«Il modello del PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) della nostra Regione prevede tre fasi: quella acuta – dall’emergenza fino alla stabilizzazione delle funzioni vitali –, la post-acuta e quella degli esiti. Il modello applicato presso la nostra struttura ci ha consentito, negli anni, di avere sempre più chiari gli obiettivi e l’outcome del paziente [la situazione del decorso, N.d.R.]. La nostra attività, ora, è quella di proseguire nello studio e nel conseguente riconoscimento di indicatori prognostici e diagnostici affinché i target per singolo paziente possano essere identificati con sempre maggiore definizione. Due studi multicentrici ai quali partecipiamo vanno proprio in questa direzione»: lo ha dichiarato Pamela Salucci, che dirige la Struttura Complessa Gravi Cerebrolesioni Acquisite all’Istituto Riabilitativo Montecatone di Imola (Bologna), la nota struttura di riferimento per la riabilitazione di persone con lesione midollare o grave cerebrolesione presso la quale vi sono 85 pazienti annui con una degenza media di 110 giorni circa ciascuno, nel corso del convegno 2004-2024 Reti di esperienze per le gravi cerebrolesioni acquisite tra risultati e prospettive, organizzato nei giorni scorso dall’Associazione bolognese degli Amici di Luca all’interno della manifestazione Exposanità (se ne legga anche la nostra presentazione).
Sempre a proposito del modello adottato a Montecatone, esso, secondo Salucci «deve ancora essere ampliato e consolidato soprattutto nella ricerca di un rapporto più stretto con il territorio. Il ruolo dell’ospedale, infatti, è rimanere a disposizione del paziente/familiare e dei colleghi del territorio, offrendo, in caso di necessità, un contributo con un’équipe esperta sulla gestione delle complicanze e delle cronicità attraverso gli ambulatori di Neuroriabilitazione, specializzati sempre più nelle cronicità e nel trattamento delle complicanze. Negli anni abbiamo acquisito in questo senso maggiore esperienza nel riconoscerle: idrocefalo, spasticità, necessità di interventi di chirurgia funzionale o impianto di infusori al Baclofene, tutte cose che facciamo qui in Istituto. L’auspicabile avvio di un protocollo con i fisiatri territoriali e la successiva creazione di una rete consentirà dunque al paziente domiciliato di individuare rapidamente complicanze e cronicità e, se del caso, di rientrare nella fase ospedaliera».
Durante il proprio intervento a Bologna, Salucci si è soffermata anche sull’ingresso in neuroriabilitazione ospedaliera della robotica quale elemento di ulteriore progresso e personalizzazione dei protocolli, e sul “dialogo” remoto con i pazienti al quale il Covid ha offerto una spinta decisiva. «Su tre livelli – ha affermato in tal senso –, ovvero tramite teleconsulto medico, dove la presenza del paziente non è sempre indispensabile; teleassistenza, che si prefigge di agevolare lo svolgimento corretto delle attività assistenziali, praticate prevalentemente a domicilio direttamente dal paziente o da chi l’assiste, guidate a distanza da un professionista sanitario come un infermiere, un fisioterapista o un logopedista. E infine, la televisita, con il professionista che interagisce a distanza, in tempo reale, con il paziente, anche con il supporto di un caregiver o di un operatore sociosanitario che si trovi vicino a quest’ultimo e la teleriabilitazione». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Claudia Corsolini (corsolini@montecatone.com).
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