La vita è sempre un’opportunità, un viaggio unico, bellissimo e difficile che va vissuto distogliendo il proprio sguardo da quello di chi si muove intorno a noi. Diomede Stabile, pugliese di Castrì di Lecce, 48 anni, ha trovato in questa chiave di lettura la sua filosofia di vita, insieme alla sua “compagna di viaggio”, una malattia genetica rara chiamata Charcot-Marie-Tooth, che colpisce gli arti inferiori (in particolare dal ginocchio al piede) e superiori del corpo (in particolare dal gomito alla mano), indebolendone i muscoli, con conseguente degenerazione delle fibre nervose motorie.
Qual è la sua visione della vita?
«È un’opportunità, anche se strana e difficile. Non c’è una seconda possibilità, quindi dobbiamo coglierla al meglio. Avere l’opportunità di vivere, anche con la consapevolezza di una malattia, diventa uno stimolo per dare più significato alla vita stessa. L’importante è non perdersi nei meandri della vita, perché il castello potrebbe crollare. Gli affetti e le amicizie sono pilastri fondamentali che mi fanno stare bene. Ho imparato a non pensare male, affrontando la vita in modo positivo, e questo mi ha dato la forza di andare avanti».
Come ha scoperto la sua malattia e come l’ha vissuta?
«Mi hanno diagnosticato la malattia di Charcot-Marie-Tooth intorno ai 5-6 anni; inciampavo spesso, il piede aveva una forma strana e iniziarono le osservazioni. Nessuno me l’ha mai spiegata chiaramente, era una cosa naturale nella mia famiglia, visto che anche la nonna, la mamma e una sorella ne soffrivano. Ricordo i primi viaggi all’Ospedale Gaslini a Genova. A 17 anni ho subito un intervento per raddrizzare il piede e metterlo in orizzontale, ma ha funzionato solo dal punto di vista meccanico, non neurologico, anche se per me era già una conquista poter avere il piede “dritto”».
E poi?
«Un anno dopo l’intervento, a causa di un incidente in auto ho dovuto portare il gesso per tre mesi e una volta tolto, ho scoperto che la mia gamba era più corta. Ho attraversato una fase di disperazione senza supporto psicologico, pensando anche al peggio. Ero molto giovane e la vita era già stata tanto dura con me… Poi ho deciso che non volevo solo sopravvivere, ma vivere veramente. Ho aperto i cassetti dei sogni e ho iniziato a inseguirli, lanciandomi senza paure per provare a realizzarli tutti: ho fatto il modello per riviste di parrucchieri, ho fatto teatro e piccole comparse in TV, fino ad avere una mia rubrica in una TV locale».
Ha anche fondato un’Associazione che si occupa di turismo accessibile.
«Ho viaggiato molto, capendo le esigenze delle diverse disabilità e cercando di contaminare la politica con valori e visioni che mi hanno aiutato. Sono stato anche testimone per Telethon nelle carceri e nelle scuole, parlando di genetica e portando la mia visione della vita».
Ha incontrato alcuni carcerate a Lecce e la descrive come un’esperienza molto toccante.
«Al carcere di Lecce ho condiviso la mia sensazione di detenzione nel corpo con i detenuti. Avverto un’energia vitale molto intensa, che non trova sfogo totale perché questa energia è bloccata in un contenitore (il mio corpo), limitato. È come se percepissi di avere il motore di una Ferrari montato su una 500. Il rischio è un po’ quello che durante la corsa la potenza del motore sia tanto intensa da rischiare di fare crollare la 500… Il concetto di detenzione è la sofferenza di questa sensazione, dovuta dal fatto di non poter fuggire o evadere dal mio corpo, un po’ come fossi imprigionato da innocente con condanna all’ergastolo».
Sono due detenzioni simili?
