Assistenti all’autonomia e alla comunicazione: “fioriscono” Disegni di Legge

«Va registrato – scrive Paola Di Michele – l’incredibile interesse giuridico fatto di varie Proposte e Disegni di Legge, che la categoria degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione sembrerebbe avere assunto dopo trent’anni di oblio assoluto e, aggiungo, doloroso, trent’anni in cui si è passati da poche migliaia di operatori all’incredibile cifra di 68.000 operatori, privi dei più elementari diritti sul lavoro e con contratti collettivi al di sotto della soglia di povertà, esclusi dall’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità, ciò che dovrebbe essere il loro mandato»

Assistente all'autonomia e alla comunicazione

Un’assistente all’autonomia e alla comunicazione segue un alunno con disabilità

Ormai da anni mi occupo delle questioni riguardanti l’assistenza specialistica agli studenti con disabilità. Il mio interesse si dipana su due piani differenti e interconnessi: il riconoscimento che questi professionisti debbano essere ricondotti nell’alveo dei dipendenti pubblici afferenti al Ministero dell’Istruzione (oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito) e la necessaria definizione dei profili professionali, ad oggi declinati secondo la mutevole e frastagliata volontà degli Enti territoriali che attualmente gestiscono il servizio.

Per quanto attiene il primo piano, la considerazione principale è che nella scuola pubblica, per garantire il diritto all’istruzione di tutti e tutte, non può esserci altra soluzione che personale pubblico e statale. E dunque non mi soffermerò sul fatto che le esternalizzazioni, piaga che dal sociale si è estesa al sistema sanitario, con i disastri che sono sotto gli occhi di tutti, sono giunte all’assurdo degli accreditamenti dei servizi educativi, logica commerciale on demand che chiunque abbia a cuore la pubblica istruzione, uguale ed equa per tutti, dovrebbe respingere.

Negli anni scorsi, quando mi occupavo di formazione nei corsi regionali per assistenti educativi, il tema della legislazione inerente era uno dei più semplici da trattare: Legge 104/92, Nota Ministeriale 3390/01 (quella che suddivideva l’assistenza in “base”, compito degli ATA-Personale Amministrativo Tecnico e Ausiliario, e “specialistica”, educativa, compito degli operatori degli Enti territoriali) e Decreto Legislativo 66/17, che notoriamente dichiarava doversi scrivere dei profili nazionali per inquadrare conoscenze, competenze e abilità del profilo professionale specifico, ad opera della Conferenza Unificata Stato-Regioni.
Null’altro è accaduto, sul piano normativo, da allora. Fino alla presentazione del Disegno di Legge 236/22 presentato al Senato, che finalmente parla apertamente e compiutamente di statalizzazione degli assistenti specialistici. Al momento non si hanno notizie del proseguimento dei lavori per approdare ad una discussione in Parlamento. E tuttavia, quasi in sordina, sono nel frattempo fiorite altre iniziative legislative bi e tri partisan.
La prima, del luglio 2023, è la Proposta di Legge 1271, presentata alla Camera, seguita dal Disegno di Legge 793, presentato al Senato nel novembre dello scorso anno; sempre nello stesso mese viene presentato alla Camera il Progetto di Legge 1349; infine, recentissimo perché assegnato in discussione presso le Commissioni Competenti nell’aprile scorso, il Progetto di Legge 1549, presentato anch’esso alla Camera.
Verrebbe da giocarsi tutti questi numeri, non sia mai che si vinca qualcosa, mi verrebbe da dire. Ma la prima constatazione che viene spontanea riguarda l’incredibile interesse giuridico che la categoria sembrerebbe aver assunto dopo trent’anni di oblio assoluto e, aggiungo, doloroso. Trent’anni – non smetterò mai di ripeterlo – in cui si è passati da poche migliaia di operatori all’incredibile cifra che ci restituisce il Report annuale ISTAT sull’inclusione scolastica uscito ad inizio anno: 68.000 operatori. Cifra assolutamente abnorme, se si pensa che si tratta di professionisti esterni alla scuola nel diritto, e interni nei fatti e nella necessità. Cifra assolutamente abnorme se si pensa che si tratta – e questo, almeno, è unanimemente riconosciuto – di 68.000 professionisti privi dei più elementari diritti sul lavoro e con contratti collettivi al di sotto della soglia di povertà, esclusi dall’inclusione che dovrebbe essere il loro mandato.

Torno al florilegio rinascimentale di Disegni e Progetti di Legge che ho avuto il piacere di esaminare e faccio alcune considerazioni sparse su ciò che ho letto:
° Tre dei testi non parlano affatto di statalizzazione, ma solo del profilo, come se le due questioni fossero del tutto scindibili, cosa che è assolutamente fuori da ogni logica, organizzativa, pragmatica, pedagogica.
° Alcuni di questi testi si prefiggono il compito, che il Decreto Legislativo 66/17 assegna alla Conferenza Unificata Stato-Regioni, di definire un profilo, attuando una specie di copia-incolla di alcuni regolamenti locali.
° In alcuni di questi testi sono presenti terminologie desuete o errate.
° In quasi tutti
si propone, come soluzione da tutti i mali, un futuro in cui l’unico titolo accettabile sia la Laurea Triennale in Scienza dell’Educazione.

Le mie riflessioni sono sempre state improntate a principi di realtà, legate ad anni di lavoro svolto sul campo, affiancato ad un’intensa attività di formazione dei colleghi. Contemporaneamente, e da anni, ne raccolgo il grido di dolore e di indignazione sul trattamento loro riservato, in quanto “ospiti della scuola”, sovraccaricati di mansioni, sottostimati nella dignità professionale ed economica.
E dunque, vado alla questione del profilo e della formazione. Ho largamente affermato che la prima muraglia da abbattere è quella della sclerotizzazione e della frammentazione di sigle, percorsi, funzioni. È necessario impostare un’unica figura, per cui non basta dire “che ci vuole la Laurea in Scienza dell’Educazione”. Non basta perché non è un percorso specifico. Mancano del tutto i riferimenti alla disabilità in età evolutiva, all’apprendimento, a tutti quegli strumenti che riguardano la pratica operativa, come la CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa), la psicologia cognitivo-comportamentale, la LIS (Lingua dei Segni Italiana), il Braille. E si tratta di un elenco non esaustivo.
Non basta, ed è ridicolo anche solo pensarlo, stilare un elenco di “compiti”, presi a piè pari da un regolamento locale, per pensare di istituire un profilo professionale. Bisogna stilare un corpus di conoscenze, competenze, abilità, discusse con chi – come accade, per esempio, nell’indagine ISTAT Professioni – quel lavoro, lo svolge sul campo.
Se si arrivasse, come auspico, a delineare finalmente un profilo professionale unico, con percorsi una volta per tutte chiari e unici, non si potrebbe che partire da basi come queste, altrimenti si rischia di sposare una visione ideologica e preconcetta che finirebbe esclusivamente per ledere il diritto degli studenti con disabilità di avere i professionisti che meritano.

Chiudo con la seconda questione. Dicendo semplicemente che non c’è alternativa alla statalizzazione degli assistenti all’autonomia e comunicazione. È arrivato il tempo: studenti e professionisti hanno aspettato anche troppo. Parliamo di scuola pubblica, costituzionalmente garantita per tutte e tutti.

Insegnante di sostegno, già assistente all’autonomia e alla comunicazione.

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