Negli ultimi giorni, prima di andare a lavorare, non ho potuto fare a meno di ammirare i vivaci fiorellini gialli di un rigoglioso albero di mimosa che fa capolino nel parco adiacente al posto di lavoro. Di questi tempi, considerando i molteplici squilibri causati dalla crisi climatica, rimango colpito dalla puntualità di questa fioritura: siamo infatti a ridosso dell’8 Marzo, Giornata Internazionale della Donna!
Per prepararci con consapevolezza a questa giornata, io, il gruppo di educatori e animatori con disabilità del Progetto Calamaio della Cooperativa Accaparlante di Bologna, abbiamo dedicato una mattinata alla visione di uno degli ultimi e più interessanti successi cinematografici italiani, C’è ancora domani (2023) scritto, diretto e interpretato da Paola Cortellesi, al suo esordio come regista.
Il film è ambientato nel 1946 a Roma, durante il Secondo Dopoguerra. La protagonista è Delia (egregiamente interpretata da Cortellesi) una donna umile, la quale per via del contesto socio-culturale profondamente sessista in cui è cresciuta, incarna il ruolo di madre dedita alla cura della casa e alla crescita dei propri figli, di moglie devota al compiacimento di suo marito Ivano (interpretato dal noto attore e regista Valerio Mastandrea), un uomo “semplice” che troppo spesso riversa su di lei la frustrazione per la propria condizione precaria, con rabbia, violenza e maniere a dir poco svalutanti.
La pellicola, quindi, affronta con urgenza argomenti quali la violenza di genere e la cultura patriarcale e a tal proposito ha subito catturato la mia attenzione l’enorme sensibilità e delicatezza con cui vengono rappresentate alcune scene, nonostante l’implicita drammaticità di cui sono intrise.
Altro aspetto degno di nota è il complesso rapporto tra Delia e la figlia Marcella, “promessa sposa” al giovane Giulio, nato e cresciuto in una famiglia borghese benestante.
La ragazza spesso disprezza la madre per il suo essere remissiva di fronte ai maltrattamenti fisici di suo marito, ma saranno proprio questi vissuti di violenza domestica che porteranno la donna a voler proteggere sua figlia da tutte quelle “micro-violenze” messe in atto dal fidanzato, di cui lei non si accorge minimamente – ossia quelle minacce, quei comportamenti manipolatori dal punto di vista emotivo e psicologico (ad esempio: «Perché ti sei truccata?», «Una volta sposata, non dovrai più lavorare, truccarti, sarai solo mia») – che sono “anticamera” di forme di violenza più grave.
La rappresentazione di questa dinamica offre importanti spunti di riflessione su una questione ancora oggi ampiamente dibattuta, ossia la necessità di un’educazione affettiva, sin dall’infanzia e dall’adolescenza, che possa offrire a bambine e ragazze gli strumenti necessari per riconoscere quelli che sono i “campanelli d’allarme” in relazioni problematiche e disfunzionali.
Nella conclusione a sorpresa, è il tema dei diritti delle donne ad avere la meglio! Delia, infatti, ha una relazione extraconiugale: nel finale sembra voler “scappare via” da quella situazione di violenza, per vivere una felice storia d’amore.
Ma quello che pare essere un perfetto “progetto di fuga” (che rischia di non andare a buon fine a causa dell’inaspettata morte del suocero) per raggiungere l’uomo di cui è segretamente innamorata, è in realtà un punto di svolta epocale che rivoluzionerà il ruolo delle donne, gettando tanti piccoli semi per future lotte e battaglie.
Delia non riesce ad abbandonare il funerale del suocero, ma in lei si accende una speranza e sussurra: «C’è ancora domani!».
È il 3 giugno 1946, seconda giornata di referendum per scegliere tra monarchia e repubblica: Delia e migliaia di donne italiane ebbero la possibilità di esprimere la propria scelta al pari degli uomini.
Dopo questa emozionante conclusione, sono uscito dal lavoro e non ho potuto fare a meno di rivolgermi a quel bellissimo albero di mimosa che mi “saluta” tutte le mattine: «Ma la rivoluzione è finita o c’è ancora domani?».
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Pensiero Imprudente
Dalla fine del 2022 Claudio Imprudente è divenuto una “firma” costante del nostro giornale, con questa sua rubrica che abbiamo concordato assieme di chiamare Pensiero Imprudente, grazie alla quale sta impreziosendo le nostre pagine, condividendo con Lettori e Lettrici il proprio sguardo sull’attualità.
Persona già assai nota a chi si occupa di disabilità e di tutto quanto ruota attorno a tale tema, Claudio Imprudente è giornalista, scrittore ed educatore, presidente onorario del CDH di Bologna (Centro Documentazione Handicap) e tra i fondatori della Comunità di Famiglie per l’Accoglienza Maranà-tha. All’interno del CDH ha ideato, insieme a un’équipe di educatori e formatori specializzati, il Progetto Calamaio, che da tantissimi anni propone percorsi formativi sulla diversità e l’handicap al mondo della scuola e del lavoro. Attraverso di esso ha realizzato, dal 1986 a oggi, più di diecimila incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole italiane. In qualità di formatore, poi, è stato invitato a numerosi convegni e ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche.
Già direttore di una testata “storica” come «Hp-Accaparlante», ha pubblicato libri per adulti e ragazzi, dalle fiabe ai saggi, tra cui Una vita imprudente. Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia e il più recente Da geranio a educatore. Frammenti di un percorso possibile, entrambi editi da Erickson. Ha collaborato e collabora con varie riviste e testate, come il «Messaggero di Sant’Antonio», per cui cura da anni la rubrica “DiversaMente”. Il 18 Maggio 2011 è stato insignito della laurea ad honorem dall’Università di Bologna, in Formazione e Cooperazione.
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