In Italia si stima che 9,8 milioni di persone convivano con dolore cronico, una condizione debilitante dalle cause più svariate, con importanti ripercussioni sul benessere psicofisico, al punto da costringere chi ne soffre a cambiare comportamenti, stile di vita e abitudini.
Abbiamo nel nostro Paese una Legge molto avanzata, la 38/10 (“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”), che consente di accedere alle cure per il dolore, una norma che purtroppo risente dei tagli alla Sanità e costringe le persone a spostarsi in altre Regioni quando vicino a casa non trovano risposte adeguate. «Nonostante le difficoltà, è fondamentale riconoscere il dolore cronico come un’esperienza biopsicosociale, una condizione invalidante che necessita di attenzione e risorse adeguate. La sensibilizzazione e l’educazione pubblica su questa tematica possono aiutare a migliorare la vita delle persone affette da dolore cronico e a promuovere una maggiore comprensione e supporto da parte della società», spiega Filippo Visentin, giornalista, musicista e scrittore che soffre di dolore cronico, in questa esauriente panoramica su questo problema spesso difficile da diagnosticare, troppe volte sottovalutato, quando addirittura non riconosciuto. (Stefania Delendati)
Il dolore cronico è una condizione debilitante che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Spesso difficile da diagnosticare, troppe volte sottovalutato, quando addirittura non riconosciuto, il dolore cronico influisce profondamente sulla qualità della vita, limitando le capacità fisiche, emotive e sociali delle persone che ne sono affette.
A livello globale, si stima che circa un miliardo e mezzo di persone vivano con dolore cronico. In Europa, questa condizione colpisce circa 100 milioni di individui, mentre in Italia sono circa 9,8 milioni le persone affette da dolore cronico di intensità moderata o severa, pari al 19,7% della popolazione adulta.
Le cause possono essere le più svariate: dal dolore muscolare e/o muscolo scheletrico all’emicrania, dall’artrite reumatoide al dolore pelvico, dalla fibromialgia alle neuropatie, per menzionare le più comuni.
La IASP (International Association for the Study of Pain) definisce il dolore cronico come una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a – o che assomiglia a quella associata a – un danno tissutale attuale o potenziale. Si tratta quindi del prodotto di due componenti, quella percettiva che consente la ricezione e il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo, e quella esperienziale (del tutto privata e soggettiva) che è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione dolorosa. In questa seconda componente entrano in gioco fattori emozionali, cognitivi, socio-culturali e comportamentali che determinano la reazione del tutto peculiare dell’individuo all’esperienza dolorosa stessa.
Secondo i dati del 1° Rapporto Censis-Grünenthal, il dolore cronico in Italia ha un impatto economico significativo, con costi sociali enormi ogni anno, derivanti sia dalle spese sanitarie sia dalla perdita di produttività.
Si parla di dolore cronico quando questo si protrae nel tempo, perdendo la sua funzione di allarme, con possibili conseguenze sulla qualità di vita della persona. Il dolore può comportare infatti importanti ripercussioni sul benessere: un incremento del numero di accessi e richieste di visite, alterazioni del ritmo sonno-veglia, sofferenza psicologica ed emotiva di intensità variabile, fino a situazioni di sintomatologia di tipo ansioso e/o depressivo.
L’esperienza algica rende spesso la persona inabile sia fisicamente sia emotivamente, al punto da cambiarne il comportamento, la vita e le abitudini. Quando il dolore persiste nel tempo, è possibile che si instauri un circolo vizioso di depressione, ansia e altri disturbi emotivi che creano malessere e possono intensificare il dolore provato. Ad esempio evitare alcuni movimenti o situazioni che possano aumentare il dolore può essere almeno inizialmente utile per difendersi da esso, ma a lungo andare l’immobilità può peggiorare la condizione fisica e rendere più lunga e dolorosa la riabilitazione. Anche la tendenza a “catastrofizzare”, ovvero a considerare il proprio dolore un’enorme minaccia, poco gestibile, sulla quale non si percepisce alcun controllo e quindi difficilmente guaribile, può far sì che l’esperienza algica risulti più intensa e spiacevole, aumenti lo sconforto, l’agitazione e la rassegnazione.
Molte persone con dolore cronico riferiscono sentimenti di tristezza, incomprensione da parte dell’ambiente circostante, demoralizzazione, sconforto, percezione d’impotenza e rassegnazione, sino a lamentare veri e propri sintomi depressivi.
La gestione del dolore cronico richiede un approccio multidisciplinare che può includere, oltre al trattamento farmacologico, terapie fisiche e supporto psicologico (individuale o di gruppo); le recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato quanto quest’ultimo aspetto risulti importante nella relazione che un soggetto ha con la sintomatologia dolorosa e quanto un percorso di psicoterapia possa influenzare favorevolmente l’intensità e le limitazioni correlate al dolore stesso.
«Ogni percezione è anche un’emozione, cioè un vissuto», spiega Arianna Elvironi, psicologa e psicoterapeuta. «Questo significa che al variare dell’una, varia anche l’altra. Il vissuto emotivo, che solitamente si connette alla percezione dolorosa, è la sofferenza, che ulteriormente debilita e ingigantisce il dolore percepito».
Nonostante le difficoltà, è fondamentale riconoscere il dolore cronico come un’esperienza biopsicosociale, una condizione invalidante che necessita di attenzione e risorse adeguate. La sensibilizzazione e l’educazione pubblica su questa tematica possono aiutare a migliorare la vita delle persone affette da dolore cronico e a promuovere una maggiore comprensione e supporto da parte della società.
La Legge 38 del 2010 rappresenta una pietra miliare nel sistema sanitario italiano, specificamente nel campo delle terapie palliative e della terapia del dolore. Norma tra le più avanzate a livello europeo, essa riconosce il diritto di ogni cittadino ad accedere a trattamenti che alleviano il dolore e migliorano la qualità della vita, soprattutto per i pazienti affetti da malattie terminali o croniche.
Accanto all’adeguata formazione del personale medico e paramedico, in un’ottica multidisciplinare, la Legge prevede inoltre la creazione di una rete di assistenza che comprende hospice, assistenza domiciliare integrata e reparti ospedalieri dedicati, garantendo così una continuità assistenziale ai pazienti.
Tuttavia, nonostante gli obiettivi nobili e le disposizioni dettagliate della normativa, come fin troppo spesso avviene nel nostro Paese, anche per la Legge 38/10 non sono mancate negli anni carenze e difficoltà a livello di applicazione.
Uno dei principali problemi resta quello della mancanza di adeguati finanziamenti. Le risorse destinate alle cure palliative e alla terapia del dolore risultano infatti spesso insufficienti, limitando la capacità di fornire servizi adeguati e omogenei su tutto il territorio nazionale e il cui risultato si traduce in una carenza nell’accesso alle cure per molti pazienti, costringendoli a spostamenti in altre Regioni, dove le reti di assistenza sono più strutturate ed efficaci.
Un altro ostacolo significativo è dato dalla scarsità di personale sanitario qualificato e specializzato in cure palliative. Questo problema è aggravato dai tagli al settore sanitario susseguitisi negli anni, che limitano le assunzioni e aumentano il carico di lavoro degli operatori esistenti.
In conclusione, se la Legge 38 del 2010 ha rappresentato un importante passo avanti nel riconoscimento del diritto alla gestione del dolore e alle cure palliative, il pieno compimento di essa è ostacolato da fattori strutturali e finanziari. Per superare queste sfide, è necessario un impegno maggiore a livello politico e istituzionale, per garantire risorse adeguate, uniformità territoriale, formazione continua e sensibilizzazione pubblica.