Dopo il mio articolo pubblicato nei giorni scorsi da Superando [“Storia di un padre e di un portamonete”, N.d.R.] molti sono stati gli attestati di vicinanza e affetto che ho ricevuto: sono grato a tutti per averli espressi.
Vorrei aggiungere, se mi è permesso, alcune riflessioni e considerazioni che, se è vero che muovono dalla dolorosa esperienza che sta vivendo mio figlio, persona autistica – lo ricordo – ancora oggi confinata in un reparto di psichiatria di ospedale, spero possano andare oltre e avere una valenza il più possibile oggettiva.
Ho avuto modo di vedere mio figlio, Gabriele, ed è stata – mi si creda – un’esperienza sconvolgente, devastante, sicuramente la peggiore della mia vita. La riassumo in poche righe e mi scuso per l’estrema sintesi. Era confuso, a tratti non riconosceva le persone, l’ansia lo divorava senza permettere alle parole, che disperatamente tentava di pronunciare, di uscire dalla bocca. Urlava, si dimenava.
Nella mia vita ho sempre combattuto, e per tale ragione ho anche pagato prezzi altissimi perché non sono mancati i ricatti, contro lo stigma di tanta parte della psichiatria che associa arbitrariamente l’autismo alla malattia mentale. Mai un autistico, secondo me, dovrebbe finire in un reparto psichiatrico. Mai l’autismo dovrebbe essere combattuto con la scelta scellerata di concentrare la parte prevalente degli interventi sulla somministrazione di psicofarmaci. Persone e Istituzioni ben più autorevoli di me hanno sempre sostenuto che il ricorso a questa estrema opzione deve essere l’ultimo possibile, e può avvenire solo dopo avere sperimentato altri approcci, in particolare quello cognitivo comportamentale, che era e rimane la via maestra. Rilevo che la piramide viene spesso colpevolmente capovolta.
Detto, come si può leggere, che sono l’ultima persona sospettabile di nutrire simpatie verso la psichiatria (naturalmente non mi sento di generalizzare perché sarebbe ingiusto farlo), vorrei solo dire che la situazione limite a cui Gabriele è arrivato non è certo nata ieri né il giorno prima… ma è il risultato di scelte molto sbagliate, in termini di interventi, compiute negli anni e anche più di recente, di cui mai nessuno pagherà il prezzo. In altre parole penso che restringere il focus solo sul reparto di psichiatria dove Gabriele attualmente si trova, sia fortemente riduttivo per non dire sbagliato.
Chi farnetica di un Gabriele che dovrebbe essere dimesso, e “consiglia” addirittura di farlo venire a casa, non sa letteralmente di cosa parla. Taccio, per ragioni di privacy, di importantissimi impedimenti che mi vincolano, e mi limito a invitare “maestri” e “maestre”, “pie donne” e “aspiranti sacerdoti”, a non dire castronerie. Chi parla a vanvera lo fa senza conoscere nulla della sua e della mia storia. Non si rende conto che io, a settantacinque anni e da solo, sarei travolto un istante dopo da questa realtà e, cosa ben più grave, riuscirei persino nell’intento di peggiorare lo status di mio figlio.
Se una persona, autistica o non, arriva a condizioni limite (Gabriele è addirittura oltre) diventa giocoforza necessario prendere atto che solo la psichiatria può intervenire (senza ricorrere a forme estreme di contenzione). Dove sennò, giunti alla condizione estrema di cui ho detto, Gabriele potrebbe essere seguito in questa fase?
Se manca la risposta alla domanda, il problema vero è impedire che si arrivi a situazioni di emergenza come quelle che sta vivendo mio figlio. Per farlo bisogna risalire a monte, alle cause, perché l’obiettivo non è demonizzare, ma comprendere cosa e quanto (tantissimo) non ha funzionato. Non comprendere questo bisogno rischia di produrre e irrobustire a dismisura tanti altri “casi Gabriele”. È, insomma, il sistema a monte che non funziona e produce queste aberrazioni.
Nella Sanità si ripete ciò che succede nella Scuola e da altre parti. Alla ricerca cieca di un capro espiatorio, sport in cui ogni italiano medio eccelle, si esprimono, ad esempio, critiche durissime agli insegnanti di sostegno, dimenticando che essi dovrebbero essere di sostegno alla classe (per favorire una reale inclusione, che deve essere altro rispetto alle aule speciali e ai corridoi), ben prima che all’allievo con disabilità.
Si parla, giustamente, della necessita di formarli. Chiedo: gli insegnanti curricolari e i Dirigenti Scolastici (questi ultimi dovrebbero ben conoscere la norma e soprattutto farla applicare, visto che sono ben pagati anche per questo) non hanno bisogno di essere altrettanto formati e aggiornati? O forse l’allievo autistico, se di autismo vogliamo parlare, cessa di essere autistico quando il docente di sostegno ha completato il suo orario giornaliero di lavoro? Faccio un’affermazione sbagliata se dico che l’allievo con disabilità è in capo all’intero Consiglio di Classe e non solo al docente di sostegno?
Ebbene: la stessa disinvoltura e superficialità nei giudizi si applica in altri contesti. Alla ricerca di un colpevole a tutti i costi una volta tocca all’educatore essere messo alla gogna, poi alla comunità, poi al medico, poi all’operatore socio sanitario, poi allo psicologo; una volta a questo, una volta a quello. No: io penso che sia il sistema, nella sua interezza, a fare acqua da tutte le parti e per tale ragione è illusorio pensare di modificarlo. Occorre invece rifondarlo dalle fondamenta!
Basta lavorare per compartimenti stagni, basta parcellizzare ogni ragionamento, basta limitarsi a soluzioni e scorciatoie individuali! Io credo che non abbiamo ancora chiaro che con i rattoppi e le mezze misure, con gli accomodamenti e i compromessi di basso profilo, non si va da nessuna parte. Anzi: si perde inesorabilmente.
Bisogna, secondo me, definire in modo chiaro e trasparente programmi, alleanze e strategie. Occorre fare del welfare e della salute una priorità assoluta. Basta con “leggi fuffa” che vengono sistematicamente disattese. Non è più accettabile che siano scaricati sulle famiglie oneri e responsabilità che appartengono allo Stato. Basta elemosine. Bisogna a tutti i costi recuperare significati e valori ormai dimenticati. È necessario rivendicare in tutte le sedi quei diritti che sono impunemente calpestati ogni giorno. Diritti, non elemosine.
All’assunzione di questa nuova consapevolezza può servire la vicenda di mio figlio. A non confondere cause ed effetti. A intervenire radicalmente su un sistema marcio, invece di cercare capri espiatori e appigli che spesso fanno solo da parafulmine a responsabilità che risiedono molto più in alto. A unire anziché dividerci, perché essere divisi è il più bel regalo che possiamo fare al sistema. A capire che, con una persona autistica, così come con chiunque, non bisogna mai arrivare a condizioni di emergenza perché se questo succede, e purtroppo succede troppo spesso, la strada diventa segnata.
La lezione di Gabriele sia di monito a tutti.