Ludovica ed Eugenio: storie di atleti Special Olympics

Tra coloro che nei giorni scorsi hanno partecipato a Roma alla conferenza stampa di presentazione dei “Play the Games 2024”, ovvero di quelli che saranno di fatto i Giochi Nazionali Estivi di Special Olympics Italia, la componente nazionale del movimento di sport praticato da persone con disabilità intellettive, vi erano anche gli atleti Special Olympics Ludovica Boccaccini ed Eugenio Natali. Queste sono le loro storie

Ludovica Boccaccini ed Eugenio Natali

Ludovica Boccaccini ed Eugenio Natali, atleti Special Olympics

Tra coloro che nei giorni scorsi hanno partecipato a Roma alla conferenza stampa di presentazione dei Play the Games 2024 (se ne legga a questo link un ampio resoconto), ovvero di quelli che saranno di fatto i Giochi Nazionali Estivi di Special Olympics Italia, la componente nazionale del movimento di sport praticato da persone con disabilità intellettive, vi erano anche gli atleti Special Olympics Ludovica Boccaccini ed Eugenio Natali. Queste sono le loro storie, raccontate dall’Ufficio Comunicazione di Special Olympics Italia.

Ludovica e lo sport ritrovato
Ludovica Boccaccini, 37 anni, è nata a Monza. Appassionata di sport da sempre, conosce tutti i nomi dei calciatori, dei tennisti, dei giocatori di basket. Snocciola risultati, classifiche, calendari.
«Quando è nata Ludovica, mi ero trasferita da poco da Roma a Monza. Lontana da tutti, non nascondo che per me il suo arrivo è stato un trauma. Prima figlia, la sfida di fare il genitore. E insieme la disabilità. Ho avuto un crollo», inizia così il racconto di mamma Iva. «Ma passato il primo mese, mi sono subito rimboccata le maniche e ho iniziato a fare di tutto. Sono andata dritta, senza pensare. Posso dire di non aver avuto il tempo di deprimermi».
Sono parole che a Special Olympics abbiamo sentito tante volte: la ricerca di una diagnosi, lo smarrimento nell’imprevisto, la solitudine. Ma poi la forza di volontà per prendere in mano la propria vita e quella dei propri figli.
«All’epoca la parola inclusione forse nemmeno esisteva. Eppure, in tutta sincerità, Ludovica ha avuto un percorso eccellente, almeno a scuola e nell’assistenza. Certo, sentendo altri genitori nella mia situazione direi che è quasi tutta una questione di fortuna».
Ludovica è bene inserita. A scuola trova insegnanti capaci e disponibili. Inizia a fare sport, nuoto e mini basket. A 9 anni si trasferisce insieme alla mamma vicino a Roma e continuerà lì il suo percorso di studi e la sua vita sportiva. «Di nuovo la fortuna ci ha assistito e siamo riuscite a trovare un contesto scolastico inclusivo, con personale formato e accogliente», continua Iva. E al liceo Ludovica riesce a costruirsi anche una certa autonomia, va a scuola da sola con le compagne: «Non sempre è stato facile, ma mi sono imposta di darle il suo spazio. È questo il mio ruolo».
Nel frattempo, anche in zona romana, Ludovica continua il suo percorso nel basket, migliorando a vista d’occhio. Pur essendo tra le più piccole, viene convocata per un torneo nazionale a San Paolo Ostiense, dove viene premiata dal Comitato Organizzatore.
Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto arriva quella che Iva chiama «una bella mazzata». Finita la pre-agonistica, infatti, viene contattata dal direttore dell’associazione sportiva in cui si allenava Ludovica: «Signora, purtroppo devo comunicarle che dovendo passare all’attività agonistica, non possiamo più tesserare sua figlia. Ora dovrà aggregarsi alle squadre speciali».
Ludovica cresce, si allena, gioca e vive da sempre totalmente integrata tra i coetanei senza disabilità intellettive. Come accettare un cambiamento del genere? Impossibile. «Una sera l’accompagnai col suo fidanzato a una festa organizzata da un’associazione. Quando aprimmo la porta ci accorgemmo che si trattava di un ballo per soli ragazzi e ragazze con sindrome di Down. Io andai via con un groppo in gola, faticando a darmi una spiegazione. Ludovica fu molto più reattiva di me: mi chiamò 10 minuti dopo per andarsene a casa del fidanzato a guardare un film».
«Ludovica ha bisogno di stare in mezzo gli altri, non rinchiusa in un ghetto». Non trovando altre opportunità, lascia lo sport e si iscrive a un’accademia d’arte. Rimane lontana dai campi per 15 anni, nonostante una passione irrefrenabile. «Soltanto l’incontro con Special Olympics ha ridato a mia figlia la gioia dello sport unificato: potersi allenare con altri atleti, con e senza disabilità, le ha ridonato la voglia di mettersi in gioco, di pensarsi nel mondo, di costruirsi una sua autonomia».
Comincia col canottaggio e ben presto ritorna alla sua vera passione: il basket. «Ora viaggia in trasferta con la squadra, esce con le amiche e gli amici di squadra, si allena, gioca, si diverte».
Special Olympics è riuscita a coinvolgerla anche in altri programmi, come quello degli “Atleti Leader”. Ludovica ha presentato dal palco i Play The Games di Colleferro, prende i tempi alle gare, supporta gli altri atleti.
«Ama conoscere posti in cui non è mai stata, cibi nuovi, persone che arricchiscano la sua vita. Special Olympics è tutto questo: posso dire che ora si sente realizzata», conclude mamma Iva.

