Il 28 dicembre 2023 nel Lazio ad alcune famiglie con figli autistici gravi e disabilità complessa, è stata letteralmente tolta la terra sotto i piedi. Pierluigi Frassineti, membro fondatore del FIDA (Forum Italiano Diritti Autismo) e padre di Julian, autistico di 30 anni, spiega che la nuova Giunta Regionale del Lazio ha emanato infatti una Delibera, la n. 983, che stabilisce tempistiche di valutazione e soluzioni di alloggio in strutture socio-sanitarie che potrebbero portare al trasferimento da quelle piccole comunità socio-assistenziali dove i loro figli e figlie, con una buona qualità di vita, hanno vissuto finora [su tale tema si legga già ampiamente, sulle nostre pagine, anche la denuncia della FISH Lazio-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.].
Oggi, infatti, 89 persone nello spettro autistico e disabilità complessa rischiano il trasferimento dalle attuali residenze socio-assistenziali in istituti socio sanitari, ex art. 26 [della Legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, N.d.R.].
La Delibera sembrerebbe chiara: le ASL dovranno individuare in tempi brevi e non oltre il 30 giugno 2024 la risposta assistenziale più appropriata in ragione dei PAI (Piani di Assistenza Individualizzati) formulati dalle UVMD (Unità di Valutazione Multidisciplinari), tenendo conto ove adeguato un setting residenziale/semi residenziale, dell’unità di offerta attualmente presente sul territorio regionale, ossia le strutture sociosanitarie ove ospitare le 89 persone con ASD (disturbo dello spettro autistico) e/o disabilità complessa ricomprese nel bacino di cui al presente atto.
Le parole di Enza Padulano, mamma di Massimiliano, un trentanovenne nello spettro autistico che insieme ad altre famiglie si sta opponendo a questa Ddelibera, sono chiare: «Appena ho saputo della Delibera il mio cuore ha cominciato a battere all’impazzata e se continua così ci ammaleremo sicuramente».
«Attualmente – aggiunge Enza – mio figlio è inserito in un centro socio assistenziale, Ciampacavallo: è lì da 10 anni e il riscontro è stato ed è molto positivo per lui; da quando frequenta questo centro sono diminuiti i “comportamenti problema”, sono diminuite le stereotipie e sono diminuiti i farmaci che prende. Quando torna a casa dopo le attività mi racconta la sua giornata, fa esperienze di weekend e di vacanze estive ed è felicissimo. Già da adesso comincia a chiedere quando andrà in vacanza, quindi io non ho nessuna intenzione di trasferirlo in un altro posto o pensare minimamente che qualcuno possa decidere che è trasferibile».
Ciampacavallo ONLUS è da anni un punto di riferimento per tante famiglie che affidano i loro cari con disabilità agli operatori del centro. Si tratta di una struttura molto conosciuta nel territorio romano, è un centro socio assistenziale che dal 2009 conduce un progetto sperimentale outdoor: gli utenti si occupano del maneggio tramite attività di pet therapy con i cavalli all’aria aperta. È un laboratorio di inclusione sociale in cui persone con disabilità di ogni tipo e di ogni età, lavorano insieme.
Anche Sabrina Carratelli manda il figlio in questo centro socio assistenziale ed è molto contenta. Simone ha 32 anni, da quando aveva 21 mesi soffre di qualcosa che è simile all’epilessia, anche se una diagnosi certa non è mai stata fatta. «Quando era piccolo – racconta Sabrina – aveva fino a 40 crisi al giorno e girava con il caschetto, ha preso tantissimi farmaci che gli hanno anche precluso un normale sviluppo cognitivo». Simone ha frequentato un istituto agrario e dopo la scuola è stato inserito a Ciampacavallo.
«Da quando Simone ha cominciato a frequentare questo centro ho visto molti benefìci a livello comportamentale perché ci sono delle persone preparate che lo seguono – dice Sabrina -, invece a scuola era come se da una parte ci fossero “loro” e dall’altra quelli “normali”, diciamo. Adesso invece sono integrati, a livello comportamentale lui ha ancora dei problemi, ma sono molto più gestibili: mio figlio ascolta sicuramente molto di più e le sue crisi sono scomparse circa sei anni fa grazie alle attività del centro e ad una terapia farmacologica più adeguata».
