Il Secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità” [adottato nel 20217, N.d.R.] aveva già fissato l’obiettivo di rendere la persona con disabilità protagonista della propria vita, consentendole di partecipare, al massimo delle sue potenzialità, alle scelte che riguardano l’esistenza, la salute e il patrimonio, e mettendola nelle condizioni di porre in essere atti giuridici che prima le erano negati. D’altra parte le Osservazioni Conclusive all’Italia del 2016 del Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità erano state chiare: «Il Comitato raccomanda che lo Stato parte abroghi tutte le leggi che consentono un processo decisionale sostitutivo da parte dei tutori legali, tra cui il meccanismo dell’amministratore di sostegno e la promulgazione e attuazione di disposizioni relative al processo decisionale supportato, compresa la formazione di professionisti nei settori della giustizia, sanità e sociale». Quindi è necessario dare risposta alle esigenze di coloro che si trovano in condizioni di maggior discriminazione. Un obiettivo, questo, che risulta coerente anche con gli scopi della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, in cui si dà rilievo al protagonismo della persona nelle sue scelte di vita.
Riconoscimento legislativo ed amministrativo del “processo decisionale supportato”
Coerentemente con i principi di autodeterminazione e non discriminazione, si rende necessario adottare interventi normativi e amministrativi che prevedano forme di supporto in favore delle persone con disabilità. Tali supporti dovranno essere di intensità progressiva, in base alla situazione individuale della persona e in relazione al contesto di vita. Il ricorso a meccanismi o istituti giuridici più formalizzati (anche con riferimento all’individuazione della figura che giuridicamente rappresenterà la persona con disabilità) dovrà pertanto avvenire solo quando ve ne sia un’effettiva necessità (articolo 12, Uguale riconoscimento dinanzi alla legge, della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità). Tale figura può essere anche una persona di fiducia, scelta dalla stessa persona con disabilità, soprattutto per le persone con disabilità psico-sociale.
Il dibattito internazionale sviluppatosi sulla proposta di introdurre il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) all’interno della Convenzione di Oviedo (Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina del Consiglio d’Europa) lo mette in evidenza [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.]. In tutti i casi in cui sia necessario attivare tale misura/meccanismo di protezione appare di preliminare importanza garantire alla persona stessa, un “processo decisionale supportato”, valido anche a tutela delle persone con disturbi del neurosviluppo. Si rende infatti necessario garantire dignità alla persona con disabilità, fornendole protezione, ma al contempo sostenendo la sua autonomia utilizzando esclusivamente interventi indispensabili. In questa direzione dovrebbero essere attivati:
1. Interventi di tipo legislativo e amministrativo che prevedano l’inserimento, in ogni contesto normativo, del principio guida dell’autodeterminazione, oltre ad azioni di sostegno, formali e informali, volte a favorire la manifestazione da parte della persona con disabilità dei propri desideri, bisogni, aspettative e determinazioni.
2. Inserimento in sede legislativa e amministrativa di strumenti diretti a facilitare e garantire alle persone con disabilità un concreto “processo decisionale supportato”, strumento che va ancora definito nel dettaglio.
3. Formazione specifica rivolta agli operatori del diritto, ai familiari delle persone con disabilità, agli operatori sociali e sanitari, mirata ad apprendere modalità e strategie da utilizzare al fine di semplificare la comunicazione (per esempio con il linguaggio Easy to Read, “facile da leggere e da comprendere”) con le persone con disabilità.
4. Garantire il rispetto della diversità umana. La disabilità intellettiva e relazionale non è una malattia, ma un diverso modo di funzionamento dell’essere umano. Ogni persona funziona in una maniera unica, capire il suo modo di funzionamento è il primo obiettivo da conseguire per riuscire a comprendere queste persone. La diagnosi infatti è solo un avvicinamento al modo di funzionamento del soggetto. La medicina di precisione americana, che sottolinea che persone con diagnosi uguali hanno profili di funzionamento diversi, mettendo in evidenza la necessità di approfondire la conoscenza funzionale di questi cittadini.
Dal punto di vista della sostenibilità economica, gli interventi sopracitati non prevedono costi aggiuntivi, ma semplicemente un uso più efficiente delle risorse già utilizzate nei servizi di welfare sociale per le persone con disabilità.
