Leggo su Superando un importante articolo di Fausto Giancaterina (Questo nostro welfare sempre più ristretto) il quale, con la sua grande esperienza, lamenta le disfunzioni dei servizi sociosanitari attualmente esistente nel Lazio, fondamentalmente a causa del mancato coordinamento dei servizi sociali con quelli sanitari e con gli altri servizi necessari a realizzare un progetto di vita di qualità per le persone con disabilità sia nel “Durante Noi” che nel “Dopo di Noi”. Ciò anche prendendo spunto da un caso molto grave descritto per l’occasione e denunciando il mancato rispetto delle norme regionali in vigore sul coordinamento di tutti questi servizi.
Condivido la sua vibrata denuncia, anche perché proprio in queste settimane è scoppiato un gravissimo problema proprio nel Lazio tra la Regione e la FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), relativo all’assegnazione di assistenti per l’autonomia e la comunicazione esperti nella CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Sino ad ora, infatti, tali figure professionali sono state fornite dalla Regione Lazio alle scuole di ogni ordine e grado, essendosi la Regione stessa assunta un compito che la normativa nazionale (Decreto Legislativo 112/98, articolo 139, comma 1, lettera c) prevede invece a carico dei Comuni per le scuole del primo ciclo (infanzia, primaria e secondaria di primo grado).
Lo scorso anno la Regione aveva comunicato a tutti i Comuni che nel successivo anno scolastico 2024/2025 avrebbe dismesso questo incarico non di sua competenza, e quindi costoso. Nessuno dei Comuni, però, ha preso in considerazione quella comunicazione, cosicché quest’anno la Regione ha confermato quanto già deliberato e quindi, aggiungo, quando si stanno svolgendo i GLO (Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione) per la richiesta delle varie risorse da formulare nei PEI (Piani Educativi Individualizzati), tra cui anche quella degli assistenti per la CAA nelle scuole del primo ciclo, i Comuni si sono risvegliati, dicendo di non avere i fondi sufficienti per l’assunzione di questo incarico.
Dal canto suo, la FISH Lazio si è fatta carico del disorientamento delle famiglie che temono l’assenza di questa figura professionale a partire dal prossimo mese di settembre, a causa del mancato coordinamento tra Regione e Comuni.
Anche questo fatto, dunque, dovrebbe allertarci circa i rischi che corre l’attuazione della recente normativa sul progetto di vita personalizzato e co-partecipato delle persone con disabilità, emanata con il Decreto Legislativo 62/24. In esso, infatti, è descritto in modo molto particolareggiato quanto detto da Fausto Giancaterina a proposito di come dovrebbero essere realizzati i progetti di vita, in base già alla vigente normativa regionale del Lazio. Le disfunzioni lamentate da Giancaterina riguardano nello specifico il mancato coordinamento di tutti i servizi necessari e la mancata collaborazione programmata di tutte le risorse umane e finanziarie previste dal “budget di salute” che nel citato Decreto 62/24 si ampliano nel “budget di progetto”.
Questo rischio è stato giustamente paventato, sempre in Superando, anche dall’avvocato Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH, per tutte le Regioni che si troveranno in difficoltà a seguito dell’approvazione della Legge sull’“autonomia differenziata”. Egli giustamente mette in luce che, per l’attuazione di tale Legge, occorrerà prima che vengano fissati i LEP, ossia i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali, che si dovrebbero coordinare con i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria). Purtroppo, però, alcune materie attualmente di competenza dello Stato possono già subito essere trasmesse alle Regioni, in quanto per esse non è prevista la preventiva formulazione dei LEP. Inoltre, quale sarà il livello di qualità di queste prestazioni che «deve essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale»? Esso non è deciso dall’attuale normativa di trasferimento, e quindi o potrebbe essere posto con un’asticella molto in basso, diventando perciò puramente fittizio, o potrebbe essere posto a livelli molto alti, ma allora occorrerebbe che le Regioni “più povere” ricevessero dallo Stato le risorse finanziarie per potersi adeguare a questi standard più elevati. E tuttavia questo è assai difficile a causa dell’obbligo imposto anche all’Italia dall’Europa di non poter più effettuare spesa pubblica in deficit, mentre anzi anche l’Italia ha l’obbligo di rientrare dall’eccessivo attuale debito pubblico secondo un calendario e delle norme piuttosto rigorose.
Tutto questo, dunque, evidenzia una grave carenza nel nostro modo di produrre le norme, e cioè quello di prevedere uno spontaneo coordinamento e non l’obbligo tra i diversi servizi necessari per realizzare il progetto di vita delle persone con disabilità. Infatti, noi abbiamo parecchie norme che prevedono «l’opportunità del coordinamento dei servizi», a partire dall’articolo 13, comma 1, lettera a della Legge Quadro 104/92, sugli “accordi di programma”, per realizzare i progetti di inclusione scolastica degli alunni con disabilità, proseguendo con l’articolo 19 della Legge 328/00 relativo all’«opportunità di effettuare accordi di programma» per realizzare il progetto di vita delle persone con disabilità, divenuto oggetto molto dettagliato della complessa procedura amministrativa prevista dal Decreto Legislativo 62/24. Solo se si avesse l’obbligo di stipulare questi accordi di programma, avremmo la certezza che – dopo le negoziazioni preliminari -, si avrebbero dei contratti di diritto pubblico vincolanti per tutte le parti intervenute sulla base della normativa vigente e secondo le competenze loro spettanti. Si eviterebbero così i disservizi, come pure, in loro presenza, l’abbondante contenzioso giurisdizionale da parte dei cittadini con disabilità che sono i destinatari dei servizi ai quali hanno diritto. Infatti, la normativa sugli accordi di programma, di cui tratta anche l’articolo 37 del Decreto Legislativo 267/00, prevede l’istituzione di un collegio di vigilanza composto dagli amministratori di ciascun ente pubblico o privato convenzionato, firmatari dell’accordo, che provvede a dirimere le controversie anche con la nomina di commissari ad acta i quali possono emanare atti sostitutivi delle obbligazioni non adempiute da parte di un firmatario.
È da ritenere pertanto che l’obbligatorietà degli accordi di programma possa realizzare il coordinamento di tutti gli interventi necessari all’esigibilità di un progetto di vita di qualità. Giustamente osserva Fausto Giancaterina che, per realizzare pienamente la qualità degli stessi servizi, occorrono «professionisti che ogni mattina rileggano la propria mission, cioè il perché e per chi sono in un servizio pubblico e sentirsi responsabili verso persone per le quali devono sempre co/progettare azioni che facciano positivamente crescere il loro star bene. Sono impegni professionali che devono accompagnare l’esistenza delle persone con creatività e inventiva e per ogni singola persona con le sue potenzialità, i suoi limiti, la sua storia socio/affettiva vissuta sia in famiglia che nel contesto scuola o nel più ampio contesto sociale con giochi di ruolo e partecipazione inclusiva».
Questa formazione, che è pure molto presente nel Decreto Legislativo 62/24 dev’essere prevista negli accordi di programma, pena l’effettuazione di servizi standardizzati e non rispondenti agli effettivi bisogni delle singole persone con disabilità, «secondo i propri desideri, le proprie aspettative, e le proprie scelte» (Decreto 62/24, articolo 18, comma 3).