Le persone con disabilità sono secondo l’ISTAT il 5,25 % della popolazione, mentre per il Censis sono il 7,9%, pari a circa 4.800.000; gli avviamenti al lavoro sono stati 45.913 nel 2018, mentre 2.061 sono stati quelli in aziende non soggette agli obblighi della Legge 68/99; gli studenti con disabilità o DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) nel 2018 erano 36.800 (nel 2019 erano 45.000 gli iscritti nelle università); il 29% delle persone con disabilità vivono da sole; nel 2018 si sono iscritte al collocamento 64.789 persone con disabilità, 39.229 sono state avviate al lavoro, i datori di lavoro soggetti agli obblighi nel 2018 erano 95.467, i posti disponibili, sempre nel 2018, erano 501.880; in Europa il 51,3 % delle persone con disabilità in età lavorativa ha un lavoro retribuito, mentre in Italia siamo a meno del 30% (3 su 10 lavorano); le persone con disabilità sono il 21,4% della popolazione, circa 12 milioni, di cui oltre il 16 % gravi; il 32% sono a rischio di povertà; sono disponibili 150.000 posti di lavoro nel settore privato, più 115.000 nel settore pubblico; 366.000 sono gli occupati, 100.000 circa gli iscritti ogni anno; vengono avviati al lavoro circa 50.000 iscritti all’anno; su 10 solo 3 hanno un impiego stabile, molti nel settore pubblico, con un’età media sopra i 59 anni; calo della popolazione attiva: degli attuali 38 milioni si passerà a 27 milioni nel 2060, con un aumento della disabilità del 30%; nel 2019 erano 3,7 milioni le persone con disabilità importanti, pari al 6,1% della popolazioni di cui il 20,5% a rischio di povertà e di esclusione sociale, 1 su 5 a rischio di deprivazione; la sola Lombardia rappresenta il 23% degli inserimenti lavorativi, mentre il Mezzogiorno e le Isole sono al 18%; le persone con disabilità occupate sono il 19,7%; oltre la metà delle persone con disabilità sono anziani (450.000), i minori sono 2.968. 000, tra i 18 e 64 anni sono 4. 245.000; solo l’11% arriva all’istruzione terziaria, contro una media europea del 29,4% ecc. ecc. ecc.
Questa è un’accozzaglia di dati poco attendibili, contraddittori, la quasi totalità obsoleti, altri inaffidabili, e nell’insieme tutti inutili. Infatti non servono per valutare la situazione attuale e tanto meno per programmare politiche attive efficaci, per gestire al meglio il sistema di collocamento, e per valutare i costi sociali e gli sprechi che ne derivano. Ma nessuno solleva il problema e tanto meno le Istituzioni preposte lo affrontano. Sorprende tanta confusione e disinteresse, visto che i cittadini coinvolti in prima persona e non (familiari, operatori ecc.) sono oltre dieci milioni.
Quanto affermo non è riscontrabile solo dai dati disponibili (datazione remota; assenza di riscontri relativi ad alcune Province ecc.), ma dalla personale conoscenza dell’attività di numerosi uffici provinciali, dove ho visto cartelle degli iscritti accatastate in scatoloni, nessuna strumentazione informatica, banche dati mai aggiornate, dove sono presenti deceduti, collocati, trasferiti ecc.
Nonostante il peso sociale rappresentato dalla disabilità, non esiste una banca dati delle persone in età lavorativa, e in particolare degli occupati e dei disoccupati, e del come. Il tutto è inconcepibile nell’era dell’informatica, degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale. Tutto giace e tutto tace! Nemmeno la protesta degli interessati e di chi li rappresenta si sente!
Nel Decreto 151/15 si era evidenziata la necessità di costituire una banca dati nazionale, ma prontamente le Regioni avevano risposto che era irrealizzabile in quanto «[…] assolutamente impossibile da gestire senza poter contare su sistemi informativi tra loro dialoganti e interconnessi. Si tratta di un tema da affrontare in modo concreto e puntuale viste le difficoltà attualmente esistenti che rendono di fatto quasi impossibile lavorare in una logica di integrazione tra i soggetti. In particolare, […] si prevede la creazione di una specifica sezione denominata Banca Dati del collocamento mirato. Occorre, in primo luogo, capire la tempistica di realizzazione e le modalità di integrazione con i sistemi informativi regionali. In particolare, è necessario avere chiarimenti sul flusso dei dati della Banca Dati del collocamento mirato, al fine di comprendere come la banca dati acquisisca le informazioni previste nel documento. La necessità è che il sistema sia in cooperazione applicativa (tra i sistemi Regionali e nazionali) al fine di evitare un doppio caricamento delle informazioni sul sistema regionale e, poi, successivamente su quello nazionale, con ulteriore aggravio delle attività degli operatori del collocamento mirato. In tal senso, è necessario un incontro di approfondimento con i tecnici delle amministrazioni coinvolte. Ad ogni modo, la Banca dati del collocamento mirato, attualmente non attiva, andrebbe implementata secondo quanto previsto dal Decreto legislativo 151/2015 […]. In linea generale, ai fini dell’integrazione tra i sistemi informativi coinvolti nei percorsi di attivazione delle persone con disabilità, della raccolta sistematica dei dati disponibili nel collocamento mirato e delle buone prassi di inclusione lavorativa […], si auspica fortemente che possa funzionare appieno lo scambio delle informazioni fra le banche dati dei diversi servizi del territorio (servizi sociali, sanitari, educativi e formativi), considerate le numerose criticità incontrate in passato e che ancora si incontrano ai fini dell’acquisizione della documentazione completa»…
A questo si è aggiunta la disputa sulla proposta di utilizzare la banca dati dell’INPS o costruirne una nuova. Si è così proceduto ad intermittenza per sette anni, fino al totale silenzio attuale.