Riforma del sistema di protezione giuridica
Nel corso degli anni, è emersa l’inidoneità, così come oggi praticata, della figura dell’amministratore di sostegno, viste le competenze spesso poco idonee e in linea con la specifica funzione di tutelare le persone «prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente». La figura dell’amministratore di sostegno dovrà pertanto essere ridefinita, coerentemente con i principi della Convenzione ONU nonché del cosiddetto “personalismo solidale” di cui agli articoli 2-3 della Costituzione Italiana, che esige il rispetto dell’autonomia della persona, della sua dignità, delle sue scelte, nonché delle personali aspirazioni.
Sul punto va evidenziato come sia la figura dell’amministratore di sostegno che quella del Giudice Tutelare siano risultate sovente inadeguate nell’intraprendere e individuare azioni di protezione e promozione della persona (interventi terapeutici, collocazione abitativa, progetto di vita ecc.). Tale inadeguatezza va ricondotta sia all’elevato numero di persone protette da ciascun amministratore di sostegno (si superano addirittura i 50 assistiti per un solo amministratore di sostegno), sia alla carenza di una formazione specifica che dovrebbe essere resa obbligatoria a livello nazionale e/o regionale per chi vuole esercitare questo ruolo, specie se estraneo alla cerchia familiare. Le azioni di seguito illustrate sono, quindi e in larga misura, dettate dalla volontà di rendere la figura dell’amministratore di sostegno idonea alla finalità per le quali è stata introdotta, nonché di garantire l’obiettivo di offrire un supporto e sostegno, temporaneo o permanente, alle persone «prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana».
Intervento legislativo per riformare il ruolo dell’amministratore di sostegno
L’amministratore di sostegno deve fungere da strumento di supporto all’esercizio dei diritti della persona con disabilità, la quale deve comunque essere coinvolta in prima persona e la cui volontà deve essere raccolta, sostenuta e valorizzata, e tenuta in debita considerazione dalle diverse professionalità coinvolte. L’amministratore di sostegno deve adoperarsi per la costruzione del progetto di vita del beneficiario, stimolando la necessaria partecipazione dei familiari e dell’équipe affinché tutti si adoperino – ognuno per il proprio campo di competenza – nell’individuazione delle misure di sostegno più adeguate.
In particolare, proprio perché «l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario» (articolo 410 del Codice Civile, come novellato dalla Legge 6/04), va assicurato che:
° «le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita» (articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità);
° vengano adottate «misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica»;
° «le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario» (articolo 12 della Convenzione ONU).
In questo contesto il Giudice Tutelare, senza sostituirsi alle competenze delle altre professionalità coinvolte, assume il compito di vigilare sul corretto svolgimento del progetto terapeutico e assistenziale e di vita, nonché di verificare, nel tempo, la corrispondenza con le esigenze espresse dal beneficiario, che potrebbero in concreto mutare, richiedendo, ove necessario, interventi migliorativi. Va inoltre limitato il numero di persone che un amministratore di sostegno può rappresentare (5 al massimo), per garantire l’adeguata attenzione ai diritti e bisogni delle concrete persone con disabilità.
Il ricorso a perizie psichiatriche, che varie volte hanno annullato in molte sentenze la capacità di decisione della persona con disabilità, vanno fortemente limitate (basti vedere il “caso Gilardi” a Lecco: la sua volontà di non essere istituzionalizzato, invece di prevedere interventi di sostegno domiciliare, è stata cancellata dalla valutazione di uno psichiatra [se ne legga su queste stesse pagine, N.d.R.]).
La Proposta di Legge di riforma dell’amministratore di sostegno dell’Associazione Diritti alla Follia [il cui testo è disponibile a questo link, N.d.R.] appare come un utile strumento per arricchire queste considerazioni in vari ambiti procedurali.
Intervento legislativo per le persone prive di misure di protezione giuridica o per consensi in ambiti non coperti dalla protezione e non siano “in grado di intendere e di volere”
Sarebbe necessario modificare la disciplina sulle manifestazioni di volontà (a titolo esemplificativo: stipula di un contratto, sottoscrizione di un atto pubblico ai fini di una donazione, espressione del consenso informato) e sulla validità delle stesse. Tanto si potrà realizzare mediante l’individuazione di nuovi criteri atti a verificare la validità delle manifestazioni di volontà, che puntino l’attenzione non esclusivamente sulle eventuali conseguenze economiche dannose dell’atto o su eventuali situazioni di “approfittamento” in danno della persona da tutelare, ma che siano principalmente diretti a valorizzare un corretto e idoneo processo decisionale della persona da tutelare in ordine agli atti da compiere (si veda il caso del professor Gianni Vattimo).
