La visita museale strutturata come attività psicosociale

Il rapporto tra arte, musei e demenze è al centro di ricerche e progetti a livello nazionale e internazionale e per garantire una buona esperienza in tale àmbito, accogliendo in un museo persone spesso definite come “fragili” o come un “non pubblico”, la collaborazione con professionisti diversi è fondamentale: si basa su questo il progetto pilota “Ritrovarsi al museo”, conclusosi a Torino a cura della Fondazione Carlo Molo, con il contributo di ANCoS Roma e Torino e in collaborazione con l’Associazione ASVAD e il GAM di Torino (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)

"Ritrovarsi al museo"

Miriam Mandosi, storica dell’arte, esperta di accessibilità museale e di progetti dedicati a persone con demenze, conduce uno degli incontri di formazione del progetto “Ritrovarsi al museo”

Si è recentemente concluso a Torino lo studio pilota denominato Ritrovarsi al museo, promosso dalla Fondazione Carlo Molo, organizzazione che dà vita ad attività di ricerca neuroscientifica volta al benessere psicofisico della persone, soprattutto in àmbito di afasia, ma non solo, con il contributo di ANCoS Roma e Torino (Associazione Nazionale Comunità Sociali) e in collaborazione con l’ASVAD (Associazione Solidarietà Volontariato a Domicilio) e il Dipartimento Educazione del GAM di Torino (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea).
«Ritrovarsi al museo – spiega Daniela Trunfio della Fondazione Molo, responsabile del progetto – è un’iniziativa curata da Miriam Mandosi, storica dell’arte, esperta di accessibilità museale e di progetti dedicati a persone con demenze. La sperimentazione fa tesoro di precedenti che hanno casa fra l’altro al MOMA (Museum of Modern Art) di New York ed è destinata a persone affette da demenza, con la finalità istituzionale di inserire la “buona pratica della visita museale strutturata come attività psicosociale” nel Piano Nazionale Demenze, sottoscritto anche dalla Regione Piemonte. Un modello, questo, è mutuato dai Musei Toscani per l’Alzheimer».

Posto dunque che il rapporto tra arte, musei e demenze è al centro di numerose ricerche e progetti sia a livello nazionale che internazionale e che nell’accogliere in un museo persone spesso definite come “fragili”, la collaborazione con professionisti diversi è fondamentale per garantire la buona riuscita dell’esperienza ed evitare, per quanto possibile, stress o elementi di disturbo, gli obiettivi principali del progetto sono da una parte costituire e validare un modello di buona pratica da mettere a disposizione di enti/associazioni e cittadinanza, dall’altra fare incontrare operatori sanitari e responsabili dei dipartimenti educativi museali in una serie di appuntamenti formativi; e ancora, svolgere un’attività artistica per sviluppare benessere bio-psico-sociale delle persone con demenza.

Il modello si sviluppa sostanzialmente in due fasi, la prima delle quali riguarda la formazione, articolata, nello specifico, su quattro incontri di due ore ciascuno, condotti da Miriam Mandosi e da Massimo Marianetti, medico chirurgo specialista in Neurologia e Psicoterapia, responsabile del Servizio di Neuropsicologia e del Centro Sperimentale Alzheimer presso l’Ospedale San Pietro e Istituto San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli-Roma). Di seguito alcuni dei temi affrontati durante il percorso formativo:
° perché andare in un museo, come sviluppare benessere bio-psico sociale;
° con chi andare al museo, come preparare la visita;
° quali sono le diverse strategie di valutazione, sia mediche che sociali;
° quale dev’essere il rapporto con i caregiver;
° come collaborare e migliorare l’esperienza di visita.

La seconda fase, invece, consiste in un modello di visita museale, «allo scopo di implementare – sottolinea Trunfio -, in collaborazione con gli operatori socio-sanitari e gli educatori museali, le potenzialità residue dei destinatari, che strutturalmente, per la loro patologia, vengono considerate come un non pubblico. Per ogni visita, dunque, vengono discusse e presentate una-due opere preselezionate da operatori museali e sociosanitari e il gruppo di destinatari è composto da un massimo di otto persone con demenza, dai loro caregiver, da un operatore sanitario e un operatore museale. Lo scopo della “visione” dell’opera è quello di fare emergere le emozioni, i ricordi del vissuto, ma anche sensazioni istantanee. Si potrà così attivare la memoria residua, abbassare lo stato di stress e il livello di rabbia che porta con sé la malattia. Ogni seduta al museo, infine, si conclude con un’attività laboratoriale (facoltativa) che compatta e rafforza lo scambio di parole e di affinità tra i partecipanti. Da parte nostra riteniamo che questo modello sia certamente degno di essere diffuso». (S.B.)

Gli eventuali interessati a conoscere, diffondere ed eventualmente applicare il modello del progetto Ritrovarsi al museo possono scrivere a: Fondazione Carlo Molo (Daniela Trunfio), daniela.trunfio@gmail.com.

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