Nei giorni scorsi è stato posto sotto sequestro a Jesi (Ancona) un appartamento che ospitava sei persone con disturbi psichici; una coppia è stata arrestata e la figlia risulterebbe indagata. Violenza sessuale aggravata l’accusa per lui, maltrattamenti invece per la moglie e la figlia. Si tratta di una vicenda sulla quale vorremmo esprimere alcune riflessioni, a partire da quanto emerso su di essa e soprattutto sui contenuti della Sentenza del TAR delle Marche (Tribunale Amministrativo Regionale), prodotta nel mese di settembre dello scorso anno (disponibile a questo link), successiva al ricorso dei soggetti ora indagati, dopo un’Ordinanza del Comune di Jesi che, a seguito di un’ispezione, aveva stabilito la cessazione dell’attività, ritenendo che si trattasse, nei fatti, di un “servizio” che per essere erogato richiedesse autorizzazione. Era stata comminata anche una multa.
Ebbene, il TAR, a seguito di ricorso, ha ritenuto non trattarsi di una comunità che per operare avesse obbligo di autorizzazione, ai sensi delle norme regionali vigenti, ma di una “servizio” che trova ispirazione e riferimento alla Legge Regionale sulla Vita Indipendente (Legge Regionale 21/18), ossia una sorta di appartamento autogestito) e come tale, appunto, non soggetto ad autorizzazione. Ha conseguentemente accolto il ricorso, annullando l’Ordinanza Comunale, in questo, come si può leggere nella Sentenza, con il supporto delle indicazioni date dal direttore del Dipartimento di Salute Mentale. La Magistratura avrà ora il compito di fare chiarezza sulla vicenda.
A questo punto riteniamo che alcuni aspetti della vicenda debbano essere posti all’attenzione e per primi quelli segnalati in un comunicato dell’Associazione Tutela Salute Mentale Vallesina nel quale si ricorda le numerose segnalazioni, dal 2018, riguardanti il “funzionamento” dell’appartamento:
1) Nella casa venivano ospitate, stando alle ricostruzioni, cinque-sei persone, tutte con protezione giuridica (tutori o amministratori di sostegno). Persone dunque che necessitavano di tutela. C’è da chiedersi, sulla base di quanto è emerso e sta emergendo, se questo stava avvenendo.
2) Come avveniva effettivamente l’autogestione dell’assistenza, ossia la scelta di andare a vivere in quel determinato luogo e non, ad esempio, in un altro.
3) Una casa ispirata al modello della “vita indipendente”: significa che le persone – le quali, va ricordato, non sembrano siano beneficiarie dell’intervento regionale (a proposito: avevano fatto mai domanda?), avevano scelto di vivere in comunità e di autogestirsi l’assistenza. In soldoni, significa che se non rientri nel finanziamento regionale e nelle regole applicative di esso, la cosiddetta “ispirazione” può tradursi in tanti modi (come abbiamo visto e stiamo vedendo in questa vicenda). Qualcuno, quindi, dovrà pur spiegare quale relazione esista tra il contenuto della Legge Regionale sulla vita indipendente, che assume il modello dell’assistenza personale autogestita con l’assunzione di uno o più assistenti, con l’organizzazione di questo appartamento.
Vale, al proposito, la pena citare quanto riporta la Sentenza del TAR,, con riferimento a quanto affermato dal Dipartimento di Salute Mentale di Jesi e dalla Regione Marche e chiedersi quale relazione ci sia tra il modello “vita indipendente” regionale (che è rivolto a persone capaci di autogestirsi l’assistenza e che conseguentemente non fa mai riferimento al cosiddetto cohousing, che invece è uno degli interventi previsti nella cosiddetta sperimentazione nazionale) e la realtà di cui ci stiamo occupando.
– Dipartimento di Salute Mentale: «[…] di fatto questo appartamento è solo uno dei tanti progetti avviati nella Regione Marche, oltretutto molto più avanzato degli altri, completamente AUTONOMO anche sotto l’aspetto economico, in quanto né l’ASUR [Azienda Sanitaria Unica Regionale, N.d.R.], né il Comune di Jesi, né la Regione investono in questo appartamento fondi pubblici, ma è tutto autofinanziato dalle persone che ci vivono. In altri termini, è la stessa ASUR a riconoscere che gli ospiti dell’appartamento non sono inseriti in una struttura che promuove assistenza socio-sanitaria, ma coabitano nell’appartamento privato e autogestito in quanto avviati ad un percorso terapeutico volto a promuovere un progetto di vita indipendente, come da legge regionale n. 21/2018».
– Regione Marche: «In base alla normativa nazionale e regionale vigente, le residenze di housing e cohousing di cui ai “progetti di Vita Indipendente” non sono configurabili nell’àmbito delle strutture di cui alla Legge regionale n. 21/2016 [Autorizzazioni e accreditamento istituzionale delle strutture e dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici e privati e disciplina degli accordi contrattuali delle strutture e dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici e privati, N.d.R.]. Trattasi infatti di progetti aperti alle molteplici forme dell’”abitare sociale”, forme anche sperimentali e innovative di de-istituzionalizzazione, così come si può evincere da quanto in allegato».
Il tristissimo paradosso: quello che è successo e quello che stiamo leggendo in questi giorni sarebbe ispirato al modello della vita indipendente che richiama autodeterminazione, autogestione, e deistituzionalizzazione. Sulla scorta di quanto stiamo leggendo, ognuno può farsi l’idea di come in quell’appartamento di Jesi sia stata declinata l’autodeterminazione e l’autogestione!
Si è arrivati addirittura a scomodare anche l’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità: «Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che: (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni».
È opportuno comunque leggere con attenzione la Sentenza del TAR in tutti i suoi passaggi. E come si sia potuta utilizzare e tradire la Legge Regionale 21/18 a supporto della creazione di una realtà come quella di cui ci stiamo occupando. Si veda ad esempio:
«- la dottoressa – OMISSIS -, assistente sociale in pensione, riferisce di svolgere come volontaria il ruolo di referente nell’ambito di progetti di “vita indipendente” di cui alla legge regionale n. 21/2018, collaborando con il Centro di Salute Mentale di Jesi, e, in tale qualità, di prestare ausilio domiciliare alle suddette persone, appunto coinvolte nell’attuazione di un progetto di vita indipendente;
– come si evince dai documenti sub n. 31 allegati al ricorso, recanti le dimissioni dei pazienti dalle strutture di ricovero e cura, i progetti di vita indipendente sono conosciuti e appoggiati dalla stessa Azienda sanitaria, la quale li individua quali percorsi terapeutico-riabilitativi alternativi”».
È necessario pertanto chiedersi e chiedere:
a) come, da chi, sulla base di quali norme è stato redatto il progetto di vita indipendente;
b) quale norma declina l’assistenza personale autogestita in termini terapeutico/riabilitativo.
Vedremo gli sviluppi dell’inchiesta della Magistratura per meglio capire quanto successo e le conseguenti responsabilità. Ma non si può non condividere quanto affermato dall’Associazione Tutela Salute Mentale Vallesina: «Il “volontario” colto a cucinare in brache calate è purtroppo l’orrenda punta dell’iceberg». Ci sarà tempo per ulteriori approfondimenti e riflessioni. Intanto, sentiamo tutti la responsabilità di fare in modo che non ci si fermi a quella punta.
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