In questi giorni alcuni fatti di cronaca concernenti gli studenti hanno aperto un grande dibattito su come si debba intervenire. Mi riferisco alla situazione di Caivano (Napoli), concernente comportamenti criminali di giovani studenti nei confronti di compagne sottoposte a violenza sessuale; mi riferisco a comportamenti discriminatori e oltraggiosi di studenti nei confronti di compagni con disabilità; mi riferisco a quanto è avvenuto a Milano e il giorno dopo a Firenze e Pisa, dove nell’àmbito di manifestazioni studentesche a favore della pace in Palestina, gli studenti, a volto scoperto e senza armi e mezzi contundenti, sono stati duramente percossi dalle forze dell’ordine.
Ovviamente, come era doveroso, si è aperto un forte dibattito su come si sia intervenuto e come si sarebbe dovuto evitare l’uso della forza per contrastare e stigmatizzare questi episodi.
Nel caso di Caivano e degli studenti con disabilità bullizzati, il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha proposto di ricorrere a misure disciplinari che arrivino pure alla bocciatura degli autori dei comportamenti illegali. Nel caso dei “pestaggi” durante le manifestazioni studentesche contro la guerra a Gaza, si è invocato il ricorso a pene nei confronti di quanti delle forze dell’ordine abbiano ecceduto nell’uso dei mezzi repressivi.
Però dal mondo della pedagogia si è osservato che, prima della repressione penale o disciplinare, previste per legge, occorrerebbe ricorrere ad attività di formazione educativa.
Ciò è avvenuto ad esempio durante la recente riunione dell’Osservatorio Ministeriale sull’Inclusione Scolastica, nel corso della quale la professoressa Marisa Pavone dell’Università di Torino, già responsabile del Coordinamento dei Docenti Delegati dai Rettori per l’Inclusione Universitaria, ha sostenuto la necessità di preventivi interventi formativi educativi su chi sbaglia.
Anche la trasmissione Prima pagina di RAI Radio Tre ha dedicato oggi, 26 febbraio, una puntata a questo problema, in cui la rappresentante del Coordinamento dei Rettori ha sostenuto la necessità di una preventiva attività di formazione educativa sia nei confronti degli studenti che delle forze dell’ordine.
E ancora, sulla stampa sono intervenuti molti editorialisti che sostengono il ricorso a mezzi educativi. Molto interessante, ad esempio, la presa di posizione di «Avvenire», focalizzata appunto sull’importanza primaria dell’educazione.
Nelle scuole, per altro, non mancano esempi, ancora rari, di interventi disciplinari con finalità educativa, quali ad esempio anziché sospendere per alcuni giorni gli studenti autori di azioni oltraggiose e violente, anche solo verbali, mantenerli a scuola a svolgere attività socialmente utili.
Questi orientamenti innovativi, del resto, trovano un fondamento non solo nella pedagogia, ma anche nella nostra Costituzione, ove all’articolo 27 si stabilisce che le pene debbano tendere alla «rieducazione dell’imputato». In tal senso è veramente illuminante l’intervento del Presidente della Repubblica che, a differenza di dichiarazioni unilaterali di parte, dettate dagli orientamenti politici, ha stigmatizzato sia i fatti incresciosi avvenuti a Milano contro la Presidente del Consiglio da parte di alcuni manifestanti, sia quelli anch’essi gravissimi avvenuti a Firenze e a Pisa da parte delle forze dell’ordine.
Lapidaria in tal senso, proprio a sostegno della necessità di una preventiva educazione, la sua affermazione, espressa quasi in forma di “massima” giurisdizionale, secondo la quale «con gli studenti il manganello è un fallimento».
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