Enza e Sabrina si sono conosciute a Ciampacavallo ormai dieci anni fa, sono soddisfatte del lavoro che viene fatto in questo centro, «c’è un carico molto alto di umanità e di empatia – dice Enza – perché ai nostri figli non servono solo degli interventi sanitari. Se un ragazzo ha delle difficoltà, ad esempio, lo trattano con cura fino a far rientrare la crisi con tanta pazienza. Al contrario nelle strutture ex-articolo 26 arrivano con una fiala di valium perché ci sono dei medici e lo possono fare. Ad esempio mio figlio si arrabbiava ancora di più col valium per via dell’interazione con altri farmaci e la situazione diventava ingestibile».
Non è una storia isolata, questa. Tante persone con disabilità intellettiva vengono “trattate” con farmaci non adeguati. Il farmaco, nell’autismo, è l’ultima spiaggia dopo interventi di vario tipo, in primis quelli comportamentali ABA [Analisi applicata del comportamento, N.d.R.], come affermano i neuropsichiatri più esperti e coscienziosi.
«Mio figlio – prosegue Enza – ha avuto due esperienze in centri diurni sanitari ex articolo 26: in uno è stato picchiato – lo psichiatra me li ha definiti “schiaffi terapeutici” – nell’altro istituto invece ne è uscito col malleolo rotto e il distacco della retina di un occhio».
Ma voi potete decidere dove mettere i vostri figli? «Fino ad ora sì – continua Enza -, Massimiliano non è stato dimesso: l’ho portato via io da quell’istituto e ho fatto anche denuncia, ma non è successo niente perché era la loro parola contro quella di un ragazzo autistico e le mie parole non sono state prese in considerazione. Però, qualche tempo dopo anche altri genitori hanno riportato episodi simili e ben dieci persone sono finite in galera. Il centro sanitario finì sulle pagine dei giornali per via delle angherie che il personale faceva subire agli ospiti presenti. La scelta di Ciampavallo è stata possibile in accordo col Municipio e i fondi per la sua assistenza sono stati spostati dal sociosanitario al socio assistenziale e per mio figlio è cominciato un percorso in discesa: i farmaci sono stati scalati, i comportamenti non adattivi sono diminuiti e quindi anche la nostra vita – quella mia e dell’altra mia figlia – di conseguenza è più tranquilla. Mio marito ci ha lasciato qualche anno fa e siamo rimasti noi tre».
«Prima quando nell’istituto Simone faceva i weekend fuori – dice Sabrina -, ero spesso costretta a riprendermelo perché lui non ci voleva stare, mentre oggi invece è lui a chiedermi di andare e non vede l’ora! Così la nostra qualità di vita è migliorata notevolmente».
Ma cosa sta succedendo realmente? Perché questa Delibera viene emanata dalla Regione Lazio come un fulmine a ciel sereno? E perché 89 persone con autismo, che grazie a una memoria di Giunta Regionale del 2019 vivono in strutture residenziali socio assistenziali, rischiano di vedere le proprie case trasformarsi in strutture socio sanitarie o, peggio, di essere trasferiti entro il 30 giugno in plessi sociosanitari? Ce lo spiega Pierluigi Frassineti: «La Delibera è il risultato di cinque anni di sostanziale immobilità nella gestione di queste persone, recuperate alle cure del socio-assistenziale dalla decisione del 2019, e lasciate colpevolmente galleggiare nella burocrazia finora dallo stesso Comune di Roma e dalla Regione Lazio. Oggi la nuova Giunta, però, imbocca una strada sbagliata, nel desiderio di mettere il Comune di fronte alle proprie responsabilità, costringendolo ad intervenire nel sostegno economico delle rette. E allora indovinate chi ci va di mezzo? Noi genitori, che vediamo un futuro che dire incerto è un eufemismo. La verità è che anche il Comune di Roma ha una grande responsabilità nei confronti degli 89, poiché per anni non è intervenuto sostenendo le spese che ricadono nel comparto socio- assistenziale. Finora il Comune di Roma sembrava impossibilitato a caricarsi del peso economico necessario (ricordiamo che si tratta di rette che afferiscono all’area socio-assistenziale, in carico dunque alle Municipalità) ed ecco che la Regione interviene con una compartecipazione al budget del 60 o al 70%, a seconda dei casi».