Eugenio e le amicizie che durano
Eugenio Natali, classe 1997, ha compiuto da poco 27 anni. «Espansivo e socievole, fa amicizia in fretta, ha una gran parlantina, attacca bottone con tutti. Gli piace uscire a cena fuori, la pizza, il pub… è difficile tenerlo dentro casa»: con queste parole papà Alberto inizia a raccontarci la storia del figlio.
Quando aveva 5 anni arriva la diagnosi di sindrome di Williams. «A quel tempo ancora non lo sapevamo. Eugenio aveva un ritardo nell’apprendimento e per questo ha frequentato un anno in più di scuola dell’infanzia. Ci sembrava più corretto lasciarlo in un ambiente protetto».
La sua carriera sportiva inizia in un Team Special Olympics di canottaggio, IRIS a Firenze, a 40 chilometri da casa. Iniziano le gare, le trasferte e le amicizie. «Di quel periodo abbiamo ricordi bellissimi. Ancora oggi si vanta di una bellissima medaglia d’oro conquistata nel 2012 a Venezia, dopo la parata in piazza San Marco». Oro che lo riempie di orgoglio: «Eugenio è molto competitivo. Si finge sportivo, ma adora vincere», racconta Alberto col sorriso.
Nel frattempo Special Olympics cresce e durante le scuole superiori Eugenio riesce a trovare un Team sul territorio per allargare le sue attività sportive. Inizia così a praticare calcio, basket, pallavolo e beach volley.
Ma a 17 anni, purtroppo, un intervento al cuore lo costringerà ad abbandonare gli sport più faticosi per non correre rischi eccessivi. «Nonostante fosse in cura costante per monitorare le sue condizioni cliniche, è proprio grazie a una visita medico sportiva per gareggiare con Special Olympics che si sono accorti delle problematiche cardiache. Oltre a sostenerlo da un punto di vista sociale e personale, Special Olympics lo ha aiutato anche da un punto di vista sanitario».
D’accordo con i medici, lascia quindi il canottaggio e il calcetto e si dedica esclusivamente alla pallavolo e al beach volley. «Meglio comunque un po’ di sport che non farlo del tutto, ci disse il cardiologo. Ora andrà in Germania a fare un torneo internazionale di beach volley!».
«Abbiamo lavorato molto sull’autonomia – prosegue Alberto -, oggi Eugenio prende l’autobus da solo e riesce a muoversi bene sul territorio. A volte incontra compagnie poco raccomandabili, ma questo è il mondo. Per fortuna ha le amicizie che ha costruito grazie a Special Olympics, che è un bacino di rapporti sani e di persone che gli vogliono bene e che con lui ci stanno volentieri. È l’ambiente più bello che sta frequentando. Si sentono, a volte escono. Ha delle amicizie che coltiva fin dalle scuole medie». Lo sport diventa quindi motivo di aggregazione, interesse comune, che li porta a sviluppare e mantenere amicizie sane e profonde.
Oggi Eugenio lavora in una startup di Pistoia (Fody Fabrics) che ricicla prodotti di scarto delle aziende tessili di Prato e produce coperte per senzatetto, tessuti per canili, gadget per banche e imprese. Inoltre è impegnato con lo staff di ComìComè su un trailer per lo street food alle fiere, alle cerimonie, alle sagre di paese, un’attività gestita dalla Fondazione Mai Soli ONLUS, di cui anche Alberto fa parte. «Come finiscono le superiori questi ragazzi rimangono soli. Sono sempre i genitori che devono mettersi in gioco: dobbiamo essere noi imprenditori dei nostri figli. Magari con progetti sperimentali che poi gli enti pubblici dopo qualche anno prendono in gestione. Ma deve partire sempre da noi. È bello avere al nostro fianco un’organizzazione come Special Olympics che offre alternative concrete senza bisogno di troppe spiegazioni».

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: stampa@specialolympics.it (Giampiero Casale).

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