Interveniamo in merito all’articolo di Maria Grazia Moncada Un futuro dignitoso o un salto indietro nel tempo?, pubblicato il 20 marzo scorso su queste pagine, allo scopo di sgomberare alcune preoccupazioni dei genitori.
La premessa è che le Associazioni di cui fanno parte i sottoscritti, aderenti al CSA (Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base) operano dal 1970, e la Fondazione Promozione Sociale ONLUS/ETS dal 2003, nella promozione e nella difesa dei diritti delle persone con disabilità intellettiva e/o autismo (per approfondimenti consultare il sito dedicato). Questa precisazione è necessaria per evidenziare che siamo a conoscenza della normativa passata e siamo intervenuti in questi cinquant’anni per ottenere nuove norme a tutela dei diritti delle persone con disabilità non in grado di difendersi autonomamente.
Tra le iniziative più recenti, segnaliamo la Sentenza della Corte Costituzionale 152/20, promossa dall’UTIM (Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva), che ha alzato l’importo delle pensioni di invalidità dichiarando illegittimo il requisito anagrafico che limitava il riconoscimento dell’aumento fino al “milione” di vecchie lire solo al raggiungimento dei 60 anni di età, consentendo ora di ottenere l’incremento a partire dal 18° anno di età per i titolari delle pensioni di invalidità civile totale. Inoltre dal 2013 sempre l’UTIM si era adoperata per ottenere miglioramenti significativi rispetto alla normativa ISEE (DPCM 159/13).
Per chi ha terminato l’obbligo scolastico, sin dall’inizio delle nostre attività svolte nell’ambito del volontariato dei diritti, gli obiettivi sono:
° garantire la permanenza al domicilio, quando è praticabile, con frequenza di attività diurna e sostegni domiciliari, oppure:
° inserimenti in comunità di tipo familiare da 8 posti letto più due per il sollievo e urgenze, con l’attenzione ad evitare che siano accorpate e quindi diventino “istituti”.
Non abbiamo interessi in gioco perché non gestiamo servizi né direttamente né in convenzione e non riceviamo finanziamenti pubblici per essere indipendenti. Tuttavia, attraverso l’attività di promozione nei confronti delle Istituzioni (Regione, ASL e Comuni) abbiamo ottenuto (e continuiamo a chiedere e ottenere) servizi residenziali e diurni adeguati ai bisogni delle persone con disabilità intellettiva e/o autismo.
Al riguardo va tenuto presente che la Legge 328/00 può essere considerata sul piano dei princìpi, ma per ottenere l’esigibilità del diritto alle prestazioni che sono necessarie, il riferimento dal 2002 sono i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che hanno normato le prestazioni socio-sanitarie con i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 febbraio 2001, reso Legge dell’articolo 54 della Legge 289/02, e il DPCM del 12 gennaio 2017 che ha aggiornato il precedente, entrambi derivanti dal Decreto Legislativo 502/92 e dalla Legge 833/78 (e successive modifiche e integrazioni).
Sulla base della normativa sui LEA sopra citata, dunque, il diritto è soggettivo ed esigibile. In tal senso, sono molteplici, ad esempio, le Sentenze positive ottenute dall’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), per ottenere la frequenza del Centro Diurno, il Progetto Individualizzato e il ricovero in Comunità familiari socio-sanitarie, con l’applicazione delle quote a carico della Sanità e dei Comuni, come previsto dalle norme prima citate, oltre al diritto alla prestazione. L’utente (e non la famiglia) interviene con la propria situazione economica.
L’applicazione delle norme sui LEA vale tanto per le comunità socio sanitarie ad alta intensità quanto per le comunità alloggio socio sanitarie a bassa intensità. In base alle esigenze della persona con disabilità, sanitarie e socio sanitarie, educative, abilitative e assistenziali, sarà organizzato il personale e l’attività, avendo la certezza del diritto esigibile alla prestazione LEA, che prevede la rivalutazione del progetto individualizzato con l’avanzare dell’età o con l’insorgere di problemi sanitari.