«Ma è qui l’enorme criticità di questa Delibera – prosegue Pierluigi – che dispone di sottoporre le 89 persone ad una valutazione multidimensionale entro il 30 giugno per stabilire quanti di loro potranno essere trasferiti in una struttura socio-sanitaria. Proprio quelle, guarda un po’, che riteniamo (non solo noi, ma tutti gli esperti) totalmente inadeguate nostri figli. Oppure per trasformare le attuali residenze socio-assistenziali in socio-sanitarie, cioè dotate di medici, infermieri e (probabilmente) camera mortuaria, secondo i requisiti richiesti nel settore. Il che comporterà una crisi di sostenibilità nelle Associazioni e nelle Cooperative del Terzo Settore coinvolto, che fino ad oggi ha ricoperto egregiamente il ruolo di “ombrello assistenziale” alle lacune del welfare pubblico».
«Noi genitori – dice Enza – ci stiamo opponendo con tutte le forze a questa Delibera perché i nostri ragazzi non sono soprammobili e perché la questione è evidentemente politico economica, inoltre dev’essere anche riconosciuta una dignità prima di tutto ai nostri figli. I nostri referenti delle ASL ci dicevano di non sapere cosa sarebbe successo, i ragazzi questo lo sentono, sentono il nostro nervosismo, la nostra ansia. Non posso pensare che qualcuno possa decidere senza il mio consenso di mettere mio figlio in una struttura sanitaria. Io mi ritrovo a dover affrontare un conflitto emotivo enorme».
«La cosa che ne viene fuori – sottolinea ancora Enza – è che non c’è un lavoro fatto di concerto con le famiglie, ma quasi di contrapposizione. È la prima volta che succede una cosa del genere, prima erano voci, adesso l’hanno scritto e poi stanno anche infangando quello che ha detto Basaglia, quello che ha detto la Legge 328/00 [Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, N.d.R.], cioè stiamo tornando indietro di 45 anni!».
Ovviamente per la Regione Lazio e il Comune di Roma i ragazzi costano di più nel socio-assistenziale che nel sanitario dove c’è un rapporto da uno a dieci, che significa un operatore per dieci persone.
«I nostri ragazzi costano troppo – precisa Enza -, anche a Ciampacavallo il rapporto operatori/utenti è passato da uno a due, pure uno a tre per via dei fondi che non ci sono. La nostra impressione, che viviamo con angoscia, è quella della deportazione e di ritornare ad un approccio unicamente farmacologico. Dopo questa delibera ci siamo confrontati con le Istituzioni solo attraverso i giornali, e se da un lato dopo il polverone che abbiamo alzato l’assessore all’Inclusione Sociale e ai Servizi alla Persona della Regione Lazio Massimiliano Maselli, ci ha rassicurato dicendo che ogni caso sarebbe stato valutato singolarmente e che nessuno verrà spostato, quello che ci chiediamo è: ma questa Delibera è vera o è falsa? Noi genitori abbiamo fatto ricorso per bloccarla, il ricorso poteva essere depositato entro il 4 marzo e abbiamo dovuto spendere 400 euro a testa, che sono tanti soldi e che incidono sulle nostre economie e che comunque potevano essere spesi ad esempio per i nostri figli e non per fare un ricorso. La Regione ha fissato l’appuntamento con Ciampacavallo e la casa famiglia Oikos il 5 marzo, criticando il fatto che facendo ricorso avremmo mandato un messaggio sbagliato di sfiducia. A mio avviso la Delibera come l’atteggiamento delle istituzioni è controverso. Se il nostro ricorso verrà accettato entro 30 giorni, sarà poi il TAR a decidere se rendere nullo questo provvedimento che comunque parla di sanitario e della ricollocazione di 89 persone».
