Psicologa, psicoterapeuta, specializzata in psicologia del ciclo di vita: abbiamo chiesto a Emma Caruso di raccontare dal punto di vista tecnico cosa significa utilizzare un visore per la realtà aumentata come strumento terapeutico in àmbito neuromuscolare. Una delle attività-base del progetto Vivo il presente e affronto il futuro, promosso dalla UILDM di Sassari (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con la collaborazione della UILDM di Monza e della Direzione Nazionale UILDM [se ne legga già anche la nostra ampia presentazione, N.d.R.], sono infatti i quattro laboratori destinati a chi ha una distrofia muscolare di Duchenne o una SMA (atrofia muscolare spinale), che Emma ha proposto in prima battuta nella UILDM di Monza.
«Nel mondo neuromuscolare – spiega – la realtà virtuale è stata usata soprattutto a scopo riabilitativo, mentre quello più di “sfondo” psicologico è arrivato dopo. Le esperienze che vengono vissute nei laboratori della UILDM, come quello svolto a Monza durante il periodo del Covid, possono essere definite trasformative: le persone vengono immerse in un ambiente virtuale, dove sebbene non possano attivamente interagire, sono accompagnate da una voce narrante che racconta una storia che elicita (tira fuori) vissuti e metafore personali».
Ca cosa si intende per “psicologia aumentata” e “benessere aumentato”?
«Quando si citano queste parole si intende, di fatto, la possibilità di utilizzare in campo psicologico le esperienze immersive offerte dai visori per potenziare tecniche che già esistono. Per gli psicologi è uno strumento in più. Chi utilizza il visore, ad esempio per rilassarsi, può contare non solo sulla voce che accompagna il video ma su un contesto creato ad hoc che potenzia gli stimoli che vengono forniti».
Quali benefìci concreti ha osservato?
«Nei contesti di gruppo il primo beneficio nasce dal favorire la comunicazione su determinate tematiche. La persona inizia a parlare di quello che l’ha colpita, andando verso il proprio vissuto: da qui può scattare una riflessione che porta al confronto con gli altri, su come hanno trovato soluzioni a problemi del quotidiano che magari da soli non sarebbero state raggiunte. Il proprio modo non è l’unico né per forza il più adatto con cui approcciare qualcosa. Condividere con gli altri aiuta a prendere più consapevolezza di sé stessi. In questo senso il gruppo è un ulteriore strumento di potenziamento perché, oltre alla realtà virtuale, aiuta a comprendere e comprendersi meglio».
Quali sono le sue aspettative verso chi convive con una malattia neuromuscolare, quando utilizza uno strumento di realtà virtuale?
«Utilizzando un visore si può entrare in punta di piedi nella vita delle persone, in modo rispettoso. Ognuno si può aprire nel modo che ritiene più opportuno, sentendosi a proprio agio, attingendo alle proprie risorse; ma la persona si può confrontare anche con i propri limiti, con quelli degli altri, con la sofferenza che può provare. La mia aspettativa è che la persona possa scoprire parti di sé che ancora non conosce, in modo da generare consapevolezza, positività e soddisfazione per obiettivi che non si pensavano realizzabili. Queste conoscenze sono molto importanti perché possono essere richiamate a sé nella quotidianità, superando l’esperienza del presente ed essere sempre con noi, anche in futuro». (Chiara Santato)
Il presente contributo, così come l’immagine utilizzata, è già apparso nel sito della UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.