Ogni tanto qualcuno prova a sostenere la necessità che gli/le studenti con disabilità tornino a frequentare le scuole speciali, distinte da quelle frequentate dal resto della popolazione studentesca. «Per il loro stesso bene», è l’ipocrita giustificazione; «per non rallentare/intralciare il cammino dei più capaci», è quella sfacciatamente cinica. Accade ciclicamente. L’ultima volta poche settimane fa. E quando accade, giustamente le reazioni energiche non tardano ad arrivare. Ed a reagire non sono solo i soggetti impegnati nel settore della disabilità, ma anche le persone comuni o quelle che operano in altri contesti. Nel sentire condiviso, quelle proposte sono avvertite come una minaccia e la comunità reagisce. E finché continuerà a farlo, possiamo sperare che l’idea malsana rimanga circoscritta.
Intendiamoci: ben vengano le reazioni collettive a questi deliri, ma forse anche per questo è difficile non notare quanto sia invece significativamente diverso l’atteggiamento riguardo ai tanti abusi commessi nell’applicazione degli istituti di tutela giuridica, e in particolare dell’amministrazione di sostegno. La cronaca, infatti, racconta sempre più spesso di persone con disabilità (anziane e non) sradicate dai propri ambienti e trasferite contro la loro volontà in residenze sanitarie assistite, sottoposte a trattamenti sanitari senza il loro consenso, forzatamente isolate dagli affetti, derubate, affiancate da persone che non conoscono, che non hanno scelto o che detestano; oppure racconta di Servizi Sociali e Sanitari che usano l’amministrazione di sostegno per estromettere i familiari che lamentano disservizi nelle cure rivolte ai loro congiunti con disabilità, ecc.
Le reazioni? Poche, deboli, circoscritte a questa o quell’altra vicenda, con poche eccezioni. Tra le eccezioni, ad esempio, l’Associazione Diritti alla Follia che, infatti, è divenuta un punto di riferimento su tali questioni; oppure la trasmissione televisiva Le iene, la prima ad occuparsi, tra gli altri, del “caso Carlo Gilardi”, il professore di Airuno (Lecco) rinchiuso in una struttura per anziani contro la sua volontà dietro disposizione della sua amministratrice di sostegno, sul quale si è espressa anche la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU), condannando l’Italia per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (se ne legga anche su queste pagine). Eppure questi sono fatti, violazioni concrete dei diritti umani ai danni di persone reali, non farneticazioni (come il ritorno alle scuole speciali). Sarebbe interessante comprenderne i motivi.
Una prima ragione è verosimilmente rintracciabile in un’idea preconcetta dell’amministrazione di sostegno. Approvata con l’apprezzabile intento di superare la brutalità dell’interdizione e dell’inabilitazione (la rigida riduzione o soppressione della capacità di agire), nel sentire comune la Legge 6/04, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, ha mantenuto una “fama” di “istituto benevolo” capace di resistere a qualsiasi dato di realtà che mostri come nei fatti spesso le cose vadano diversamente. Davanti all’evidenza, molti e molte cavillano che “spesso” non è “sempre”, che in molti casi (forse la maggioranza) l’istituto funziona, che in questo o quel territorio non accade, che gli istituti di tutela servono (e chi dice il contrario? Quelle da rivedere sarebbero le modalità applicative), che si tratta di “effetti collaterali” inevitabili…
Intervenuta a Il Diritto Fragile, la rubrica curata da Diritti alla Follia, in una puntata incentrata proprio su un terribile caso di abuso nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno (puntata n.185 del 22 maggio scorso), Simona Maria Frigerio, giornalista co-fondatrice e co-direttrice del settimanale di controinformazione online «In the Net», osservava come, nel trattare questi temi, nei media vi sia la tendenza ad assumere il punto di vista dell’amministratore di sostegno, e non quello della persona che vi è sottoposta. Ma se le cose stanno come dice Frigerio (e non abbiamo motivo di dubitarne), bisognerebbe spiegare a chi lavora nei media che in realtà proprio il “beneficiario” della misura dovrebbe essere considerato la fonte informativa più attendibile, visto che la misura in questione dovrebbe essere disposta per rispondere ai suoi bisogni e ai suoi desideri, nonché per garantire l’espressione dei suoi diritti di libertà e autodeterminazione. Viene da sé che, finché la prospettiva rimarrà quella descritta da Frigerio, scalfire l’immagine idealizzata dell’amministrazione di sostegno è praticamente impossibile. Sarebbe come pretendere di sapere come si mangia in un ristorante, continuando ad interrogare il cuoco, invece che i clienti…
Ma i dati di realtà non sono solo gli episodi di cronaca: l’interdizione e l’inabilitazione – gli istituti giuridici di tutela più vecchi – sono in contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, un trattato internazionale che abbiamo ratificato con la Legge 18/09, e il Comitato preposto a monitorarne l’attuazione già dal 2016 ha richiesto all’Italia di eliminarle. Eppure esse continuano a far parte del Codice Civile, e ad essere disposte dai Giudici Tutelari.