Siamo quindi costretti a rimpiangere l’ISFOL e Italia Lavoro che nel primo decennio della Legge 68 mettevano a disposizione dati sul funzionamento degli uffici, sul personale dedicato, sull’applicazione della legge e così via. Ora c’è poco o niente e nessuno verifica nulla, ma tutti i politici e gli amministratori si sentono autorizzati a declinare numeri e percentuali adattandoli alle proprie tesi. Quindi l’informazione si alimenta di dati partoriti dalla propaganda istituzionale o dagli enti preposti o sul percepito. Del resto è ovvio che non ci sarà mai nessun amministratore regionale o provinciale disposto a dichiarare il disastro in cui versa il sistema del Collocamento Disabili. Questo vale anche per il Governo, i Ministri interessati, l’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro)…
Allora tanto vale prendere in considerazione il percepito di ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro), che almeno si avvale di oltre cinquant’ anni di esperienze nel settore.
Noi possiamo sostenere che il numero di iscritti ha superato il milione, che circa il 50% di essi non è in cerca di lavoro, che i posti disponibili non coprono il 50% del bisogno, che il numero dei collocati è in piccola parte riconducibile all’attività diretta del sistema del collocamento, che i servizi competenti non dispongono di personale preparato per curare l’incontro domanda/offerta e sostenere i percorsi di accompagnamento al lavoro, che il 75% degli iscritti necessita di un servizio di mediazione o sostegno all’inserimento, che l’ utilizzo delle buone prassi, unica via per favorire l’inserimento lavorativo del 50% degli iscritti, è alquanto sporadica, che oltre il 60% è iscritto da più di cinque anni, che meno del 10% dei collocati ha ricevuto una proposta lavorativa diretta dal Collocamento Disabili, che circa il 90% dei collocati al lavoro nell’arco di ventitré anni è avvenuto in autonomia, o tramite servizi territoriali, agenzie per il lavoro, enti accreditati…
Questa è la fotografia della drammatica realtà tragica in cui versa il Collocamento Disabili italiano, non per colpa dei singoli operatori, che spesso si impegnano oltre il dovuto, ma grazie a una classe politica e dirigenziale sempre più impreparata. Questa situazione è stata sottolineata da organizzazioni internazionali, ministri, e da un’infinità di addetti ai lavori, e tuttavia siamo in perenne attesa di una oramai indispensabile riforma.
Nel frattempo, però, si potrebbero recuperare dall’ISTAT, dal Censis, dall’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), dall’INPS, i dati del numero degli inserimenti realizzati annualmente, dei collocati con un contratto regolare, degli assunti part-time o a tempo pieno (se a tempo determinato o indeterminato), quanti in somministrazione, quanti in tirocinio, quanti realizzati dal Collocamento Disabili, dalle agenzie per il lavoro, dai servizi territoriali, la categoria di disabilità di appartenenza (ciechi, sordi, intellettivi, mentali, neurologici, somatici), le fasce di percentuale di invalidità, il contesto di inserimento differenziato in pubblico, privato o privato sociale, la dimensione aziendale (imprese soggette e non agli obblighi della Legge 68), il numero di posti disponibili. Questi dati possono essere raccolti facilmente, già lo facevano, come accennato, Italia Lavoro e l’ISFOL nei primi anni della Legge 68. Esse disponevano anche dei dati relativi agli uffici provinciali, alle aziende, alle persone con disabilità, mentre ora, nonostante l’evoluzione informatica e la creazione di nuove agenzie nate per essere più efficaci, non disponiamo di nulla.
È forse il frutto di una volontà calcolata? Che sia meglio non disporre di conoscenze che potrebbero rivelarsi un boomerang politico? L’inefficacia del sistema di collocamento italiano, l’inerzia politica, la contrazione delle disponibilità economiche impongono un welfare di prossimità, una partecipazione degli enti locali e della comunità territoriali, altrimenti l’alternativa futura sarà un ritorno all’inserimento in strutture speciali o lasciare le persone con disabilità in carico alle famiglie.