Secondo una recente indagine realizzata dall’AIAF (Associazione Italiana Anderson-Fabry), sono circa venti le giornate che, in media, una persona con malattia di Anderson-Fabry perde ogni anno per recarsi in ospedale e sottoporsi a visite e terapie. Un dato, questo, già rilevato nel 2018 e riconfermato attraverso la più recente indagine. «Per questo oggi – dicono dall’Associzione -, a sei anni di distanza dalla prima rilevazione, proseguiamo e rafforziamo il nostro impegno nella definizione e diffusione di un sistema di presa in carico del paziente che consenta di abbattere al massimo questo dato, tenendo conto che si parla di una patologia multisistemica – con interessamento prevalente di sistema nervoso, reni e cuore – facendo sì che un “investimento” così importante in “giornate perse” derivi, nella maggior parte dei casi, dalla difficoltà di far combaciare appuntamenti con specialisti diversi».
Proprio da questa rilevazione di criticità è nato sin dal 2018 il progetto Caring Fabry, realizzato dall’AIAF in collaborazione con la Società Helaglobe, che con l’obiettivo di colmare la disparità tra bisogno di assistenza e attuale presa in carico, intende disegnare il modello ideale di presa in carico del paziente, ottimizzando i tempi e migliorando di conseguenza il funzionamento degli attuali centri di cura.
«Le persone con malattia di Anderson-Fabry – spiega Stefania Tobaldini, presidente dell’AIAF – hanno necessità di sottoporsi a numerose visite di controllo multidisciplinari, spesso organizzate in date diverse, che costringono a molteplici assenze dal lavoro o da scuola. A queste giornate, spesso si aggiungono ulteriori giornate di assenza per la gestione delle terapie, pari a circa ventisei giorni annui per i pazienti in cura con la terapia enzimatica sostitutiva che non possono curarsi a casa. Anche la necessità di ritirare i farmaci in ospedale (spesso lontano da casa) per alcuni pazienti comporta ulteriori assenze dal lavoro. Tutte queste assenze comportano la necessità di fare ricorso a permessi, ferie o giorni di malattia al lavoro».
«E si tratta di un problema – conclude – che si riversa molto frequentemente anche sulle famiglie, perché spesso si ha bisogno dell’accompagnamento da parte di un familiare». (S.B.)
A questo link è disponibile un testo di ulteriore approfondimento. Per altre informazioni: Ufficio Stampa AIAF (Alessandra Babetto), alessandra@puntoventi.it.
La malattia di Anderson-Fabry
Patologia genetica di origine metabolica, dovuta alla carenza di un enzima (alfa-galattosidasi A), la malattia di Anderson-Fabry è caratterizzata da sintomi estremamente eterogenei e non specifici, rendendo difficile la diagnosi, che può arrivare in età adulta anche con grande ritardo. L’interessamento multiorgano e il ritardo diagnostico portano non di rado il verificarsi di danni anche irreversibili, a livello renale, cardiaco e del sistema nervoso centrale, tali da compromettere qualità e aspettativa di vita.
Molto tuttavia è cambiato dal punto di vista diagnostico, di presa in carico e terapeutico negli ultimi vent’anni, passando dal non avere alcuna terapia a disposizione ad averne diverse, con un grande miglioramento delle aspettative di vita e della qualità di essa: una vera e propria rivoluzione lunga vent’anni che promette altri cambiamenti per il futuro grazie alla prospettiva di terapie geniche, attualmente in fase di sviluppo.
La presenza di terapie efficaci e di percorsi ormai consolidati porta inoltre con sé l’ipotesi di inserimento della patologia all’interno del panel dello screening neonatale esteso, in modo tale da poter superare anche l’ultimo grande scoglio per la miglior presa in carico possibile: la diagnosi precoce. Non solo, quindi, una rivoluzione medico scientifica, ma una rivoluzione della qualità e delle prospettive di vita.
(a cura di AIAF)
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