Affitti esorbitanti, mutui inafferrabili quanto un mito antico. Laddove ci sono problemi, però, esistono anche le soluzioni. L’edilizia sociale, declinata fra l’altro nei bandi Piano casa, è strumento a cui sempre più città guardano con attenzione. Un’alleanza fra cittadini che si uniscono in cooperative edili, investimenti pubblici e privati, una cabina di regia che è solitamente quella dell’Ente Locale Comunale.
Sono ormai decenni che la cosiddetta “emergenza casa” affligge l’Italia. Negli ultimi cinque o dieci anni, il problema si è esteso a buona parte della Sardegna e ha assunto, più che in passato, i tratti dell’emergenza sociale.
Dati alla mano, tutti i Comuni sardi perdono residenti. L’unica eccezione è Olbia, la quale però non è seconda a nessuno in termini di costo degli immobili. E alla base di questo spopolamento c’è proprio la difficoltà del vivere quotidiano. Il caro prezzi, l’insostenibilità degli affitti e dei mutui. E anche dove le opportunità di lavoro fioriscono e crescono di continuo – vedasi il boom economico olbiese – il carovita sembra capace di togliere il sonno anche a chi un lavoro stabile ce l’ha. Ed è qui che entra in gioco, o dovrebbe entrare, l’edilizia abitativa sociale, piano casa o housing sociale che chiamar lo si voglia.
Un nuovo nomadismo
Distinto da altri strumenti più noti, l’housing sociale si rivolge a quei soggetti in situazione di svantaggio che, pur non avendo redditi così bassi da accedere all’alloggio popolare, non hanno neppure un reddito tale da poter sostenere i costi di un mercato immobiliare sempre più inarrivabile.
Per come vanno oggi le cose, possiamo dire che questo strumento si rivolge al ceto medio. Impiegati pubblici, liberi professionisti, eccetera. Tutte categorie che venti o trent’anni fa sarebbero state considerate agiate, ma che oggi sono, pur in una buona condizione economica, costantemente esposte all’erosione del proprio reddito. Così, ad esempio, in una città come Cagliari, si assiste a un progressivo spostamento di residenti dalle zone centrali o comunque di pregio, sempre più care, verso quartieri o Comuni limitrofi che offrono servizi a prezzi maggiormente contenuti. Così, inevitabilmente, anche le fisionomie delle città cambiano. E suddivisioni che immaginavamo perdute per sempre, si ripropongono. Ormai, certi quartieri si riconoscono a colpo d’occhio. Basta uno sguardo per capire quali appartengono a residenti estremamente agiati, quali a quelli che un tempo erano detti classe media, quali infine a cittadini precari o con lavori saltuari.
A onor del vero, il fenomeno non riguarda esclusivamente Cagliari e Olbia, i maggiori poli di attrazione dell’Isola. Difatti, esistono Comuni piccoli e medi, la maggioranza nella nostra Sardegna, in cui si evidenziano differenze di prezzi davvero notevoli. Ciò accade specialmente se si raffrontano Comuni delle zone interne con alcuni di quelli costieri. Tuttavia, a esaminare con attenzione i flussi del mercato immobiliare, vi sono differenze vistose anche fra gli stessi Comuni della costa. La ricchezza, sia essa derivata dal turismo o da altra attività produttiva, sembra essere determinante nella stima di una casa. Il turismo, in particolare, da risorsa in questo caso diventa svantaggio per lavoratori e famiglie. Mai come negli ultimi anni, difatti, si è verificata una corsa così massiccia agli “affitti brevi”. Si tratta, in sostanza, del lievitare a dismisura dei canoni nei mesi di maggiore presenza turistica. Ecco perché a Cagliari e Olbia, i due centri economicamente più forti, è molto difficile stipulare contratti annuali a costi ragionevoli. Ma, come già scritto, il fenomeno ormai è ben lungi dall’essere circoscritto ai due poli più importanti dell’isola.
Da un’emergenza a un’opportunità
Dietro un disagio generale, si sa, si celano istanze diverse. Le persone con disabilità alla ricerca di porzioni urbane a loro facilmente accessibili; i soggetti economicamente a rischio che necessitano di alloggi a buon mercato; i cittadini stranieri in cerca di integrazione. La sfida odierna è trovare soluzioni flessibili, adattabili a diverse tipologie di problemi. E in tal senso, l’housing sociale sembra essere uno fra gli strumenti urbanistici più duttili che attualmente sono a disposizione dei Comuni. Perché attraverso questa pianificazione urbanistica è possibile perseguire risultati molteplici. Ad esempio, progettare complessi abitativi a misura di persone con deficit fisici. Il che si traduce in una maggiore vivibilità per tutti i condomini. Si possono realizzare edifici energeticamente sostenibili. Ma soprattutto è possibile evitare un fenomeno che in passato era detto di “ghettizzazione”. Si pensi al fatto che in talune città si è scelto di realizzare, in un unico complesso, alloggi popolari e abitazioni rientranti nei piani di edilizia sociale.
Il Decreto Ministeriale del 22 aprile 2008 (Definizione di alloggio sociale ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea) è l’unica fonte normativa che regolamenta lo strumento di cui ci stiamo interessando. L’essenzialità delle indicazioni che vi sono contenute potrebbe far pensare che lo strumento necessiti di essere irrobustito, legislativamente parlando. O forse no. Come detto, lo scopo è garantire al ceto medio l’acquisizione di una casa in locazione a prezzi accessibili. Esistono cooperative e fondi di risparmio privato che si aggregano per favorire la creazione di complessi abitativi idonei a soddisfare, oltre all’interesse privato, quello del pubblico che può e deve occuparsi di come le città si trasformano. Da qui l’importanza di una direzione pubblica. La scarna normativa serve, probabilmente, a garantire l’estrema duttilità dello strumento.
Non è questa la sede per addentrarsi in una disquisizione tecnica. Basti dire che l’housing sociale è ben conosciuto dalla Sardegna e in particolare da Comuni come quello di Cagliari. E tuttavia siamo lontani da investimenti importanti come quelli fatti da Comuni come Milano, che ha capito fino in fondo le potenzialità di uno strumento fondamentale per affrontare le crisi sociali di questi ultimi anni.
Con l’avvio di una nuova Legislatura Regionale, è auspicabile che si punti in maniera più convinta su una “pianificazione urbanistica socialmente sostenibile”, per così dire. Soprattutto in considerazione degli ottimi risultati conseguiti da altre Regioni e Città che, quanto e più della nostra Isola, conoscono la crisi economica affrontata da lavoratori e famiglie.
RP Sardegna (Associazione dei ciechi, degli ipovedenti e dei retinopatici sardi), aderente alla FISH Sardegna (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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