro presenza e alle loro cure continue. Ma Antonio ha restituito tanto a loro con il suo talento, la sua tenacia, la sua cultura.
È questa una storia esemplare, che rappresenta tutte le altre, dei legami misteriosi, magici che, pur nella fatica e nella sofferenza, si instaurano tra genitori e figli con disabilità.
Ora per Bruno e Pina, c’è un vuoto enorme; da colmare con i ricordi e l’orgoglio di aver avuto un figlio che si è fatto amare da tutti.

Anche per la famiglia di InVisibili è il momento della grande assenza che cercheremo di trasformare in una più acuta presenza, come recita uno dei versi più belli di Attilio Bertolucci.
La morte di Antonio Giuseppe Malafarina giunge nell’anno del decennale della scomparsa di Franco Bomprezzi. Due pilastri di InVisibili che abbiamo perso (e rimpiangiamo anche la penna coraggiosa di Simona Petaccia); ma che ci indicano l’obbligo morale di tenere in piedi questa casa. Per poter continuare a parlare di quei temi della disabilità che restano scottanti. Come, per la disabilità grave, la preoccupazione, se non l’angoscia, del dopo di noi. Antonio ne era perfettamente cosciente e si dava da fare per trovare una soluzione. Ma poi ha ceduto alla stanchezza di una vita che gli aveva riservato nuove complicazioni.

Nell’ultimo post che gli chiesi dopo il suo ritorno dall’ospedale, e pubblicato alla vigilia del Natale, confessava: «A ogni cambio di farmaco è una tragedia perché il corpo si deve abituare e mentre si abitua soffre. Se sei a casa, poi, ogni deviazione dalla normalità che si sta ricostruendo intorno a te accende una spia rossa come se stesse per scatenarsi un attacco nucleare. Ti senti debole e spaventato. La psiche ha paura, anche se tu sei la roccia che tutti pensano che sia». Ma poi il faccione di suo padre, la voce di sua madre gli davano una ventata di conforto e leggerezza. «Piango. E sono contento perché erano anni che non piangevo e mi pesava moltissimo».

Ho dato l’estremo saluto ad Antonio sul letto di morte. Le gambe, non più utilizzate da decenni, sembravano inesistenti sotto i pantaloni del vestito grigio, già svanite. Ma la testa, centrale dell’amore e del pensiero, era grande, più grande del solito.
Il patrimonio di Antonio è enorme. Sarà custodito nei nostri cuori. E nell’universo.

Testo apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il medesimo titolo qui proposto e ripreso per gentile concessione.

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