Ma che impatto ha avuto questa situazione su voi genitori? «Noi genitori – dice Enza – in quanto anche caregiver, precipitiamo nell’angoscia quando succedono queste cose». Pierluigi Frassineti aggiunge che “chi amministra il sociale dovrebbe rendersi conto di cosa scatenano decisioni che riportano indietro la storia, scaturiti da meri calcoli economici e politici. Il rischio di ricadute davvero cliniche sui nuclei familiari è altissimo e la responsabilità ricade su chi non riesce, non sa, non vuole attuare le leggi esistenti in materia di welfare, ma si limita a seguire norme e vincoli che sussistono dal secolo scorso. Per questo noi parliamo di “diritti negati”, perché proprio in virtù di una situazione anomala tra Regione e Comune, queste persone sono nel limbo burocratico-amministrativo da cinque lunghi anni, con rinnovamenti annuali e addirittura semestrali della loro posizione nelle varie case- comunità gestite dal Terzo Settore».
«Inoltre – dice Enza – anche mettersi a leggere le Delibere parola per parola, interrogandoci tra noi è uno sforzo enorme. Non tutti i genitori hanno gli strumenti per poter comprendere un testo con un linguaggio specifico, per noi è un inferno, ci aiutiamo tra noi nei momenti di libertà dal lavoro, quando non siamo con i nostri figli che comunque sono complicati da gestire e che facciamo con grandissimo amore, ma sono anche un grandissimo fardello da sostenere emotivamente». «E – interviene Sabrina – invece di sostenere i genitori con delle leggi adeguate, anche stabilendo una pensione anticipata per noi che dobbiamo occuparci dei nostri figli per poter stare più tempo con loro, ogni tot ci sconvolgono la vita minacciando la chiusura di un servizio socio assistenziale che per noi è positivo, perché vediamo i nostri figli più sereni».
Dopo l’incontro del 5 marzo i genitori hanno ricevuto ulteriori rassicurazioni, sempre a parole: i loro figli rimarranno dove sono e che proseguiranno il proprio percorso. E dunque la Delibera? Quelle decisioni resteranno sulla carta? Finalmente Regione e Comune si metteranno d’accordo per organizzarsi di concerto, così come sancito dall’ONU e da una lunga serie di leggi italiane, invece di separare i fondi in quote standard?
Un suggerimento molto semplice viene da Frassineti: «In generale basterebbe smetterla di ragionare in modo binario, sociale di qua e sanitario di là e bisognerebbe prevedere la compartecipazione di entrambi i settori secondo ciò che la Legge 328/00 e la nuova Legge Delega 227/21 in materia di disabilità sanciscono. Sono vent’anni e più che attendiamo, nel Lazio, la messa a sistema di un vero Progetto di Vita personalizzato, individuale e partecipato, sostenuto dal Budget di Salute, che è uno strumento molto flessibile e dinamico per far sì che quelle che oggi sono distanze apparentemente incolmabili diventino vera e propria cooperazione fra Amministrazioni anche diverse. Serve però impegno, passione e tanta, tanta formazione, tutte cose che al momento sembrano utopiche. È bene che però qualcuno si domandi che cosa potrà accadere alle prossime elezioni, perché alla fine la massa critica che può essere coinvolta non è solo quella delle 89 famiglie, ma molto molto di più. Di mezzo ne va la vita dei nostri congiunti».
Teoricamente, infatti, dalla “Legge Basaglia” in poi l’approccio solo farmacologico e sanitario all’interno di strutture costrittive sebbene sia meno costoso, è stato ampiamente superato. E quindi, per tornare ai nostri rassicuranti amministratori di Regione e Comune, “parola d’onore d’onorevole?”, come disse Totò… Siamo sicuri che anche a Roma e in Lazio e in generale alle persone con disabilità sarà garantito un futuro dignitoso e che non si tratti invece di una prova generale per portare le lancette indietro nel tempo?