Su alcuni quotidiani nazionali si è tornati a parlare di scuola e di integrazione. Questa volta, però, il focus non erano gli studenti con disabilità, ma quelli di origine straniera, in particolare i bambini e i ragazzi “di prima generazione” che al momento del loro arrivo in Italia hanno una conoscenza linguistica limitata. In un’intervista, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha definito problematica questa situazione e ha proposto l’attivazione di “classi di accompagnamento” di italiano e matematica con docenti specializzati e una didattica potenziata.
Per un puro caso, negli stessi giorni in cui si è accesa la discussione (e le polemiche) sulla proposta del ministro Valditara, abbiamo ritrovato sul sito della LEDHA [la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.] un editoriale dal titolo Si torna alla scuola per “diversi”? a firma di Donatella Morra, a lungo referente della LEDHA stessa per i temi relativi alla scuola e all’inclusione dei bambini e dei ragazzi con disabilità.
L’articolo risale al 28 ottobre 2008 e si apre con queste parole: «L’inclusione nelle classi comuni come l’unico mezzo per agevolare l’apprendimento non è un pensiero vecchio o ideologizzato». «Per i bambini stranieri, come per i bambini con disabilità – scrive ancora Morra – l’inserimento va voluto, pensato, ragionato, supportato con risorse umane, strumenti e strutture adeguati».
Sono passati molti anni, ma il contenuto di quell’articolo è ancora (purtroppo) attuale. Per questo abbiamo deciso di ripubblicarlo.
(Ilaria Sesana, LEDHA)
Si torna alla scuola per “diversi”?
L’inclusione nelle classi comuni come l’unico mezzo per agevolare l’apprendimento non è un pensiero vecchio o ideologizzato. In questo caso si tratta di apprendimento della lingua italiana da parte degli alunni stranieri, ma vale per ogni apprendimento: di saperi, comportamenti, regole comuni e – non meno importante – della capacità di relazionarsi con gli altri.
Per i bambini stranieri, come per i bambini con disabilità, l’inserimento va voluto, pensato, ragionato, supportato con risorse umane, strumenti e strutture adeguati. L’inserimento deve essere condiviso con tutti gli insegnanti e con le famiglie di tutti gli alunni in modo tale che il “diverso” non venga immediatamente percepito e rigettato come corpo estraneo ed elemento di disturbo, che fa rallentare lo svolgimento del programma e lievitare i costi.
Specifici laboratori linguistici in orario scolastico, doposcuola, corsi estivi, insegnanti facilitatori e strumenti differenziati a seconda del ciclo di istruzione sono le buone pratiche utilizzate ed offerte da quanti nella scuola italiana hanno già felicemente realizzato sperimentazioni di scolarizzazione degli alunni stranieri. La richiesta di chi si è attivato è unicamente di potere contare su risorse certe e continuative, riconfermate sulla base di un accertamento obiettivo del risultato didattico ed educativo raggiunto.
«La scuola è aperta a tutti», recita la Costituzione all’articolo 34: a noi piace pensare che ai ragazzi stranieri, come ai ragazzi con disabilità, non sia riservato solo qualche spazio di questa scuola, debitamente segnalato (“classe di inserimento”, “aula sostegno” ecc.): non è questa la “via italiana all’integrazione”, il cammino di non discriminazione scolastica che l’Italia, sin dal 1977, ha indicato anche ad altre nazioni.
Scuole speciali per i “minorati”, classi differenziali per ragazzi “tardivi, instabili, disadattati”: avevamo perso la memoria delle scuole e delle classi per i “diversi”. Ci piace invece ancora oggi pensare ad una scuola “diversa”, che offre a tutti pari opportunità, che cambia in funzione di un’utenza sempre più differenziata, una comunità educante, in cui non si appiattiscono ma si valorizzano le differenze.
Donatella Morra – 28 ottobre 2008