Entrando nello specifico della situazione affrontata nell’articolo inizialmente citato (previa lettura della Deliberazione della Giunta Regionale del Lazio in esso menzionata, e comprendendo bene i timori delle famiglie), in base all’esperienza maturata ci permettiamo di suggerire quanto segue:
° le persone con disabilità interessate dal provvedimento hanno diritto ad essere valutate dalla Commissione di Valutazione dell’ASL di residenza, ai sensi dell’articolo 21 del DPCM del 12 gennaio 2017, in base ai loro bisogni di salute e quindi di autosufficienza (limitata o nulla);
° il Servizio Sanitario è obbligato a garantire risorse in misura che varia dal 40 al 70% del costo della prestazione socio sanitaria residenziale (articolo 34 del DPCM del 12 gennaio 2017), anche per la comunità socio-sanitaria a carattere familiare: un aspetto importante, questo, per garantire interventi professionali di qualità. I tutori o gli amministratori di sostegno possono essere presenti e chiedere la presenza di un loro esperto;
° il progetto individualizzato definirà i bisogni e quindi le figure professionali necessarie e conseguentemente la tipologia della comunità di tipo familiare.
Nello specifico, con riferimento alle doglianze lamentate nell’articolo in oggetto, è importante sottolineare subito che anche le comunità residenziali di tipo socio-sanitario da 10 posti, accreditate dal Servizio Sanitario Regionale, in base alle norme sopracitate possono garantire attività qualificate ai propri utenti. Tali attività sono strettamente correlate al Piano individuale di ciascun utente, stabilito dalle Commissioni di Valutazione Multidisciplinari al quale, ripetiamo, possono essere presenti i familiari e loro esperti.
La collocazione delle comunità socio-sanitarie in àmbito LEA e quindi con la titolarità delle ASL, non implica che le stesse si limitino a contenere gli utenti mediante prescrizioni farmacologiche, bensì possono e devono includere programmi di attività abilitative, educative, riabilitative e di risocializzazione, a seconda delle esigenze individuate nel Piano di ciascun utente.
Ad ogni modo, la collocazione in àmbito sanitario offre significativi vantaggi, permettendo non solo di beneficiare della presenza di personale sanitario ed educativo competente e specializzato, ma anche di garantire una migliore qualità degli standard del personale. Le comunità socio-sanitarie, proprio perché rientrano a pieno titolo nei LEA, assicurano infatti maggiori risorse e la garanzia per gli utenti della continuità del servizio stesso. Il gestore privato non può dimettere la persona autonomamente, ma se ci sono problemi, è l’ASL che si assume la titolarità di trovare le soluzioni necessarie.
Merita osservare altresì che il “socio assistenziale”, competenza dei Comuni singoli e associati, non potrà mai garantire le prestazioni sanitarie e socio sanitarie del livello necessario a chi è in situazioni di gravità e con esigenze sanitarie, perché la competenza (e la titolarità) è dell’ASL di residenza. Difatti a rendere possibile il diritto esigibile alla prestazione residenziale (ma anche semiresidenziale) sono i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sanitarie e Socio-Sanitarie per le persone con disabilità. Inadeguati sono invece i servizi e le prestazioni attivati attingendo alle risorse della tanto sbandierata legge di politica sociale sul “Dopo di Noi” (Legge 112/16), una Legge che reclama ogni anno fondi dedicati e quindi discrezionali e sempre limitati.
Analogamente il Fondo per le Non Autosufficienze, seppur nato da una norma (articolo 1, commi 1264 e 1265 della Legge 296/06) che prevedeva in sostanza di integrare le maggiori spese dei Comuni per far fronte alla componente alberghiera delle rette delle prestazioni di livello essenziale, nel tempo si è trasformato in un fondo per prestazioni a favore di interventi, soprattutto domiciliari, per le persone non autosufficienti, ma sempre legato alla disponibilità delle risorse annualmente stanziate, nonché alle condizioni socio-economiche del richiedente (valutazione ISEE). Nulla a che vedere col diritto esigibile alle prestazioni previsto dai LEA e dalla Legge 833/78 (e successive modifiche e integrazioni).
In conclusione, ci permettiamo di consigliare alle famiglie quanto segue:
a) chiedere di partecipare anche con propri esperti al momento della valutazione;
b) chiedere i verbali della valutazione della Commissione con la definizione dei progetti socio-sanitari e assistenziali individualizzati.
Dal canto suo, la Fondazione Promozione Sociale è disponibile a fornire eventuale consulenza gratuita per i casi singoli o a sostegno di iniziative delle associazioni, purché impostate sulla base dei bisogni di singoli e delle norme vigenti.
Maria Grazia Breda per Fondazione Promozione Sociale ONLUS/ETS; Giuseppe D’Angelo per UTIM (Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettive).
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