Il Parkinson a 44 anni, ma la voglia di correre che non passa

di Simone Fanti*
A 44 anni la diagnosi di Parkinson - malattia la cui età d’esordio “si fa sempre più giovane” - e a Roberto Russo, grande sportivo, cade letteralmente il mondo addosso. Ma sarà proprio l’esercizio fisico continuativo e un intervento di “DBS” (“Stimolazione Celebrale Assistita”) a farlo ripartire… naturalmente di corsa, fino ad arrivare recentemente ad ottenere due secondi posti nei Campionati Italiani Paralimpici di atletica leggera
Roberto Russo
Roberto Russo

All’età di 44 anni la diagnosi di sindrome giovanile di Parkinson, e a Roberto Russo, di origine siciliana e ormai trapiantato a Calvagese della Riviera (Brescia), cade il mondo addosso. L’esistenza che ha condotto sino ad allora va ripensata proprio ripartendo dal tanto amato sport: l’atletica leggera. Sarà l’esercizio fisico continuativo e un intervento in cui gli viene inserita nel corpo la DBS, “Stimolazione Celebrale Assistita” a farlo ripartire… di corsa.

Dodici anni fa la diagnosi, mi racconta cosa è successo?
«Mi hanno diagnosticato la sindrome giovanile di Parkinson il 12 maggio del 2012, proprio il giorno del mio compleanno. Dopo avere cambiato tanti impieghi, in quel periodo lavoravo in una pompa di benzina, ma l’ho dovuta lasciare con il progresso della malattia. Lo stesso è accaduto con gli sport che praticavo, in particolare la mountain bike. Sono caduto in una forte depressione».

Come si è accorto della malattia?
«Ho iniziato a tremare. così d’improvviso mentre ero sul divano. Fin da piccolo quando mi innervosivo, quando litigavo, iniziavo a tremare. Ma non mi era mai accaduto mentre mi stavo rilassando. Ha iniziato la gamba destra, poi il braccio e poi tutto il corpo. Ho quindi fatto delle analisi. Avevo il Parkinson».

A 44 anni?
«Sì, tanti i casi, pensi che il più giovane malato di parkinson in Italia è stato un diciassettenne di Genova [di come l’età d’esordio del Parkinson “si faccia sempre più giovane” si legga anche nel box in calce, N.d.R.]».

Faceva sport?
«Sì tanto. Dalla mountain bike all’atletica leggera».

A livello agonistico?
«No, a livello agonistico ho iniziato cinque anni fa. Avrei dovuto anche andare alle Paralimpiadi di Parigi, ma ho dovuto sottopormi a un intervento a una gamba e non ho potuto».

Cosa è successo?
«Ho dovuto operarmi a un ginocchio presso l’Ospedale Sant’Anna di Brescia per un ginocchio varo (ovvero, arcuato), consumato in un solo compartimento. Mi ha operato Gianmarco Regazzola*, chirurgo ortopedico specializzato in protesica all’anca e al ginocchio, attento alle tecniche chirurgiche più innovative. Si tratta del primo intervento di questo tipo su un paziente con malattia di Parkinson».

Un intervento risolutivo visto che ha ripreso immediatamente gli allenamenti?
«Nel weekend del 29 e 30 giugno ho partecipato ai Campionati Italiani Paralimpici assoluti di atletica, ottenendo due secondi posti, medaglia di argento nei 400 e negli 800».

Posso chiederle qual è il sintomo peggiore del Parkinson?
«Credo il freezing. Metti i piedi per terra, vuoi camminare, ma il cervello non dà il comando. Poi ci sono la distonia e il tremore».

Come è uscito dalla depressione?
«C’è voluto tempo. Per fortuna ho conosciuto molte persone che mi hanno aiutato. Tra questi Stefano Ghidotti, fondatore e presidente di Parkinson&Sport e ho ripreso a usare la bicicletta. Prima pochi chilometri, poi a crescere ora riesco a fare da Torino a Venezia. Ho ripreso a fare sport nel Duathlon (corsa più bici). Ma ho sospeso perché mi sono fatto installare una DBS, uno stimolatore che attenua gli effetti del Parkinson».

Come funziona?
«Mi hanno impiantato chirurgicamente due elettrocateteri nelle aree del cervello deputate al controllo dei movimenti, e un dispositivo medico, simile a un pacemaker cardiaco, vicino alla clavicola. Quest’ultimo invia degli impulsi elettrici agli elettrodi situati nelle aree cerebrali, bloccando i segnali che provocano i sintomi motori disabilitanti».

Un sogno che si realizza?
«Sì ma ne ho uno ancora più grande, quello di vestire la maglia italiana in una competizione internazionale».

*Su tale intervento al ginocchio abbiamo interpellato il dottor Gianmarco Regazzola, che lo ha eseguito: «Dal punto di vista tecnico-chirurgico non ci sono grandi differenze con gli altri pazienti poiché l’intervento è eseguito in anestesia spinale. È la fase post-operatoria quella cui bisogna prestare maggiore attenzione per il carico e i tempi di recupero, poiché l’uso delle stampelle potrebbe aumentare le difficoltà nei movimenti che già esistono nei pazienti parkinsoniani. Tuttavia, grazie all’impiego degli impianti e delle placche moderne per l’osteotomia correttiva, i pazienti possono iniziare a muoversi fin da subito con un carico protetto, riducendo le problematiche legate all’immobilità per i pazienti con questa patologia».

Il presente servizio è già apparso in “La forza dei fragili”, blog di «Oggi», con il titolo “Roberto Russo: «Il Parkinson giovanile non mi ruba lo [la] voglia di correre»”. Viene qui ripreso, con diverso titolo e alcuni riadattamenti dovuti al differente contenitore, per gentile concessione.

La malattia di Parkinson
È una malattia neurodegenerativa cronica, causata dalla progressiva morte dei neuroni situati in una piccola zona del cervello che producono il neurotrasmettitore dopamina, il quale controlla i movimenti. Chi ha il Parkinson produce sempre meno dopamina, perdendo progressivamente il controllo del proprio corpo.
Arrivano così tremori, rigidità, lentezza nei movimenti, depressione, insonnia, disfagia, fino alla perdita completa dell’autonomia personale e all’impossibilità di svolgere le più semplici attività quotidiane (vestirsi, mangiare, lavarsi, parlare ecc.).
Non esiste una cura risolutiva, ma solo trattamenti sintomatici che aiutano a convivere con la malattia la quale continua a progredire.
Oggi in Italia si stima vi siano poco meno di 300.000 malati di Parkinson, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono destinati a raddoppiare entro i prossimi quindici anni. Va tenuto conto inoltre che si parla di una patologia rispetto alla quale gli organi d’informazione, l’opinione pubblica e le stesse Istituzioni hanno ancora una percezione errata, considerandola una “malattia dei vecchi”: l’età d’esordio, infatti, si fa sempre più giovane (un paziente su quattro ha meno di 50 anni, il 10% meno di 40 anni), e la metà dei malati è in età lavorativa, cosicché si può dire che vi siano circa 25.000 famiglie, in Italia, con figli in età scolare in cui uno dei genitori è colpito dalla malattia.

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