«È complicato spiegare nello specifico questo sottile paragone perché i contesti di reclusione sono differenti: da una parte un luogo fisico fatto di cemento armato, barriera di ferro e sorveglianza, dall’altra parte nulla di materiale, tranne che per il corpo che diventa a sua volta cemento armato e barriere per la mia energia vitale che vorrebbe evadere per vivere in sua libertà».
Che cosa le hanno trasmesso i detenuti?
«Hanno apprezzato il messaggio di umanità e connessione che ho cercato di trasmettere. Sono entrato senza pregiudizi e mi sono ritrovato davanti semplicemente delle persone che hanno colto nel mio racconto e nella mia visione di detenzione del corpo un messaggio che ha dato loro uno stimolo per vivere diversamente la loro condizione. Per me è stato come un regalo di Natale».
È anche un amante delle avventure e degli sport estremi. No limits!
«Una volta aperto il cassetto dei sogni ho scelto di vivere la mia vita totalmente! Anche se non mi reputo un amante dello sport perché non lo pratico costantemente, ho sperimentato prove sportive molto intense, la prima è stata quella del volo con un ultraleggero con un pilota in sedia a rotelle che mi ha fatto provare l’ebbrezza di volare con lui su un aereo adattato per renderlo accessibile alle sue capacità. Poi ho provato il parapendio con un volo panoramico: un’emozione stupenda! Non potevo che non pensare a qualcosa di più estremo, così ho voluto per il mio quarantesimo compleanno festeggiare con un lancio da 4.200 metri con il paracadute, un lancio in caduta libera verso l’ignoto e nel vuoto, inconsapevole di tutto ciò che poteva accadere, un po’ come è la vita… un lancio nel vuoto!».
Dal cielo alle profondità…
«Nel frattempo tra un volo e l’altro mi sono avvicinato alle immersioni con le bombole, partecipando a delle attività di avvicinamento al mondo subacqueo per persone con disabilità. Le prime prove sono state un po’ difficili perché l’attrezzatura e il limite fisico portano un po’ di fatica, ma dopo avere ascoltato i miei limiti, ho spinto sulla forza residua che il mio copro mi poteva dare per spingermi a fare la discesa, ho scoperto una dimensione fantastica non solo del mondo marino, ma soprattutto la possibilità di poter gestire il mio corpo in assenza di gravità e riuscire a comprendere il suo uso in una realtà fino a quel momento a me sconosciuta».
Dal mare alle piste…
«In questi ultimi anni invece mi sono avvicinato al mondo del pilotaggio automobilistico in sicurezza. Ho frequentato corsi di guida sicura su piste attrezzate per la simulazione di perdita di controllo dell’auto in contesti estremi. Questa nuova esperienza mi ha incuriosito moltissimo e da un po’ di tempo mi sono messo alla ricerca di corsi o scuole di pilotaggio per persone con disabilità; a oggi però non ho avuto esito positivo perché dal post-Covid le organizzazioni da me contattate sono ancora ferme. Altro sport al quale mi sto avvicinando è la vela. Grazie ad amici sto conoscendo a piccoli passi questo sport, che anche se richiede fisicità per muoversi a bordo, essendo uno sport di squadra assegna a ciascuno il suo compito e il mio è quello da timoniere».
Senza dimenticare il teatro.
«In passato avevo fatto un corso di teatro che usava il metodo Stanislavskij, grazie al quale ho imparato molto e che mi ha messo a nudo emotivamente. Ho scritto poesie dedicate alla malattia e, dopo la morte di mio padre e l’arrivo del Covid, sono tornato al teatro insieme alla Factory Compagnia Transadriatica. Non mi sono mai sentito disabile, ma un collettore tra il mondo senza disabilità e quello con disabilità. Bisogna avere il coraggio di aprire i cassetti dei sogni e di perseguirli con determinazione e amore».
Sogni nel cassetto?
«Il mio sogno è sicuramente quello che presto possano trovare una cura o terapia per la mia patologia per avere la possibilità di poter continuare a vivere in libertà la mia esperienza della vita».