È difficile convivere con una malattia rara. Si impara con il tempo, lavorando su se stessi, prima di tutto per abbattere i propri tabù interiori, perché non si possono affrontare i pregiudizi esterni se prima non si sono superati quelli che abitano l’anima. Quando è una donna ad avere la suddetta malattia la quale colpisce la sua intimità, la sfera sessuale e riproduttiva, provocando una disabilità invisibile, la situazione è ulteriormente complicata nella costruzione del proprio io, nei rapporti familiari e sociali, nelle relazioni sentimentali.
Lo racconta il libro Circo Rokitansky di Federica Salamino e Clara Gargano, uscito il 7 febbraio per Le Plurali Editrice nella collana “Le Cantastorie”. In una graphic novel ironica dove si alternano disegni e testo, si racconta la storia di Olivia che a sedici anni scopre di non avere l’utero. Glielo comunica il ginecologo in modo freddo, scarabocchiando su un foglio, i genitori sono stati lasciati in un’altra stanza. Niente utero, niente mestruazioni, impossibile una gravidanza. Fine della storia.
Il linguaggio medico non tiene conto dell’emotività e non conosce empatia, Olivia è un’adolescente, una donna in evoluzione, sta vivendo un tempo che non tornerà più e quella diagnosi sputata in faccia come una sentenza determina la convivenza con la patologia che l’accompagnerà tutta la vita e anche la convivenza con se stessa. Deve ancora capire chi è, sa soltanto di non essere il modello standard di essere umano. Ha un nome difficile la sua malattia, sindrome di Rokitansky, una condizione rara e congenita (interessa una donna su 4.000-5.000) che vede l’apparato riproduttivo femminile parzialmente formato e può essere associata ad altri disturbi a livello renale, vertebrale e cardiaco. Olivia non ne è del tutto consapevole, ma la sindrome comporta anche l’impossibilità di avere rapporti sessuali.
Oggi le ragazze e le donne con questa patologia si definiscono “Roki”, si documentano online, si confrontano in chat e gruppi di ascolto. Non che tutto sia rose e fiori, se fosse facile non sarebbe stato necessario scrivere Circo Rokitansky e includere in calce alla storia un glossario dettagliato e altre informazioni che ne fanno un volume divulgativo. La sindrome in quanto rara è ancora poco conosciuta anche dei medici, in Italia soltanto due centri si occupano della presa in carico globale delle pazienti, manca un registro italiano, per cui il numero reale delle donne “Roki” non riesce ad emergere; dal 2014 è attiva l’Associazione Nazionale Italiana Sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser che sostiene le ragazze e le famiglie, promuove lo scambio di esperienze e sensibilizza gli specialisti.
Olivia riceve la diagnosi negli Anni Novanta, Internet è agli albori, i social con i loro pregi e difetti non esistono, non c’è modo di parlare con altre ragazze “Roki”. L’arrivo del primo ciclo mestruale è una tappa che ha ancora un forte valore sociale. Ne parlano tra loro le mamme, quasi fosse una “gara” dove vince colei che ha la figlia “primatista”, ne discutono le ragazze con timore e orgoglio quando “arrivano le mie cose”, sono un gruppo da cui Olivia è esclusa. Può una donna definirsi tale se non ha l’utero? Circo Rokitansky è una riflessione sugli stereotipi legati a cosa significa davvero essere una donna con un corpo non conforme, all’apparenza perfetto, ma al quale manca una parte che ne definisce tradizionalmente la femminilità.
Olivia tiene nascosta la sua malattia, non approfondisce nessun rapporto per paura di toccare argomenti che la metterebbero in imbarazzo, al primo fidanzato fa credere che l’intervento per poter avere rapporti sessuali sia una cosuccia da niente, una routine. Le emozioni nascoste comunque non spariscono, si accumulano. Non potrà mai avere figli in modo naturale, è una condizione poco accettata dalla società, se ne rende conto anche lei, nonostante la giovane età ponga lontano il desiderio di diventare mamma. Intorno a Olivia il circo della vita va avanti con la famiglia, gli amici, lo studio, i primi amori. Lei in quel circo è un’equilibrista che tiene in bilico un bagaglio pesante, invisibile agli occhi altrui, ha paura del rifiuto e indossa la maschera di ragazza perfetta e brillante, fino a quando la maschera si confonde con la realtà e le provoca disagio. Il corpo sa, la mente pure, c’è un’assenza che cresce dentro e le lacrime escono, esce la rabbia. C’è perfino il desiderio di avere una disabilità chiara, inequivocabile, così non ci sarebbe bisogno di tenere nascosto nulla, non occorrerebbero spiegazioni, gli occhi della gente non le passerebbero attraverso senza sapere cosa cela. È un desiderio che affiora quando incontra persone in sedia a rotelle, poi capisce che lo sguardo che ricevono non è vicinanza, è piuttosto compassione, vedono le ruote e in quelle identificano la persona. Se rivelasse il suo segreto si sentirebbe dire che avrebbe potuto andare peggio, dopotutto mica sta morendo!
Olivia si racconta in prima persona con spontaneità, l’immediatezza delle immagini ci conduce nella sua crescita fino all’incontro con il compagno di vita e la maternità, voluta ad ogni costo ricorrendo alla GdA, la gestazione per altri (in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge).
La maternità, un altro tema immerso in un brodo di luoghi comuni e idee mai messe in discussione, ogni decisione al di fuori del concepimento naturale, anche quella di non avere figli, genera giudizi e pregiudizi. Olivia ci arriva imparando a condividere i suoi pensieri, gli altri le danno l’opportunità di essere ascoltata, lei dà agli altri l’occasione di starle vicino. Fa un viaggio dentro se stessa in cui è possibile immedesimarsi, anche se non si ha la sua patologia.
Circo Rokitansky è un racconto che parla di “diversità”, inclusione e accettazione, temi che accomunano tutte le malattie rare. Ogni storia è fatta di famiglie smarrite di fronte alla diagnosi, di sofferenza psicologica, di ricerca degli strumenti per affrontare la situazione, di paure alle quali non si riesce a dare un nome. La malattia non è più soltanto un’esperienza soggettiva, quando Olivia impara a comunicare il proprio vissuto, il suo racconto diventa a buon diritto parte integrante della cura.
Leggendo questo libro, soprattutto la seconda parte, si comprende l’importanza di uscire dal proprio guscio, superando le remore e i preconcetti che sono anche dentro di noi.