«Abbiamo bisogno di dati aggiuntivi per una validazione clinica, ma questo lavoro rappresenta l’inizio di future ricerche volte ad implementare applicazioni dell’intelligenza artificiale non solo nello studio dei meccanismi dell’epilessia, ma anche in applicazioni dirette in scenari clinici»: lo dichiarano Gian Marco Duma, Marie-Constance Corsi e Pierpaolo Sorrentino, ricercatori rispettivamente presso l’IRCCS Medea di Conegliano (Treviso), l’Institut de Neurosciences des Systèmes di Marsiglia e l’Institut du Cervau di Parigi, che hanno coordinato una nuova ricerca internazionale, avvalendosi anche della collaborazione del CNR di Pozzuoli (Napoli), durante la quale sono state utilizzate tecniche di intelligenza artificiale, per sfruttare le caratteristiche dell’attività cerebrale allo scopo di aiutare i clinici durante la diagnosi di epilessia.
«Questo studio – spiegano dall’IRCCS Medea-La Nostra Famiglia – ha utilizzato metodiche innovative nella cornice teorica delle cosiddette “valanghe neuronali”, che possono essere viste come degli eventi di propagazione dell’attività elettrica attraverso la rete cerebrale, preceduti e seguiti da periodi silenti. Utilizzando metodi di apprendimento automatico, lo studio è riuscito a distinguere tra pazienti con epilessia del lobo temporale e soggetti sani con un’accuratezza dell’88%, producendo un aumento del 18% nella capacità di classificazione rispetto ai metodi di connettività funzionale più classicamente utilizzati».
«La diagnosi di epilessia è un processo complesso – spiega Gian Marco Duma -, che spesso richiede molte ore e giorni di raccolta dati. Questo non è sempre possibile in tutti i setting clinici. I risultati ottenuti con questo studio sono dunque un’evidenza iniziale per un’applicazione dei metodi che sfruttano componenti aperiodiche del segnale elettroencefalografico insieme all’intelligenza artificiale, per aiutare a ottimizzare i tempi di raccolta dati e supportare la diagnosi clinica. Si tratta di strumenti di particolare utilità in quelle unità non specializzate dove il rischio di misdiagnosi [“diagnosi sbagliata”, N.d.R.] è potenzialmente più elevato».
«Abbiamo inoltre studiato – aggiungono Corsi e Sorrentino – quali fossero gli elementi che influenzavano maggiormente la classificazione, il che ha permesso di identificare quali zone del cervello stessero fornendo maggiori informazioni al modello: si tratta delle stesse zone che hanno una relazione con la patofisiologia dell’epilessia». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficio.stampa@lanostrafamiglia.it (Cristina Trombetti).