Il 21 febbraio di ogni anno si celebra la Giornata Nazionale del Braille, appuntamento che, com’è noto, è stato istituito con la Legge 126/07, allo scopo di promuovere una più diffusa e approfondita conoscenza sui temi della disabilità visiva, sostenere la piena inclusione delle persone non vedenti e ipovedenti in ogni àmbito della loro vita e allontanare ogni forma di discriminazione e pregiudizio.
Naturalmente, neanche a dirlo, la memoria della figura di Louis Braille è indelebilmente legata all’invenzione del suo metodo di lettura e di scrittura per le persone non vedenti.
Il Braille, dalla sua ideazione fino ad oggi, ha rappresentato, infatti, uno strumento indispensabile per l’accesso dei ciechi alla cultura e per il loro inserimento sociale, strappandoli al loro passato di mendicanti, per portarli a svolgere con merito le più svariate professioni. Ecco perché Louis Braille si è meritato giustamente l’appellativo di “Johannes Gutenberg dei ciechi” ovvero di loro benefattore.
La Giornata del Braille, dunque, giunta quest’anno alla sua diciassettesima edizione, costituisce senza dubbio un’opportunità importante per organizzare convegni e riflettere sullo stato dell’arte della qualità dei diritti delle persone con disabilità visive, ma anche un’occasione per praticare la cultura dell’inclusione, attraverso iniziative concrete incentrate sull’utilizzo del metodo Braille e sulla tiflologia, la scienza che studia l’“educabilità” e l’“istruibilità” delle persone prive della vista, per evidenziarne la loro “bontà ed attualità”.
Infatti, nonostante i molteplici benefìci recati alle persone minorate della vista dalla tiflologia e dal Braille, ideato da uno di loro (Louis Braille) e appositamente per loro nel primo Ottocento, ancora molti, purtroppo, manifestano una forte ostilità nei confronti di esso. Per non parlare dei tanti insegnanti di sostegno che, anche a causa della loro inadeguata formazione specifica, spesso lo ignorano e, cosa ancor più grave, lo fanno ignorare ai loro studenti non vedenti e ipovedenti.
Ciò dipende dalle ambiguità e precarietà che caratterizzano il ruolo, la funzione e la formazione degli insegnanti di sostegno, ma soprattutto dalla grande confusione che riguarda la figura del tiflologo.
A proposito della non idonea e modesta preparazione dei docenti di sostegno sulla disabilità visiva, grazie alla pressoché maggioritaria presenza nella scuola di persone con disabilità dovuta a ritardi di apprendimento, si è andata affermando, negli ultimi decenni, una formazione centrata senz’altro sulle tematiche relative alla disabilità, ma con un’impostazione sempre più “generalista” e sempre meno attenta ai bisogni specifici derivanti dalle diverse tipologie di disabilità.
Troppo spesso, ormai, capita di imbattersi desolatamente in insegnanti di sostegno di alunni ciechi che poco o nulla sanno di tiflopedagogia e tiflodidattica e che, cosa ancora più disdicevole, non conoscono neppure il Braille e la tifloinformatica.
Di recente, per ovviare e scongiurare tali deficienze del “sistema”, su proposta dell’amico Salvatore Nocera, la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha presentato una Proposta di Legge mirante all’istituzione di un ruolo “ordinario” del sostegno, con una formazione universitaria “specifica” sulle singole disabilità.
Il considerare i tiflologi dei veri e propri “carneadi” e la “dispersione” delle loro competenze tiflopedagogiche e tiflodidattiche sono invece da ricercarsi nel fatto che l’Istituto Romagnoli di Roma, unica scuola di metodo tiflodidattico del nostro Paese, senza più il suo fondatore, il grande Augusto Romagnoli, prematuramente scomparso nel 1948, ha progressivamente perso la propria autorevolezza.
Porsi il problema relativo alle funzioni del tiflologo nella spinosa tematica concernente l’istruzione dei ragazzi con minorazione della vista, a molti potrebbe sembrare oggi se non un “problema inventato”, certamente una questione oziosa, quasi un “gioco di pedagogisti sfaccendati” o, comunque, collocati fuori della realtà storica. Io ritengo invece che la tiflologia non costituisca una scienza di pochi eletti, di un circoscritto numero di iniziati, ma si prospetti come un capitolo della più vasta pedagogia.
I problemi relativi all’inclusione degli allievi con disabilità visiva, quindi, sono oggi questioni che non appartengono più, come in un triste passato non troppo remoto, esclusivamente a chi non vede e alla sua famiglia, ma che richiedano interventi oculati e accorti di tutta la collettività.
Proprio per tale motivo, in concomitanza con la Giornata del Braille, colgo l’occasione per lanciare alla Federazione FISH e al mondo della politica l’istanza di fare applicare subito quanto previsto dall’articolo 3 del Decreto Legislativo 66/17, riconoscendo immediatamente il profilo giuridico e professionale dell’assistente alla comunicazione e del tiflologo. Non possiamo più permetterci di tergiversare e perdere tempo! Oggi, infatti, sottolineare l’importanza delle due predette figure educative non significa voler eliminare il fondamentale ruolo del docente per il sostegno, ma voler riaffermare con forza l’imprescindibile necessità della specificità tiflodidattica e tiflopedagogica, per garantire un proficuo processo d’inclusione agli alunni/studenti con disabilità visiva del Terzo Millennio.
Per approfondire la storia di Louis Braille, suggeriamo senz’altro la consultazione del testo di Stefania Delendati, da noi pubblicato con il titolo Il metodo Braille, un’invenzione resiliente come poche altre (a questo link).