Altro importante obiettivo appare quello di delineare una disciplina chiara e puntuale che garantisca un corretto supporto nell’esercizio del diritto di voto da parte delle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale.
Per ciò che concerne il compimento degli atti cosiddetti personalissimi (riconoscimento di un figlio, disconoscimento della paternità, testamento, donazione, matrimonio, separazione personale, cessazione degli effetti civili del matrimonio, consenso informato), si ritiene necessario perseguire il conseguimento non già del “miglior interesse oggettivo”, bensì quello della “migliore interpretazione della volontà e delle preferenze della persona”, anche attraverso una puntuale ricostruzione della volontà preesistente alla condizione di disabilità sulla base di «una pluralità di indici sintomatici, di elementi presuntivi, mediante l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura» (Corte di Cassazione, Civ., Sentenza 21748/07, relativa alla vicenda di Eluana Englaro).
Questo processo di ricostruzione della volontà della persona con disabilità dovrà avvenire mediante l’utilizzo di una comunicazione quanto più consona possibile alle condizioni della persona, in modo da assicurare che la «scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualità della vita proprio del rappresentante», ma del diretto interessato (Corte di Cassazione, Civ., Sentenza 21748/07 citata). In questo spirito, è importante rafforzare la disciplina vigente con particolare riferimento agli àmbiti di intervento che il Giudice è chiamato ad individuare nella stesura del Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.
Sul punto, anche la Corte Costituzionale, con la Sentenza 144/19, ha statuito che la disciplina vigente non assegni all’amministratore di sostegno un insindacabile potere decisionale per conto del beneficiario (nello specifico in àmbito medico sanitario); al contrario, la ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno richiede che sia il Giudice Tutelare a dover modellare i poteri dell’amministratore sulle necessità concrete del beneficiario.
Inoltre, in linea con l’interpretazione e l’applicazione della figura dell’amministratore di sostegno della giurisprudenza di legittimità, la Corte Costituzionale, con la medesima Sentenza 144/19, ha riconfermato il principio che tale istituto «si presenta come uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità». Esso consente al Giudice Tutelare «di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione». Con il Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, difatti, il Giudice Tutelare «si limita, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento», perché è chiamato ad affidargli, nell’interesse del beneficiario, i necessari strumenti di sostegno, con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento quest’ultimo sia ritenuto inidoneo (Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Sentenza 25366/06).
Attribuendo al Giudice Tutelare il compito di modellare l’amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e alle condizioni di vita del beneficiario, il Legislatore ha inteso limitare «nella minore misura possibile» (Corte Costituzionale, Sentenza 440/05) la capacità di agire della persona beneficiaria dell’amministratore di sostegno, marcando nettamente la differenza con i tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, la cui applicazione attribuisce al soggetto uno status di incapacità, più o meno estesa, connessa a rigide conseguenze legislativamente predeterminate. Il maggior rispetto dell’autonomia e della dignità della persona assicurata dalla figura dell’amministrazione di sostegno porta ad escludere che si estendano a tali soggetti, in via analogica, le limitazioni dettate per l’interdetto o l’inabilitato e i divieti di contrarre matrimonio o di donare. Il beneficiario di amministrazione di sostegno potrebbe essere privato della capacità di porre in essere tali atti personalissimi quando ciò risponda alla tutela di suoi interessi, esclusivamente qualora ciò sia espressamente disposto dal Giudice Tutelare nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in una successiva revisione dello stesso.
Interventi per l’accesso alle cure delle persone prive di misure di protezione giuridica o non coperte da esse
Si ritiene infine auspicabile prevedere la possibilità per il Giudice Tutelare di avvalersi, nel Decreto di nomina dell’amministrazione di sostegno, di un provvedimento di “incapacitazione” temporanea o per singoli atti, per l’ipotesi futura in cui ad esempio vi sia una situazione di “immobilismo” dell’interessato che si riveli per lui pregiudizievole.
In questo caso è necessario prevedere una protezione “attiva”, un “fare sostitutivo” da parte dell’amministrazione di sostegno, al quale può essere attribuita, sempre su espressa disposizione del Giudice Tutelare, la rappresentanza esclusiva per il compimento degli atti necessari alla salvaguardia degli interessi della persona che la stessa rifiuta o trascura di compiere.
Si ritiene che laddove l’incapacitazione totale del beneficiario dovesse essere estesa alla totalità degli atti di natura personale e patrimoniali, questa dovrà avere natura prettamente funzionale rispetto al caso concreto, in quanto sarà revocabile e modificabile in qualunque momento.