Si continua ancora a parlare della “dirompente” – come è stata definita dai suoi promotori, tra cui il professor Dario Ianes – Proposta di Legge sulla “cattedra inclusiva”. Di recente, se n’è ancora discusso in occasione di un incontro organizzato dall’Associazione Gessetti Colorati e di un altro tenutosi a Roma (Esperienze di cattedra inclusiva), che hanno suscitato entrambi molto interesse e attenzione per i preziosi spunti di riflessione pedagogici e didattici che ne sono scaturiti tra gli addetti ai lavori e non.
A proposito dell’eventuale attivazione della “cattedra inclusiva”, condivido a pieno quanto scritto dall’amico Salvatore Nocera su queste stesse pagine nell’articolo Alcune “osservazioni diaboliche” sulla “cattedra mista” (o “cattedra inclusiva”). Anche chi scrive, infatti, pur apprezzando il tentativo dei promotori di quella proposta, di superare con essa i malintesi e le “deleghe” al solo docente specializzato dell’inclusione scolastica e di garantire un’effettiva contitolarità tra tutti i docenti curricolari e per il sostegno, quale esperto con disabilità e di inclusione, devo tuttavia evidenziare che la citata Proposta di Legge confligge con la legislazione “inclusiva” del nostro Paese, a partire dalla Legge 517 del 1977 e dalla Legge 104 del 1992, fino al Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione. Tali norme, infatti, hanno previsto il lungimirante principio del “sostegno del contesto” a supporto dell’inclusione scolastica e non solo la preziosa figura del docente di sostegno, anche se poi il sempre più crescente ricorso ai tribunali da parte delle famiglie dei ragazzi/ragazze con disabilità ha corroborato in loro, nel corso dei decenni, l’idea distorta che l’inclusione dipendesse soltanto dall’insegnante di sostegno, indipendentemente dalle sue competenze specifiche sulle singole disabilità, dall’aumento delle sue ore di lezione e non dal “contesto”.
Tutto ciò è avvenuto perché, nel corso degli anni, la specializzazione dei docenti per il sostegno da “monovalente” – attenta cioè alle specifiche disabilità e ai bisogni educativi dei singoli – è divenuta invece “polivalente” e “general-generalista”. Oltre poi alla scarsa formazione e preparazione specifica dei docenti di sostegno, non va neppure trascurata quella altrettanto irrilevante sulle specifiche disabilità degli insegnanti titolari, se si pensa che, in base a quanto previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 4 agosto 2023 sulla formazione iniziale degli aspiranti insegnanti curricolari, sono soltanto dieci i CFU (Crediti Formativi Universitari) loro riservati sulla Didattica e la Pedagogia e tre quelli sulla Didattica dell’Inclusione e la Pedagogia Speciale. Per non parlare della “colpevole” mancata proroga della disposizione di cui all’articolo 1, comma 961 della Legge 178/20, che prevedeva 25 ore di formazione obbligatoria per i docenti delle classi frequentate da alunni/alunne con disabilità.
Per garantire un’effettiva inclusione, dunque, oltre ad un’auspicabile formazione obbligatoria generalizzata sulle singole disabilità da parte di tutto il personale scolastico e all’imprescindibile potenziamento dei CTS (Centri Territoriali di Supporto), è necessario che vi siano funzioni e classi di concorso ben definite, anche per il sostegno, come previsto dalla Proposta di Legge presentata dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) già nel 2021.
Al docente titolare, pertanto, spetti il diritto-dovere di insegnare la disciplina e di verificare gli apprendimenti di tutti gli alunni della classe, compresi quelli con disabilità, funzione questa che non potrà più delegare a nessuno; al docente di sostegno non competano né l’insegnamento disciplinare, né la verifica degli apprendimenti dell’alunno con disabilità, ma il dovere di supportare il collega titolare, il Consiglio di Classe e l’intero contesto, suggerendo metodologie e indicazioni didattiche appropriate, oltreché fornendo gli strumenti volti a rendere efficaci gli insegnamenti destinati agli alunni con disabilità.
E tuttavia, per perseguire il predetto auspicabile risultato, non serve istituire “cattedre miste” o “inclusive”. Infatti, mi viene molto difficile pensare a un docente titolare di Matematica o di Latino o addirittura di Informatica che si cimenti nell’approcciarsi all’insegnamento e alla valutazione dello studente con disabilità, se non possiede una preparazione adeguata e una formazione specifica, ad esempio sulla lettoscrittura in Braille, sulla LIS (Lingua dei Segni Italiana), o sulla CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa). Così come risulterebbe alquanto complesso per un insegnante per il sostegno “avventurarsi” nell’insegnamento delle singole discipline, se privo di efficaci conoscenze curricolari, metodologiche e docimologiche, per poterlo fare con “cognizione di causa”.
Stanti così le cose, quindi, una conclusione mi sorge spontanea: la “cattedra inclusiva” è un miraggio, anche e soprattutto per gli elevati costi che comporterebbe. Subito, invece, classi di concorso per il sostegno!
Dirigente scolastico del Convitto Nazionale G. Piazzi di Sondrio (dirigente.gpiazzi@cnpiazzisondrio.edu.it).
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