Stando a Paolo Cendon, professore ordinario dell’Università di Trieste, “padre” della Legge 6/04 e strenuo difensore della “sua creatura”, oggi nel nostro Paese le persone sottoposte a interdizione sono 140.000, e quelle soggette ad inabilitazione 18.000 (se ne legga a questo link), e già questa, ci viene da osservare, è una gravissima violazione dei loro diritti.
Ma il problema non lo abbiamo solo con gli istituti giuridici più vecchi, perché il Comitato ONU ha raccomandato all’Italia «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno» (punto 28 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU, 2016). Ma, stando sempre a Cendon, risulta che oggi in Italia le persone soggette ad amministrazione di sostegno abbiano superato abbondantemente le 400.000, e il numero sia in costante aumento. In un’intervista rilasciata al magazine «Vita» lo scorso 8 gennaio (se ne legga a questo link), Cendon affermava che l’amministrazione di sostegno funziona nell’80-90% dei casi. Il che significa che nel 10-20% dei casi – che corrispondono dunque a 40.000-80.000 persone – le cose non funzionano. Ma di modificare la Legge in termini restrittivi non se ne parla. In che considerazione sono tenuti i richiami del Comitato ONU? Nessuna!
La modalità sostitutiva delle persone con disabilità – sebbene in contrasto con l’articolo 12 della Convenzione ONU – è talmente pervasiva che anche nei numerosissimi eventi (convegni, seminari, corsi) organizzati per celebrare i vent’anni della Legge 6/04 “i beneficiari” non figurano praticamente mai tra i relatori e le relatrici (il convegno Amministratore di Sostegno a 20 anni dalla Legge: quali prospettive?, organizzato a Pisa il 31 maggio scorso dalla Fondazione Casa Cardinale Maffi in collaborazione con l’Azienda USL Toscana Nord Ovest, è solo l’ultimo, in ordine di tempo, di cui abbiamo notizia).
Ovviamente, poiché l’amministratore di sostegno viene nominato e deve rispondere al Giudice Tutelare, se la modalità sostitutiva continua ad essere applicata, anche questa figura ha rilevanti responsabilità. Mauro Palma, già Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, raccontando delle segnalazioni contro gli amministratori di sostegno pervenute al collegio da lui presieduto, scriveva: «Generalmente denunciano un forte disallineamento tra l’agire delle figure tutelari e la volontà della persona, e una incapacità di ascoltare il tutelato. Nella prassi, il Giudice Tutelare raramente convoca presso di sé il tutelato, e ancor meno spesso si reca presso la struttura dove è assistito per ascoltare le sue volontà. In questi casi le scelte dell’anziano o del disabile vengono filtrate dalla parola dell’amministratore di sostegno, dei familiari, spesso in disaccordo tra loro, o dei servizi territoriali. A un’attenta analisi non sfugge che anche negli anni precedenti le segnalazioni ricevute nell’àmbito della tutela della persona sono state relative all’impossibilità dell’amministrato di avere contatto con i parenti per volontà dell’amministratore di sostegno, al mancato rispetto della volontà dell’assistito di tornare nella propria abitazione, al trasferimento in un’altra struttura contro la propria volontà. Non ultimo, il rifiuto da parte del Giudice Tutelare di revocare l’amministratore di sostegno perché non rappresentava davanti alla volontaria giurisdizione le volontà dell’assistito» (fonte: Relazione al Parlamento 2023, grassetti nostri nella citazione testuale).
Dunque la domanda ritorna: perché la comunità è così sollecita a reagire a idee farneticanti come il ritorno alle scuole speciali, ma non lo è in ugual misura in presenza di violazioni concrete dei diritti umani ai danni di persone reali? Forse qualcosa potrebbe iniziare a cambiare se invece di discutere in astratto di numeri e percentuali, o di dare per acquisita “la bontà” dell’amministrazione di sostegno, iniziassimo a prestare ascolto alle voci e alle storie delle persone che questi abusi li hanno subiti, o li stanno ancora subendo; o a quelle dei loro amici e familiari, talvolta anch’essi drammaticamente trascinati dentro a situazioni distopiche. Alcune di queste storie sono pubblicate nella sezione tematica del Centro Informare un’h dedicata alla Tutela giuridica (liberamente fruibile a questo link). Provate a leggerle. E dopo, ma solo dopo averle lette, provate a chiedervi: siamo davvero sicuri che la Legge 6/04 vada bene così com’è?
Nota: il 18 aprile scorso l’Associazione Diritti alla Follia ha depositato presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione una Proposta di Legge di iniziativa popolare per l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione e per la riforma dell’amministrazione di sostegno (il cui testo è disponibile a questo link). Al fine di raccogliere le 50.000 firme necessarie affinché la Proposta in questione venga discussa in Parlamento, la medesima Associazione ha lanciato anche la campagna Fragile a Chi?!, e ha predisposto un’apposita sezione con tutte le informazioni sull’iniziativa (raggiungibile a questo link).